Lettera a Stanzione: il male di vivere

«Nella vita di alcuni uomini vi sono momenti, in cui essi sentono vacillare tutte le loro certezze, venir meno tutte le loro luci, tacere le voci delle passioni e degli affetti e di quanto altro animava e muoveva la loro esistenza. Ricondotto al proprio centro, l’individuo avverte allora a nudo il problema di ogni problema: Che sono io?

Sorge allora, quasi sempre, anche il senso che tutto ciò che si fa non solo nella vita ordinaria, ma altresì nel campo della cultura, in fondo serve solo per distrarsi, per crearsi la parvenza di uno scopo, per aver qualcosa che permetta di non pensare profondamente, per velare a sé stessi l’oscurità centrale e per sottrarsi all’angoscia esistenziale.

In alcuni casi una crisi del genere può avere un esito catastrofico. In altri si reagisce. L’impulso di una forza animale che non vuol morire si riafferma, inibisce ciò che è balenato attraverso esperienze siffatte, fa credere che si tratti solo di un incubo, di un momento di febbre della mente e di squilibrio nervoso. E ci si va a creare qualche nuovo accomodamento, per tornare alla “realtà”.

Vi è poi chi scarta. Il problema esistenziale, che egli ha sentito, per lui – imponente ad assumerlo per intero – diviene “problema filosofico”. E il gioco ricomincia. Con un qualche sistema di speculazione, si finge luce nell’oscurità e si dà nuova esca alla volontà di continuare. Un’altra soluzione equivalente è il passivo rimettersi a strutture tradizionalistiche, a forme dogmatiche svuotate di un contenuto vivente e presentatesi come semplici complessi dogmatici e devozionali.

Altri, però, tengono fermo. Qualcosa di nuovo e di irrevocabile si è determinato nella loro vita. Il circolo chiusosi intorno a loro intendono spezzarlo. Essi si staccano dalle fedi, si staccano dalle speranze. Vogliono dissipare la nebbia, aprirsi una via. Conoscenza di sé e, in sé, dell’Essere – ciò essi cercano. E un tornare indietro per essi non c’è.»

[Tratto dall’introduzione alla raccolta di testi conosciuta come “Introduzione alla magia quale scienza dell’Io” edito dal “Gruppo di Ur”, a cura di Julius Evola.]

Lettera aperta per Don Marcello Stanzione, sperando che gli capiti di leggerla. Il suo recente articolo (suo? spero di non sbagliarmi… ultimamente quasi tutto quello che porta la sua firma poi si rivela avere altre origini) sulla morte di Monicelli ( Soci dell’UARR siate coerenti fino in fondo: imitate Monicelli !!! ).

Il don Marcello Stanzione commenta il suicidio di Monicelli ponendolo come esempio dell’inevitabile conseguenza logica dell’ateismo (che rappresenta anche il significato del titolo del suo articolo… in pratica Stanzione invita tutti gli atei a imitare Monicelli e a togliersi dalle scatole… a suicidarsi insomma. Davvero molto cristiano! E anche se è chiaro che l’invito non è fatto di cuore, ma ironicamente, rimane da sottolinearsi il cattivo gusto del titolo) .

E ancora una volta il caso dell’uomo singolo viene confuso in una specie di “regola” che dovrebbe, a parere di Pontifex, contraddistinguere tutto il genere e la categoria. Un pò come nel caso del medico di origini ebraiche di cui si è discusso nelle scorse settimane: un medico ebreo che non vuole operare un simpatizzante del neonazismo sarebbe la presunta dimostrazione oggettiva che TUTTI gli ebrei sono perfidi di natura. E’ il classico esempio di gente “semplice” (dicasi anche ignorante e fossilizzata) che ragiona sempre per luoghi comuni: tutti gli ebrei sono strozzini, tutti gli arabi sono terroristi, tutti gli scozzesi sono tirchi, tutti i cinesi sono comunisti e tutti gli atei sono depressi che si suicidano per mancanza di senso nella vita.

In realtà, quando finalmente si riesce ad uscire da questa nebbia dei luoghi comuni, si può sperimentare la scoperta di come nel mondo tutte le cose siano molto più complesse. Come lo stesso Stanzione ha forse non sufficientemente sottolineato, in realtà il fenomeno del suicidio ha cause molto più complesse.

