Scuola pubblica. Costi quel che costi.

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Questa mattina mi sono imbattuta in un articolo di Nadia Urbinati pubblicato sull’ Huffington Post che inizialmente mi ha trovato assolutamente d’accordo: è lecito che per motivi legati alla morale religiosa – sostiene la brava Urbinati – una scuola cattolica possa scegliersi (e quindi anche licenziare) i propri insegnanti che non si adeguano nei loro comportamenti ai precetti cattolici, ma se sceglie di avvalersi di questo diritto dovrebbe rinunciare ai finanziamenti che le derivano dallo Stato. Lo Stato infatti è laico e i soldi di cui dispone sono stati raccolti anche presso persone non cattoliche o affatto religiose e pertanto dovrebbero servire a finanziare servizi pubblici assolutamente non vincolati alla religione, come neppure all’ideologia e a qualsiasi orientamento che non riguardi la comunità intesa nella sua globalità.

L’articolo si riferiva in particolare al recente caso dell’insegnante lesbica a cui una scuola cattolica non ha rinnovato il contratto di lavoro pare a causa del rifiuto della stessa di fare abiura riguardo la sua omosessualità.
Ho subito sposato il ragionamento della Urbinati incondizionatamente e l’ho fatto mio fino a quando tra i commenti ne ho letto uno in cui un lettore pignolo ribatte che da un punto di vista economico lo Stato non solo non ci perde finanziando le scuole private, ma addirittura ci guadagna. E parecchio. Infatti a fronte dei 500 milioni di euro che vengono devoluti alle scuole private, queste ultime si accollano l’istruzione di un milione di studenti che reintegrati nel sistema pubblico costerebbero allo Stato ben 6 miliardi. Altro che la misera elemosina che lo Stato concede all’istruzione privata.
A questo punto ho le idee confuse. E’ lo Stato che finanzia le paritarie o sono le paritarie che finanziano lo Stato? Io apparterrei alla prima corrente di pensiero, tuttavia mi mette non poco in crisi il calcolo del commentatore pignolo che mi fa notare quanto risparmio grazie al fatto che un milione di famiglie italiane o giù di lì abbiamo scelto di far indottrinare i propri inconsapevoli e innocenti figli in scuole religiose per preservarli dal male che invade il mondo laico di fuori, rinunciando ad iscriverli nella scuola statale, profana, aconfessionale e col tetto di amianto del mio quartiere.
Eppure continuo a sentire un fastidio che la logica della convenienza non riesce a cacciare via. Continuo a pensare che le scuole private o paritarie o diversamente pubbliche – o chiamatele come volete – mi fanno male.
E mi fanno male anche se mi fanno risparmiare.
Mi fa male pensare di vivere in una società dove l’istruzione non sia pubblica, pubblica davvero, cioè non solo rivolta all’esterno ma fondata su principi universali che valgano per tutti e non solo per alcuni. Mi fa male pensare a un mondo senza scuola pubblica o con una scuola pubblica degradata e svilita in cui solo chi può permetterselo assicura ai figli un’istruzione adeguata. Mi fa male perchè senza una scuola pubblica forte, ultimo presidio dell’integrazione, della diversità, della pluralità, non può esistere una società giusta solidale e pacifica.

7 pensieri su “Scuola pubblica. Costi quel che costi.

  1. Compagno Z

    Una precisazione: l’insegnante trentina non ha mai ammesso di essere lesbica, si e’ lamentata (giustamente) del fatto che per ottenere il rinnovo del contratto le sia stata rivolta una domanda del genere.

    Poi per quanto riguarda il commento del “pignolo” bisognerebbe fargli notare che i “6 miliardi” che lo Stato risparmierebbe non sono mai stati comprovati da nessuno studio serio sulla questione, si tratta di una cifra sparata a caso dalla propaganda vaticana.

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    1. alessandra

      E’ così Compagno Z: l’insegnante non ha mai né ammesso né smentito la sua presunta omosessualità.
      Ma la cosa grottesca, al di là della vita sentimentale della signora della quale sinceramente non ci importa niente, è il fatto che la Chiesa non abbia rinunciato ai suoi metodi da inquisizione pretendendo abiure anacronistiche pena il solito rogo…

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