Buongiorno a tutti.
Sembra proprio che il Vaticano, da quando Jorge Bergoglio è stato eletto al soglio pontificio, sia destinato a non combinarne una dritta per quel che riguarda la politica internazionale, nello specifico per la tutela dei diritti umani.
Infatti, la scorsa domenica (22 giugno), nel ricordare la prossima Giornata delle Nazioni Unite per le vittime della tortura durante l’Angelus, l’attuale pontefice ha affermato che “torturare le persone è un peccato molto grave” ed ha esortato i fedeli a “impegnarsi per collaborare all’abolizione di ogni forma di tortura e sostenere le vittime ed i loro familiari”.
Parole che sono suonate un tantinello ipocrite a chi conosce quali relazioni intercorrano fra la Santa Sede ed uno dei peggiori autocrati del pianeta, il “Presidente” della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang.
Chi è Teodoro Obiang
Teodoro Obiang Nguema Mbasogo (questo il suo nome completo) ha legato la sua storia personale a quella del suo paese sin dal 1968 quando la Guinea Equatoriale ottenne l’indipendenza dalla Spagna mentre Obiang ottenne dal Presidente-zio Francisco Macìas Nguema le cariche di capo delle forze armate, comandante della Guarda Nazionale, Governatore di Bioko e, last but not least, direttore del penitenziario di Playa Negra che sin da allora grazie ai metodi di Teodoro si guadagnò una pessima fama.
Nel 1979 Obiang assieme agli altri generali del paese depone lo zio, lo fa processare e fucilare e diventa Presidente al suo posto, carica che detiene saldamente tutt’oggi grazie ad elezioni-farsa dove è l’unico candidato a presentarsi ed il suo partito l’unico ammesso.
Nonostante dopo la deposizione dello zio avesse promesso un “nuovo inizio” rispetto al regime precedente, i metodi di Obiang non sono molto diversi da quelli dello zio Nguema, consistendo unicamente nel ricorso sistematico alle violenze ed intimidazioni ai danni degli oppositori che, spesso e volentieri, vengono incarcerati con imputazioni che o sono inventate o sfiorano la lesa maestà e finiscono così per subire ulteriori torture giornaliere nelle carceri del paese, oltre ad essere privati del cibo e dei medicinali.
Le spese folli della famiglia Obiang
A tutto questo si aggiunge un governo fra i più corrotti del globo, che è stato paragonato (non a torto) sia per cleptocrazia che per culto della personalità, alle peggiori dittature africane del secolo scorso come quella dell’ugandese Idi Amin Dada o di Mobutu Sese Seko dell’ex Zaire: infatti la Guinea Equatoriale è ricca di petrolio che viene venduto a compagnie straniere e che ufficialmente garantisce al paese il reddito pro capite più alto del continente africano ma nella realtà circa i ¾ della popolazione vivono con meno di un dollaro al giorno perché il resto se lo pappano tutto Obiang ed i suoi fedelissimi dato che le casse dello Stato coincidono con il conto in banca personale del Presidente (“per evitare ai funzionari pubblici di farsi corrompere” assicura lui) che in questo modo è riuscito ad accumulare un patrimonio stimato intorno ai 600 milioni di dollari (al netto delle proprietà immobiliari e di altre, costosissime, spese varie).
Ancora più rapace di Obiang è il figlio di questi che di nome fa pure lui Teodoro e che per distinguerlo dall’augusto genitore gli abitanti della Guinea Equatoriale chiamano Teodorin. Quando non è impegnato a fingere di fare il vicepresidente o (fino a qualche tempo fa) il ministro dell’agricoltura, Teodorin oltre a saccheggiare le casse statali insieme al padre e, giusto per arrotondare un po’, a taglieggiare le società straniere presenti nel paese (la legge guineana impone alle società straniere di avere un socio di maggioranza guineano ed i membri della famiglia Obiang si offrono più che volentieri come soci), spende il denaro così predato mettendosi in competizione con i miliardari e gli sceicchi più facoltosi in una gara a chi fa l’acquisto più costoso ed inutile.
