Legalizzazione delle droghe leggere. In Italia facciamo quello che riusciamo a fare meglio: gli struzzi.

La proposta dell’assessore regionale lombardo all’agricoltura Gianni Fava (Lega Nord) di legalizzare la cannabis ha diviso il mondo politico e naturalmente monolitica è stata la posizione del mondo cattolico da sempre contrario ad ogni possibilità di regolamentare le droghe leggere.
In primissima linea Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani che il 7 gennaio titola “Cannabis legale: riparte l’offensiva” e riporta il pensiero di Giovanni Serpelloni, capo del dipartimento delle Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio: «E’ ampiamente dimostrato che a fronte di una diminuzione della disapprovazione sociale c’è contemporaneamente un aumento del consumo delle sostanze nocive, compreso tabacco e alcol. In caso di legalizzazione aumenterebbe dunque l’uso, in particolare tra i giovani. Un settore che fa molto gola alle grandi compagnie del tabacco».
Lo stesso Serpelloni interviene sempre su Avvenire con un editoriale: «I danni maggiori sono quelli derivanti dall’uso precoce (adolescenziale) di questa sostanza nel momento in cui il cervello si trova nella delicata fase di sviluppo celebrale che termina dopo i 21 anni». Per il medico inoltre «non esiste alcuno studio né evidenza scientifica che dimostri che la legalizzazione sia in grado di ridurre efficacemente gli introiti delle organizzazioni criminali». Sempre Serpelloni si pone degli interrogativi interessanti: «Come verrebbe poi regolamentato il fatto che persone guidino una macchina, un autobus, un treno o lavorino sotto l’uso di sostanze stupefacenti psicoattive ma perfettamente legali, non potendole quindi sanzionare?». Un quesito molto strano: anche l’alcool è perfettamente legale mentre la guida in stato di ebbrezza è illegale.
L’opinione di Giovanni Serpelloni sull’inutilità della legalizzazione viene condivisa anche da Ernesto Savona, direttore di Transcrime, il Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica e dell’Università di Trento: «Scordiamoci che legalizzando la marijuana si possa fermare il narcotraffico».
Sull’organo dei vescovi italiani trova spazio anche l’intervento di un gruppo di comunità di recupero dalla droga secondo cui la proposta di legalizzazione delle droghe leggere sarebbe solo «l’ennesimo attacco che da più parti si abbatte contro la famiglia». Nell’Italia del “tengo famiglia” basta citare la famiglia (ed i bambini) per confutare ogni possibile presa di posizione.
Non può essere a favore di una qualsiasi forma di regolamentazione il cattolicissimo Carlo Giovanardi che al Sussidiario.net ricorda che per il consumatore di cannabis è prevista “solo” una «una sanzione amministrativa come il ritiro della patente di guida o del passaporto»: una misura che lo stesso Giovanardi a Tempi definisce come «misure dettate dal buon senso che vengono prese per evitare che chi si droga possa danneggiare sé o gli altri». Sfugge in quale modo il possesso del passaporto possa danneggiare gli altri a meno che Giovanardi non pensi che espatriare comporti l’onere di pilotare personalmente l’aeroplano.
L’ex ministro fornisce un particolare interessante. Attualmente le norme per i tossicodipendenti condannati prevedono che «fino a 6 anni di detenzione si ha il diritto di non stare in carcere (però, ndr) mancano le risorse economiche per pagare le terapie (perciò, ndr) molte persone che secondo la legge dovrebbero stare fuori dal carcere, vengono lasciate dentro».
Insomma in Italia le terapie per i tossicodipendenti sono assenti ma, nonostante questo particolare interessante, l’ex ministro Alfredo Mantovano ha un’idea diversa: «La legge in vigore non è né proibizionista né antiproibizionista. L’antiproibizionismo aggrava il dramma della droga, favorendone la più ampia diffusione; il proibizionismo in sé non risolve nulla, dal momento che la questione droga non può ridursi a un problema di diritto penale. Quella che è stata introdotta dal 2006 è una via diversa, che investe sulla prevenzione e spinge con tutta la forza possibile verso il recupero». Una via diversa che lo stesso Giovanardi ha ammesso che non esiste.
Nonostante la difesa a spada tratta dell’attuale regime regime proibizionista anche il mondo cattolico deve riconoscere che il numero dei consumatori in Italia è particolarmente alto. Lo scrive Rodolfo Casadei su Tempi: «Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, il 22,3 per cento dei giovani italiani fra i 15 e i 24 anni d’età fa uso di cannabis nel corso dell’anno: siamo terzi in Europa dopo cechi e spagnoli». Sebbene il numero di consumatori sia già molto alto secondo Casadei con la legalizzazione crescerebbe «e quindi di conseguenza avremmo più studenti di scarso o nullo rendimento, più incidenti stradali, più depressi, più schizofrenici, più paranoici, più infettati da malattie sessualmente trasmissibili, più alcolizzati, più eroinomani e cocainomani, ovvero in una parola più politossicodipendenti».
Nel sostegno alla penalizzazione nell’uso di droghe leggere sempre Tempi intervista Jonathan Owen, un giornalista dell’Independent che ha pubblicato un articolo che metteva in guardia dall’uso di questo genere di sostanze. Ciò nonostante lo stesso Owen riconosce i limiti del proibizionismo: «La repressione non dico che non serve ma certamente è inefficace. Per due motivi: primo il proibizionismo tout-court non ha mai funzionato. Secondo, servirebbero tutti gli agenti del Regno Unito per tentare di bloccare il fenomeno e penso abbiano priorità più gravi e serie in questo momento storico. Occorre una grande battaglia culturale, nelle scuole come nelle famiglie e nelle comunità. Bisogna dire chiaramente a quei ragazzi che fumare cannabis fa male, mette a rischio la loro vita». Non proprio un intervento a favore della penalizzazione della cannabis.
Insomma l’Italia sembra non avere nessuna strategia per quanto riguarda le droghe leggere e Tempi ripubblica un’intervista a Claudio Risé, psicologo e psicoanalista ed autore di “Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita”: «I nostri vicini di casa, dalla Germania, alla Francia fino alla Svizzera e alla Spagna corrono ai ripari, promuovendo campagne informative, rivolte soprattutto ai più giovani. Infatti mentre dilaga l’uso di cannabis, diminuisce, insieme al costo della sostanza sul mercato, l’età di coloro che ne fanno uso».

