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Referendum bolognese sulle scuole private: Tempi e Uccr in disaccordo con l’Associazione genitori cattolici.

Il risultato del referendum consultivo del comune di Bologna è noto: il Comitato Articolo 33 aveva indetto la consultazione per chiedere ai bolognesi se erano d’accordo nell’abolire il finanziamento pubblico alle scuole materne paritarie ed il 59 per cento dei votanti si è detto d’accordo nel concedere i finanziamenti pubblici solo alle scuole materne statali. L’affluenza – è opportuno dirlo – è stata particolarmente bassa: su 290mila aventi diritto sono andati a votare soltanto 85.934 (il 28,71 per cento).
Il referendum aveva solo valore consultivo e quindi non vincola l’azione dell’amministrazione comunale sebbene il sindaco Merola (Pd), che aveva invitato a votare ed ad esprimersi a favore del finanziamento alle scuole paritarie, ha così commentato: «Terremo conto del voto ma Bologna non deve rinunciare al sistema delle convenzioni» anche se «non possiamo ignorare la richiesta di scuola pubblica».
Non sono mancate le reazioni del mondo cattolico al risultato referendario di Bologna. Tempi titola: “Volevano fare di Bologna il laboratorio per mettere in crisi tutte le scuole paritarie. Hanno fallito” e, soffermandosi sulla scarsa partecipazione al voto, Emanuele Boffi scrive che «Contro le paritarie hanno votato, in sostanza, poco più del 15 per cento dei cittadini. Nemmeno 2 su 10» perciò, questa è la conclusione, gli attivisti referendari «hanno miseramente fallito su tutta la linea, non riuscendo a mobilitare se non i militanti del loro orticello, in una delle piazze più “di sinistra” di tutto il paese».
Difficile sostenere che gli astensionisti fossero a favore del finanziamento alle scuole paritarie (come è difficile sostenere anche il contrario) e si presuppone che gli astensionisti in sostanza “deleghino in bianco” chi invece decide di partecipare al voto. Continua a leggere

Avvenire plaude ai Paesi dove è stato approvato il matrimonio gay

Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, involontariamente tesse l’elogio dei Paesi in cui è stato approvato il matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Ovviamente lo fa alla sua maniera con un articolo di Massimo Calvi in cui provocatoriamente si sostiene che «il dibattito sulle nozze gay, oggi, non dovrebbe neanche cominciare». Questa tesi non è sostenuta su basi giuridiche ma considerando che sia più impellente il sostegno alla famiglia coi figli.
Calvi evidenzia che «i Paesi dove vige o sta entrando in vigore una qualche forma di riconoscimento delle unioni omosessuali, sono comunque Paesi lontani anni luce dall’Italia in fatto di sostegno economico alle famiglie con figli» e sono nazioni che «che hanno affrontato e risolto assai meglio dell’Italia quello che dovrebbe presentarsi come il primo diritto fondamentale: sostenere, e non penalizzare, le famiglie che hanno figli da crescere e da educare». Calvi propone il caso della Francia dove «il sistema del “quoziente familiare” rende persino vantaggioso diventare genitori» mentre in Germania «lo stato di famiglia entra direttamente in dichiarazione di redditi e il valore delle detrazioni per figli a carico è almeno il triplo del nostro». A concludere i Paesi scandinavi dove «i servizi per la prima infanzia coprono il doppio del bisogno rispetto al nostro Paese». Attualmente sia in Francia, che in Germania che nei Paesi scandinavi esiste già il matrimonio omosessuale (una realtà nei Paesi scandinavi ed in corso d’approvazione in Francia) o le unioni civili delle unioni omosessuali. Continua a leggere

Corte europea dei diritti dell’uomo: “La libertà religiosa può essere limitata in presenza di interessi maggiori”

Il diritto ad esprimere il proprio credo religioso deve essere tutelato ma può essere limitato in presenza di diritti o interessi di maggiore interesse: questo in sintesi il succo della sentenza della Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che è stata chiamata a decidere sui casi di quattro cittadini britannici – “cristiani discriminati sul lavoro” secondo Avvenire – che hanno fatto ricorso contro lo Stato accusato di non aver difeso in modo adeguato la loro libertà religiosa e il diritto a non subire discriminazioni sul posto di lavoro.
Questi i casi. Nadia Eweida, 55 anni, era una hostess di terra della British Airways addetta al controllo dei bagagli. Sulla sua divisa indossava una collana con un crocifisso contravvenendo alle policy della compagnia aerea. Nel 2006 i suoi superiori le chiesero di indossarla all’interno della divisa perché averla all’esterno non era conforme alle norme di sicurezza che deve rispettare un’ispettrice dei bagagli ma la hostess si rifiutò. La compagnia aerea allora le offrì la possibilità di essere impiegata in un’altra mansione dove non avrebbe dovuto indossare l’uniforme e quindi avrebbe potuto tranquillamente indossare la collana ma la hostess rifiutò anche questa proposta. La British Airways perciò la licenziò e Nadia Eweida citò la compagnia aerea in tribunale ma perse il ricorso sia in prima istanza che in appello (cfr. sentenza d’appello).