Spese che con lo stipendio che dichiara ufficialmente non potrebbe mai permettersi (solo a fine 2013 Teodorin ha ordinato un yacht da 300 milioni di dollari, identico a quello del miliardario russo Abramovich) e che per questo sono finite sotto la lente d’ingrandimento delle magistrature di Francia e Stati Uniti che hanno sequestrato a Teodorin, accusato di vari reati tra cui peculato, malversazione, truffa e riciclaggio di denaro (oltre a numerose violazioni dei diritti umani, perché l’enfant prodige non è secondo al padre quanto ad efferatezza quando si tratta di punire chi in patria non è più che prono ai suoi desiderata), varie maxiproprietà immobiliari e una collezione di auto superlusso. E’ anche l’unica iniziativa che gli organi giudiziari hanno potuto intraprendere visto che, finora, non c’è stato modo di trascinare i due Obiang in un’aula di tribunale.
Gli amichetti di Teodoro l’Intoccabile
Come possono autocrati del genere sfuggire alle azioni delle magistrature straniere? Semplice. Oltre all’ovvia immunità diplomatica, Obiang investe centinaia di migliaia di dollari al mese per assicurarsi la collaborazione di un pool di legali di Washington specializzati in diritto internazionale che consentono a lui ed al pargolo prediletto di viaggiare in giro per il mondo senza il rischio di essere estradati. Una bella mano gliela danno anche i lobbisti delle compagnie petrolifere (a cui Obiang garantisce prezzi stracciati e massima libertà d’azione) presenti nel paese tant’è che, nel giro di un anno dal 2000 (quando vennero scoperti gli ingenti giacimenti di greggio del paese), alla Casa Bianca Obiang è passato da essere un candidato alla “esportazione di democrazia” per aver cercato di processare (nel 1993) l’ambasciatore americano per “stregoneria” ad essere “un amico degli USA” (come lo definì Condoleeza Rice).
Fra quelli che aiutano Obiang a dare una ripulita all’immagine non proprio limpida (anzi decisamente torbida) del Presidente c’è in prima fila anche il Vaticano che dal dittarore guineano riceve munifiche donazioni annuali che gli garantiscono lo status di intoccabile come dimostra la vicenda dell’imprenditore italiano Roberto Berardi, finito senza processo e senza essere stato formalmente accusato di alcunché nella prigione di Bata per aver chiesto conto a Teodorin degli ammanchi nelle casse della società di cui il figlio del Presidente è socio insieme allo stesso Berardi: quando la famiglia di Berardi ha provato a chiedere l’intercessione della Chiesa Cattolica per il rilascio del loro congiunto, si è sentita rispondere dal Nunzio Apostolico in Camerun Mons. Piero Poppi che “per non perdere le generose donazioni di Teodoro Obiang preferisce tenersi estraneo al caso”.
Quindi nessun “impegno” né tantomeno “sostegno” a Berardi o alla sua famiglia da parte di Mons. Pioppi o dalla Chiesa, per la quale i diritti umani finiscono là dove iniziano gli appetiti delle sue insaziabili casse o dal suo attuale leader che, per di più, lo scorso ottobre ha firmato proprio con Obiang un accordo bilaterale che, come riferì all’epoca “Vatican Insider”, “suggella le buone relazioni bilaterali esistenti, riconosce la personalità giuridica della Chiesa e delle sue Istituzioni” e “riguarda anche il matrimonio canonico, i luoghi di culto, le istituzioni educative, l’assistenza spirituale ai fedeli cattolici negli ospedali e nelle carceri”.
Insomma chi ha la sfortuna di trovarsi nelle carceri del regime guineano, continuerà a venire torturato pari pari a prima ma avrà la grande consolazione della provvida mano benevolente del Cristo Re.
Roba che sembra una battuta uscita da una puntata di Padre Maronno ma che invece è la tragica realtà di una istituzione religiosa la cui morale può essere così riassunta: “Tortura è peccato mortale però se ci paghi non solo chiudiamo un occhio, li chiudiamo tutti e due e ti garantiamo pure “buone relazioni bilaterali” “.
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