Il fronte cattolico è compatto nell’opporsi ad ogni regolamentazione e sempre al Sussidiario.net Antonello Vanni rimarca che «nel momento in cui la crisi attanaglia l’economia italiana, le imprese chiudono, e i padri di famiglia sono costretti a sfamare i loro figli con i pacchi alimentari della Caritas, sarebbe opportuno che i politici si occupassero di questi seri problemi anziché perdere tempo su un fatto marginale come la legalizzazione di una droga». Un’opinione su Avvenire condivisa anche da don Mimmo Battaglia, presidente della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche, che si domanda: «Perché parliamo ancora di questioni non essenziali? Non sarebbe più utile, più opportuno, un impegno concreto e programmatico sull’emergenza lavorativa o smettere finalmente di rincorrere le droghe e le dipendenze per investire chiaramente sull’educazione, sulla prevenzione, sul sistema scolastico, sul sostegno alle famiglie, sul recupero delle dipendenze?». Insomma, come nel caso delle unioni civili, dello ‘jus soli’, della legge contro l’omofobia il ritornello è sempre lo stesso: i problemi sono “altri”.
Un “ritornello” usato anche dalla curia arcivescovile di Torino dopo dopo l’approvazione da parte del Consiglio comunale di un ordine del giorno in cui invita parlamento e governo a legalizzare le droghe leggere: «Il provvedimento votato dal Consiglio comunale di Torino non ha, come si sa, alcun valore normativo, costituendo solo un’affermazione di principio: ma è importante sottolineare che le “priorità” – politiche, economiche, culturali e sociali – della vita civica oggi sono altre, e diverse da queste esaltazioni dei cosiddetti “diritti individuali”».
Insomma in Italia si preferisce “menare il can per l’aia” per quanto riguarda le droghe leggere ed anche le terapie per i tossicodipendenti – come ammette lo stesso Giovanardi – non sono organizzate per mancanza di fondi.