Nella discussione che segue tralascerò il fattore e dettaglio più importante, che è l’INDIVIDUO. L’individualità è infatti il dettaglio non trascurabile che ci ricorda che la storia di ogni persona è una singola storia, e che ogni uomo ha la sua personale reazione nei confronti degli avvenimenti della sua vita (anche quest’ultimi personali e unici) e che non esiste un solo essere umano che sia davvero fino in fondo uguale nella vita e nelle scelte ad un altro essere umano. Pertanto non conta molto l’essere italiani, ebrei, russi, giapponesi, cristiani, atei, buddhisti o agnostici… ciò che conta e prevale sempre più di tutto è l’individuo, il quale noi non sappiamo come reagirà davvero davanti a certi fatti della vita che si presentano nello stesso identico modo ad un altra persona. Parlando in generale noi possiamo dire che due giapponesi tenderanno a reagire differentemente da due americani davanti allo stesso evento. Ma nella realtà concreta la verità è che probabilmente due ebrei, due cristiani o due russi reagiranno tutti ognuno a modo proprio, perchè la realtà ultima è che sono tutti individui. Noi inizialmente tralasceremo virtualmente questa verità, e faremo un discorso più generale.

«Ho dedicato il mio cuore a conoscere la saggezza, la demenza e la follia… ho capito che anche questo era come rincorrere il vento. Perché tanta è la saggezza, tanta è la pena. E colui che accresce la conoscenza, accresce il dolore.»

Il male o l’inquietudine di vivere è connaturato in ogni singolo essere umano, o per essere più precisi, in qualsiasi essere vivente con il dono dell’autocoscienza, che è la capacità non solo di pensare, ma anche di essere consapevole di esistere e quindi di porsi l’ovvia serie di domande: perchè vivo? qual’è lo scopo di questa vita? quali sono le risposte ai grandi drammi della vita come la malattia, la vecchiaia, la morte, la separazione da coloro che amiamo? Perchè, se siamo animali, prodotto di questa natura, l’uomo spontaneamente nasce come un “ribelle” che chiede e pretende un significato e un senso maggiore che la natura non è in grado di soddisfare?

Tutti gli esseri autocoscienti sono accomunati da questo dramma… umani, non umani, occidentali, orientali, credenti, atei, agnostici, contadini, filosofi, marxisti, teologi… in questo siamo tutti fratelli.

Le eterne domande esistenziali dell’uomo sono accompagnate da un’unica certezza comune: l’evidenza della fine, la realtà della morte che pone fine a tutto e apre ad un senso di vuoto e di domanda che pressa ancora di più in cerca di una risposta.

La domanda finale e l’inquietudine che l’accompagna aprono il grande vuoto e la grande ansia che rappresenta il prezzo da pagare per lo splendido dono dell’autocoscienza. E’ una domanda scomoda, una domanda che è ansia ed inquietudine, un vuoto che l’uomo cerca in tutti i modi di colmare e placare.

Tutta la vita dell’uomo è questa domanda.

Tutta la vita dell’uomo è il tentativo di rispodere a questa domanda per togliersi l’ansia,

o in alternativa di non pensarci fino al momento inevitabile.

Tutto quello che l’uomo fa per tutta la sua vita, e che non consista in dormire o mangiare, è un tentativo da parte dell’uomo di porre pace a questa inquietudine, provando a dare un senso al mistero, o cercando un modo per non pensarci… l’amore, la famiglia, i divertimenti, l’arte, la religione, la scienza, la filosofia, le ideologie, il volontariato sociale, persino le droghe e i vizi… qualunque cosa l’uomo faccia, che egli ne sia consapevole o no, egli sta cercando di rispondere a questa inquietudine esistenziale e di dare un senso coerente alla propria mortalità, oppure di allontanare e distrarre la mente da questo pensiero. Anche a causa di ciò l’uomo odia più di ogni altra cosa l’eventualità di ritrovarsi da solo e senza niente da fare: perchè questo lo costringerebbe a porsi nudo davanti a se stesso, e alla scomoda realtà finale della morte.

