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Italia: il Paese con il Vaticano e con 64mila Chiese dove i professionisti cattolici sono “costretti all’anonimato”

cardinaliIl mese prossimo sarà in discussione in parlamento il disegno di legge contro l’omofobia ed ovviamente, come per tutti i temi “sensibili”, divampa la discussione tra politici, psicologi, attivisti, giuristi, giornalisti, sacerdoti.
Una calda mattina d’agosto diventa rovente a Unomattina Estate quando l’avvocato Giancarlo Cerrelli, vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, afferma che «l’omosessualità è stata depennata dal manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali non per motivi scientifici» accennando alla fine anche alle cosiddette “terapie riparative” che farebbero ritornare eterosessuali i gay. Polemica scontata anche perché dal 1990 l’Oms ha depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.
Tante le reazioni alla sua dichiarazione ed immediatamente arriva la replica di Giuseppe Luigi Palma, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, che in un comunicato ha dichiarato: «È gravissimo che i detrattori della legge antiomofobia ripropongano, tra le altre, l’idea che l’omosessualità sia una malattia da curare e, di conseguenza, che l’orientamento omosessuale sia da modificare, contraddicendo palesemente quanto, invece, da anni sostiene la comunità scientifica internazionale che, a ragione, ha da tempo rigettato le cosiddette terapie di conversione e riparative. Affermare che l’omosessualità possa essere curata o che l’orientamento sessuale di una persona si debba modificare, come recentemente dichiarato dal vicepresidente Unione giuristi cattolici italiani, è una informazione scientificamente priva di fondamento e portatrice di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale ancora così fortemente radicato nella nostra società, come dimostrano, purtroppo, i sempre più diffusi fatti di cronaca. Ribadisco, se mai ce ne fosse bisogno che gli psicologi, secondo il Codice deontologico, non possono prestarsi ad alcuna ‘terapia riparativa’ dell’orientamento sessuale di una persona, bensì collaborare con i propri pazienti nel caso di disagi relativi alla sfera sessuale siano essi avvertiti dagli eterosessuali così come dagli omosessuali». Continua a leggere