Nonostante in Italia si consideri un “tabù” parlare di regolamentazione del mercato della cannabis (usando il solito ritornello che esistono “problemi più importanti”) nel resto del mondo ci si muove verso la legalizzazione.
L’ultimo in ordine di tempo ad appoggiare ad esprimersi a favore della regolamentazione è stato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama che, in un’intervista al New Yorker, ha affermato che fumare cannabis è certamente una cattiva abitudine ma non meno pericolosa del bere alcolici: un punto di vista condiviso in Italia dal neuroscienziato Gian Luigi Gessa. Per Obama, che ha ammesso di aver fumato marijuana da giovane, il proibizionismo attualmente colpisce le fasce più povere della società come gli Afroamericani e gli Ispanici: la legalizzazione non costituisce una «panacea» ma è una sfida per un approccio più globale al problema così come stanno facendo gli Stati del Colorado e di Washington. Altri cinque Stati (tra cui California e Florida) potrebbero chiedere ai loro cittadini di esprimersi sulla legalizzazione e di già 21 Stati permettono l’uso della cannabis per scopi medici.
Le parole di Obama esprimono bene il pensiero degli statunitensi che in grande maggioranza sono a favore della legalizzazione della cannabis ed anche Gary Becker, professore di economia e sociologia presso l’Università di Chicago e premio Nobel per l’economia nel 1992 ha scritto sul Wall Street Journal che è ora di alzare bandiera bianca nella guerra alla droga. Così come dichiarato a Tempi da Jonathan Owen, anche l’importante organizzazione non governativa Human Rights Watch, monitorando i reati commessi nella città di New York, ha rilevato che gli arresti per possesso di marijuana sono sostanzialmente inutili.
Una spinta a favore della legalizzazione non viene solo dal nord America ma anche dai Paesi dell’America latina: in Uruguay il consumo di cannabis è stato recentemente legalizzato mentre anche il presidente del Guatemala Otto Pérez Molina ha dichiarato che la guerra alla droga ha fallito e che la comunità internazionale ha bisogno di porre fine al “tabù” nel discutere di depenalizzazione. Recentemente anche i guerriglieri colombiani delle Farc hanno proposto la legalizzazione della cannabis come unica via d’uscita per mettere fine ad un conflitto trentennale.

Anche nel “vecchio continente” non mancano le prese di posizione a favore della legalizzazione e non vengono sempre da partiti della sinistra radicale. Nel Regno Unito ad esempio spingono per la regolamentazione del mercato delle droghe leggere la Camera dei Lord, la UK Drug Policy Commission, il Chief Medical Officer del Regno Unito e la British medical association.
Sempre nel Regno Unito l’Institute for Social and Economic Research ha rilevato che dalla legalizzazione ci sarebbe un guadagno di un miliardo di sterline e secondo uno studio dell’ufficio dei revisori dei conti della città di New York la regolamentazione del mercato della marijuana porterebbe entrate fiscali per 400 milioni di dollari ed altri 31 sarebbero risparmiati ricollocando le risorse per gli arresti per reati minori collegati alla marijuana: inoltre un ex consulente del governo britannico ha denunciato la censura scientifica sugli studi sulle droghe leggere.

In Europa e negli Usa ci si interroga su quale sia la migliore via possibile per gestire il mercato delle droghe leggere mentre in Italia resta il “tabù” secondo cui i favorevoli alla depenalizzazione sarebbero degli “sballati” e che, in ogni caso, esistono “problemi più urgenti”.
Nonostante la legge Fini-Giovanardi sulle droghe leggere sia in vigore dal 2006, non sembra aver sortito gli effetti sperati: secondo i dati forniti dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Oedt), un’agenzia dell’Unione europea, un Paese di “sballati” sarebbe proprio l’Italia che è ai primi posti per numero di consumatori di cannabis e cocaina e per numero di tossicodipendenti. Davanti a tutto questo in Italia si continua a fare quello che riesce meglio: mettere la testa sotto la sabbia per non vedere il problema piuttosto che pensare a regolamentare un mercato togliendolo dall’illegalità, tassare la marijuana ed usare tali entrate (e le risorse risparmiate dalla lotta ai reati minori collegati alle droghe leggere) per puntare su prevenzione e terapie di recupero per i tossicodipendenti: le stesse risorse che – come ha ammesso Giovanardi – mancano. Ma si sa: molto meglio fare gli struzzi.