Infine è anche a causa di ciò che da sempre l’uomo davvero saggio nutre grande compassione e ammirazione per l’uomo, qualunque sia la sua strada scelta, le sue credenze, le risposte che cerca di darsi o di evitare. In qualunque modo lecito l’uomo cerchi di dare un senso alla propria vita, andrebbe ammirato il suo tentativo, non importa se per mezzo della fede in una religione o in una ideologia, o ancora semplicemente cercando di lasciare una traccia di sè per mezzo di una delle numerose arti, del volontariato sociale, della politica o lasciando soltanto un buon ricordo di sè agli amici. Allo stesso modo l’uomo saggio prova sempre comprensione, o nel peggiore dei casi compatimento, per l’uomo che cerca in tutti i modi di passare la sua vita cercando di soffocare e di non udire la propria inquietudine interiore, alla disperata ricerca della distrazione, arrivando a cercare anche lo stordimento nelle passioni e nei vizi del mondo.

Tranne quando l’uomo fa del male alla terra e agli esseri viventi, qualsiasi strada intrappresa o tentata dall’uomo merita rispetto o almeno comprensione. Non importa se crede di avere trovato la via giusta nella religione, nella famiglia, in un sistema filosofico, nel sociale o nel semplice cercare di godersi questa vita: merita rispetto. Ecco perchè forse un prete di campagna dovrebbe cercare, anche un pò “cristianamente”, di evitare di sparare facili e superficiali giudizi sparati alla pene di segugio (cazzo di cane, per i più raffinati).

Ma voglio partecipare al gioco, ed esaminare da vicino il fenomeno. E’ vero che tutti gli atei sono persone inclini al suicidio (cosa che tra l’altro ogni tanto Pontifex dice anche dei seguaci delle religioni orientali, dei musulmani, ecc ecc. Sembra che come al solito SOLO i cristiani si salvino in senso positivo… guarda caso sono sempre gli altri che non funzionano. Che coincidenza, eh! O magari è la solita vessazione del demonio che bussa alla porta di chiunque non sia cristiano, anzi… ultracattolico tradizionalista lefebvriano) e all’atteggiamento negativo nei confronti della vita?

Sì, in parte è potenzialmente vero. La ragione sociologica della cosiddetta “positività” della religione (sebbene dipenda anche dal tipo di religione) è abbastanza logica. Le religioni offrono un appiglio esistenziale, offrono la rassicurante immagine di un universo “conosciuto” e ordinato, offrono la garanzia di un posto ben preciso nell’universo e di un senso e di uno scopo all’interno di esso. Se paragonato all’incertezza della consapevolezza di non conoscere l’universo ignoto e il proprio ruolo e significato (ammesso che ci sia) in esso, chiaramente la religione ha una influenza più positiva nel “calmare” le inquietudini dell’animo umano.

Ma si badi bene che il solo vantaggio della religione, vista da questo punto di vista, è solo quello di calmante e di analgesico. Da questo punto di vista allora possiamo anche affermare l’evidenza di come i bambini che credono in Babbo Natale siano molto più felici a Natale rispetto ai bambini che non ci credono (ma ovviamente nemmeno questo è propriamente scontato).

Possiamo dare per scontato che il credere di vivere in un cosmo ordinato, fatato, intelligente, finalizzato al nostro esistere e al cui interno l’uomo occupa un ruolo, un significato e un destino immortale, è qualcosa che fa sentire l’uomo molto meglio del pensare di trovarsi all’interno di un universo cieco in continua espansione, senza scopo, senza significato, nel quale noi ci troviamo qui a porci un sacco di domande come tante formichine sparse su un piccolo pianeta azzurro lanciato intorno ad una stella di media durata situata casualmente alla periferia di una delle tante galassie qualsiasi. Il credente immagina che tutto abbia un senso e un significato, e anche questo aiuta nell’essere positivi di fronte agli incidenti della vita. Perdippiù il credente è convinto di essere continuamente osservato, e quindi pensa che ogni suo sforzo, ingiustizia o patimento sarà osservato e premiato… quindi stringe i denti nel dolore aspettandosi la ricopensa che “verrà” (ecco anche perchè però il sacrificio altruistico di un ateo, a ben pensarci, è più sincero e altruistico di quello di un credente: egli non si aspetta nessun riconoscimento dopo la morte se sacrifica la propria vita per salvare qualcun altro). Certamente la vita di un credente è molto più facile e “pucciosa” di quella di un ateo. Magari il credente cristiano si lamenterà, dicendo che la vita di un credente non è affatto facile, perchè è fatta di persecuzioni (solito vittimismo cristiano, come se nel mondo non esistesse nessun altro caso di persona che può essere perseguitata o messa alla gogna per le prorie convinzioni), derisioni, tentazioni e di rinunce, ma…. hey! Però poi voi alla fine vi beccate la vita eterna in un posto superfighissimo, no? Ne vale la pena, no? Quindi provate ad immaginare come sia invece più triste la consapevolezza di un ateo che sa che alla fine di tutto vi è solo… il nulla.