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“Questo non è un film”: un documentario della Cei in 8 (per) mille-metri.

Non bastavano opuscoli informativi e spot pubblicitari, ora la Cei per conquistare le firme dell’8 per mille è scesa in campo con un vero e proprio mediometraggio: Questo non è un film.
Un docufilm in quattro episodi realizzato dal regista Stefano Palombi per informare (o meglio emozionare) sul modo in cui la Cei spende i soldi degli italiani con l’8 per mille. Un mediometraggio prodotto da Lux Vide per il Servizio Cei per la promozione del sostegno economico alla Chiesa.
Già da tempo la Cei impiega spot pubblicitari per convincere i contribuenti italiani a firmare per la Chiesa cattolica ed in merito l’Aduc (Associazione per i diritti degli utenti ed i consumatori) aveva presentato un esposto all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per pubblicità ingannevole in Tv e sul web della campagna di pubblicità sociale “chiedilo a loro” per la destinazione dell’8 per mille alla Chiesa cattolica.
In effetti negli spot della campagna 2012 come nel film si parla di preti che aiutano terremotati, di aiuti a giovani, prostitute, anziani, drogati ed a bambini di aree disagiate ma la realtà è un po’ diversa.

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I ridicoli “perché” dei cattolici per opporsi alle unioni civili

Gli attivisti dell’associazione cattolica Uccr (Unione cristiani cattolici razionali) pubblicano un articolo sulle unioni civili raccogliendo vari interventi (tutti – ad eccezione di uno – da Avvenire) contrari a questa introduzione.

Gli uccrociati riportano un articolo di Avvenire secondo cui le unioni civili sono richieste da coloro che «in nome di una libertà assoluta rifiuta il matrimonio (anche solo civile), che avrebbe il torto di regolarizzare il rapporto, ma cui va stretta anche la convivenza, che non dà alcun riconoscimento pubblico. Per chi, in definitiva, non accetta le responsabilità e i doveri di un vero matrimonio (civile o religioso che sia), ma ne esige tutti i diritti, nei confronti del partner, dei figli e dell’intera società. Diverso il caso delle coppie gay, che non sono spinte dalle stesse motivazioni ma che cercano con tale attestato di chiamare “matrimonio” la loro unione e “famiglia” la loro convivenza». Continua a leggere

Avvenire: “Disturbati i figli dei gay”. Per la comunità scientifica sono solo “bullshit”.

Il giornale dei vescovi Avvenire ha pubblicato un articolo di Bice Benvenuti (“Adozioni ai gay? Figli disturbati”) sulle adozioni alle coppie omosessuali.

Nell’articolo si riporta l’opinione del dott. Giuseppe Di Mauro, presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps): «Siamo preoccupati perché i media parlano dell’argomento con troppa leggerezza. Invece l’argomento è molto delicato e andrebbe valutato con maggiore rigore scientifico, soprattutto per le ripercussioni che comporta sulla crescita e lo sviluppo del bambino».
Giuseppe Di Mauro è un pediatra e risulta molto difficile credere che avere dei genitori omosessuali possa comportare un deficit nello sviluppo fisico.
Si potrebbe obiettare che una coppia di genitori dello stesso sesso non è l’ambiente idoneo allo sviluppo psicologico del bambino (sviluppo psicologico che di certo non è di competenza dei pediatri) ma l’Associazione italiana di psicologia ricorda che «le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui» ed inoltre «non sono né il numero né il genere dei genitori – adottivi o no che siano – a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano».

Sull’organo della Cei si ricorda che non ci sono numerosi studi sulle coppie omosessuali che hanno adottato bambini e – laddove si sono svolti – riguardavano campioni piccoli con «la finalità dichiarata di sostenere liceità e opportunità delle unioni gay».
I dati sulle adozioni delle coppie gay provengono da un gruppo di 59 studi dell’Apa (American psychological association) ma – a riguardo – il giornale dei vescovi riporta uno studio dello studioso Loren Marks pubblicato sulla rivista Social science research secondo cui gli studi dell’Apa sarebbero invalidi essendo presenti alcune lacune. Continua a leggere

MA L’ABITO FA SEMPRE IL MONACO?

I Pontifexiani, così gli altri siti cattolici tradizionalisti, sono pro-talare. Non vedono molto bene il clergy-man, ma lo tollerano. Ovviamente sono contrarissimi a che i preti vestano abiti civili, senza cioè il minimo riconoscimento della loro funzione pastorale.

I “segni distintivi” dei preti devono essere indossati in ogni occasione, sacra e profana, in quanto per i tradizionalisti “l’abito fa il monaco”

Cosa direbbero allora se vedessero questa e altre foto di Ratzy, nelle quali egli non portava nemmeno il collare ecclesiastico bianco?

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