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11 pensieri su “Legalizzazione delle droghe leggere. In Italia facciamo quello che riusciamo a fare meglio: gli struzzi.

  1. Caffe

    Una parola sull’atteggiamento su questo tema, della sedicente sinistra italiana, non la vogliamo dire? I Giovanardi e i Mantovano fanno il loro dovere di politici reazionari, cattolici e baciapile; quindi non si può parlare di struzzi, se vogliamo essere onesti, la loro posizione è chiara e la perseguono con coerenza: ma la sinistra ufficiale, al di là delle buone intenzioni dichiarate in convegni ed interviste, gli esponenti “progressisti” non vanno, e peggio mi sento, se parliamo di coppie di fatto, immigrazione e tutto quello che rende impopolari e quindi perdenti in caso di elezioni, da noi, sempre dietro l’angolo: basta guardare quello che dice e fa Renzi, se lui è di sinistra, io sono nato in Lettonia. Su Grillo e Di Pietro, meglio stendere un velo pietoso: rimangono solo quei quattro visionari dei radicali, che li apprezzano tutti ma non li vota nessuno e allora? Siamo anche noi, causa dei nostri mali, il “benaltrismo” che giustamente denuncia Cagliostro, non è però appannaggio esclusivo della destra storica e quella più sguaiata della Lega e la rinata Forza Italia, è una caratteristica nazionale: in attesa di risolvere i problemi epocali, nessuno si sogna di cercare di risolvere almeno quei problemi accessori, il cumulo dei quali, fa di noi un paese di serie B, nonostante il potenziale umano, artistico e paesaggistico che ci ritroviamo.

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      1. Paolo

        “Esterofilo italiota medio.”

        Tipico commento di chi non è minimamente in grado di rispondere nel merito, ma vuol lo stesso mostrare al mondo i suoi due neuroni.

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  2. Gianni

    I due neuroni ce li avrai tu.
    Gia uno che sceglie come nickname l’insulto Faggot si commenta da sè;
    Dire che la prostituzione è un tabù tutto Italiano è una fesseria,basterebbe vedere qual’è la legislazione negli altri paesi europei.

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    1. Paolo

      Non si parla semplicemente di legislazione, si parla sopratutto dell’immancabile alzata di scudi ogni volta che si sfiora l’argomento e dell’ipocrisia imperante.

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    2. Compagno Z

      Gianni, Faggot intendeva chiaramente dire che in Italia il problema della regolamentazione della prostituzione è intriso di ipocrisia: tutti moralisti proibizionisti a parole ma all’atto pratico cosa ha prodotto il dibattito politico negli ultimi 50-60 anni? La legge Merlin e la legge Carfagna che non rendono illegale la prostituzione, ma solo il suo esercizio in determinati luoghi nel tentativo di contrastare lo sfruttamento. Un’ottica miope del problema perché non esistono solo le “povere sfruttate” per cui tutti si dolgono ma anche donne (e uomini sia etero che omo, pure quelli se li dimenticano sempre) che esercitano il mestiere più antico del mondo per loro libera scelta, proprio come nel dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere si segue col paraocchi unicamente la soluzione proibizionista senza prendere in considerazione altri aspetti e/o soluzioni della questione…

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      1. Gianni

        Son d’accordo.Ma io contestavo l’espressione”tabù tutto Italiano” visto che negli altri stati han gli stessi problemi con la prostituzione.

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        1. Compagno Z

          Allora c’è stato un qui pro quo perché mi sembra di capire che Faggot si riferisse al dibattito circa ai problemi in questione, non al problema stesso

          Rispondi

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