Si badi bene che noi qui non discutiamo riguardo a quale sia la “verità ultima dell’universo”. Non ha importanza perchè, vera o no che sia, nel nostro mondo è “reale” solo l’immagine che abbiamo di esso. Non importa se il paradiso del cristiano esiste veramente: egli vivrà in ogni caso la sua vita come se questo paradiso esistesse davvero. Allo stesso modo non ha importanza il fatto che l’ateo possa sbagliarsi e che dopo la morte possa esserci “qualcosa”: egli in ogni caso vivrà come se dopo la morte non esistesse nulla.

Noi non stiamo discutendo di cosmologia, ma di perchè l’uomo può essere più o meno incline ad un atteggiamento positivo o negativo nei confronti della vita. Ed ad influire su questo non è come il mondo è in realtà (tutti hanno la pretesa di saperlo, pochi sanno di non sapere), ma come l’uomo crede che sia il mondo.

Quindi è vero, l’uomo che crede nell’anima immortale e nel paradiso ha un atteggiamento generalmente più positivo. C’è chi può vederlo come qualcosa di benefico, e c’è anche chi può vederlo come un addormentamento, come “l’oppio dei popoli”. Non occorre essere marxisti per ammettere che in fondo è evidente che la gente che crede in un aldilà protesta molto meno per le ingiustizie sociali di questo mondo. Anzi, la religione è un ottimo affare anche dal punto di vista politico e materiale, perchè l’uomo che crede vede nella privazione in questo mondo un’ottima occasione per accumulare “meriti” e “crediti” nell’altro mondo. Egli, invece di protestare, accetta le avversità quasi con gioia, o fa comunque meno storie dell’ateo, il quale, potendo godere di una sola vita e non avendo la prospettiva che ciò che patisce in questa dia ricompense nella prossima che non c’è, forse potrebbe protestare molto di più ed essere molto meno disposto a sopportare. Il credente prega, l’ateo può scatenare le rivoluzioni. Quindi anche dal punto di vista materialista, e soprattutto politico, la religione risulta essere un OTTIMO affare, un fantastico modo per avere una società soddisfatta senza dover cambiare nulla.

L’ateismo è scomodo. E’ scomodo per chi lo è. Ed è scomodo per la società, che con la perdita della religione perde un potente mezzo per avere gente che accetta passivamente i mali del mondo come “prova” per la vita beata nel prossimo.

Allora perchè esiste l’ateismo?

Una domanda che rivolgo a Don Marcello Stanzione: secondo lui l’ateo si diverte ad essere tale?

Quale persona razionale e sana di mente al mondo è felice di immaginare di non avere anima immortale e di vivere in un universo cieco, freddo e senza scopo finale, e rinucia volentieri alla prospettiva di essere immortale, che il cosmo sia ordinato, intelligente e con un grande destino immortale per l’uomo?

Se la prospettiva non è felice, allora c’è da domandarsi: cosa spinge un uomo ad accettare una grigia prospettiva come il nulla? Gli piace immaginarlo? Beh, no di sicuro! Quindi il credente dovrebbe domandarsi meglio le ragioni del perchè un ateo sia ateo, e di come questa scelta non sia una scelta di gioia, ma di necessaria constatazione, almeno dal suo punto di vista.

Credo che qualsiasi credente dovrebbe almeno parzialmente ammirare il coraggio di un ateo, e la sua fedeltà a quello che secondo lui è la realtà, e non quello che gli piacerebbe immaginare.

Spesso il credente si stupisce del credo ateista, e con faccia stupita esclama: “ma come si fa ad accettare un mondo senza Dio, senza scopo, senza vita dopo la morte?”… il loro ragionamento, di matrice più sentimentale che razionale, sembra essere “come si fa ad accettare un mondo che non è esattamente come noi lo vorremmo?”

L’idea “filosofica” del credente sembra essere “se sarebbe bello che fosse così, allora è per forza così!”.

Da un certo punto di vista sentimentale non è possibile dare torto al credente. Il giudizio del credente è quasi di natura estetica: un mondo così sarebbe più bello, quindi DEVE essere così. Come dargli torto? Qualunque sia la religione in questione, essendo frutto dell’uomo, ha in sè qualcosa di artistico e di sensato (ma anche no, lo dimostrano tante brutte religioni della punizione e dell’ira che sicuramente rendono molto più attraente e poetico il freddo nulla della materia).

L’approccio dell’ateo è differente, e sfugge allo spirito “poetico” del credente. L’ateo è interessato a vedere ed ad accettare la verità in faccia, qualunque essa sia. Per l’ateo i fatti sono più importanti di qualsiasi romantica illusione. Quindi l’ateo guarda e ciò che vede lo percepisce come reale. All’ateo non necessariamente piace quello che vede, ma il suo imperativo morale è accettare il mondo per quello che è, o almeno per quello che gli sembra (non è affatto vero che il mondo sia per forza come esso gli appare). E in questo egli è probabilmente da ammirare. Egli in nome della verità è disposto persino a vivere in un mondo cieco, vuoto e senza senso. Egli quindi si impegna a trovare un senso in questo nulla e a combattere coraggiosamente la sua epica battaglia che lo conduce verso il nulla. Il credente bigotto (che quindi distinguiamo come sotto-categoria del credente generale) vede e descrive l’ateo come un mostro, una bestia che pensa solo a mangiare e a dormire. Non è affatto vero. Ci sono atei con una grande dignità, un grande coraggio esistenziale che il credente dovrebbe solo rispettare. L’ateo, quando è un grande uomo che vive per il mondo, per la società e per il prossimo, è persino più grande e “puro” di molti credenti, perchè egli autenticamente fa il bene del prossimo senza aspettarsi nessuna ricompensa in un altro mondo o da parte di un Essere invisibile che spia e annota i suoi gesti nell’ombra. E quindi credo che sia persino più grande agli occhi di un qualche Dio veramente interessato a scrutare il cuore delle persone.

Il credente dovrebbe imparare a comprendere il coraggio e la coerenza dell’ateo. E l’ateo dovrebbe imparare a comprendere il senso “estetico” del credente, che giustamente vuole immaginare un universo pieno di significato e senso, dove l’anima dell’uomo sia giustamente immortale, contro la banalità e la mancanza di poesia dell’universo materiale.

«Vivo solo perché è in mio potere morire quando meglio mi sembrerà: senza l’idea del suicidio, mi sarei ucciso subito.» Emil Cioran

Tornando al tema centrale del suicidio, una onesta analisi ci porta ad approfondire il tema al di là delle prime impressioni apparentemente scontate.

E’ vero che l’ateo tende al suicidio molto più spesso del credente? Le statistiche non dicono molto. Don Stanzione parla di suicidio più diffuso nei paesi dell’ex comunismo dell’Est, ma l’ateismo non è qualcosa che si limita solo al comunismo. Anche nei paesi capitalisti l’ateismo è diffuso, eppure non vantano un numero così elevato di suicidi. Don Stanzione non menziona i paesi dell’Europa dell’estremo nord, che hanno una delle percentuali di atei più elevate di tutta l’Europa. Quando si parla di ateismo, viene sempre comoda l’immagine di un comunista cinese o dello stalinista russo di mezzo secolo fa, con il suo terribile regime dittatoriale, con lo sfruttamento della natura senza rispetto, con la negazione dei diritti. E’ una immagine comoda per far credere che “ateo” sia sempre sinonimo di uomo violento, senza scrupoli, antidemocratico e diabolico. Quando il pontifesso medio parla di ateismo, in realtà cerca di rifilarci l’immagine dello stalinista o del maoista, con tutto il negativo che ne consegue. La bugia del pontifesso è quella di volerci far credere che l’ateo sia per forza stalinista e maoista, mentre è vero il contrario: semmai è lo stalinista ad essere ateo, uno dei tanti tipi di ateo possibile, e non l’unico. Il cattotalebano vuole a tutti i costi far credere che un mondo senza Dio sia per forza un mondo violento e inumano. Mentre secoli di storia ci confermano che anche in un mondo in cui è forte la presenza di Dio la violenza e la crudeltà non è spesso da meno. Infatti non è la presenza di Dio o meno a rendere civile e umana la società, quanto semplicemente la presenza o meno di una umanità civile, credente in qualche religione o meno che sia.

Anche i paesi della penisola scandinava (la Svezia è il paese con più popolazione atea in Europa), la Danimarca e la Repubblica Ceca sono tra i paesi con la più alta percentuale di ateismo, eppure non ci risultano particolarmente famosi per i suicidi (e l’ultimo paese citato ha avuto anche un regime comunista). Nemmeno il malinconico e freddo paesaggio scandinavo sembra dare agli svedesi la sinistra inclinazione alla depressione e al suicidio… che sia merito dello xilitolo? Come mai Don Stanzione, parlandoci di paesi con alta percentuale di atei inclini al suicidio, non ci ha parlato degli svedesi e degli altri popoli della penisola scandinava? Forse perchè non sono anche comunisti? Forse perchè questi popoli, tranquilli, efficienti, democratici, laici, ambientalisti, di cui non abbiamo mai occasione di ascoltare notizie di disordini o di violazione dei diritti umani (al contrario, sono molto efficienti in questo senso) non danno una buona immagine dell’ateo medio, che per la propaganda affatto disinteressata di Pontifex deve presentarsi sempre come vile cane calpestatore di Dio e della dignità umana?

E parlando di comunisti, perchè non si è parlato di Cuba? Non ci risulta che abbiano il suicidio facile.

Don Stanzione ha fondamentalmente parlato di Cina, Russia e Giappone, che sono effettivamente davvero i tre paesi più atei del pianeta e anche i più propensi alla pratica del suicidio.

Ma esaminiamo il fenomeno da vicino.

-La Russia è un enorme paese che è sempre stato devastato dalla povertà e da condizioni difficili. E discorso analogo vale per molti paesi dei dintorni, come testimoniano per esempio le carestie documentate nel passato dell’Ucraina… terre fredde, difficili da coltivare, abbandonate a se stesse da signori feudali che se ne fregavano (le rivoluzioni del popolo, come quella giacobina e comunista, hanno sempre colpito le terre impoverite da nobiltà indifferenti al benessere del popolo)… Se leggiamo Dostoevskij ci rendiamo conto di come la disperazione, e quindi anche la possibilità del pensiero del suicidio, serpeggiassero tra i disperati di queste terre molto prima del comunismo ateo. Anzi, probabilmente la gente ha cominciato a dubitare di Dio proprio a causa di questa disperazione. E l’attuale passaggio dal comunismo al capitalismo occidentale è un passaggio difficilissimo che porta con se molte difficoltà economiche, probabilmente alla base della vera ragione dei casi di suicidio. La povertà diffusa quindi è la causa, non il passato comunista, che come sappiamo fa parte anche di Praga, piena di non credenti, ma non di gente che si toglie la vita.

-La Cina è forse l’unico caso in cui possiamo dare ragione a Stanzione e parlare di effettiva colpa del regime. Ma non è l’ateismo in sè ad essere frustrante (la Cina è sempre stata atea, anche duemila anni fa. Nessuna delle sue religioni ha mai contemplato la possibilità dell’esistenza di Dio. Il passato culturale della Cina è la confutazione vivente  ed esistente della tesi dei teologi del medioevo cristiano che sostenevano che il concetto di “Dio” fosse innato in tutti gli uomini e in tutte le culture), quanto in questo caso davvero il “comunismo” (in realtà, sia parlando di stalinismo che di maoismo, sarebbe più corretto parlare di “fascismo rosso”, essendo il vero comunismo una realtà che ancora non è mai stata davvero concretizzata nella storia, anche a causa del fatto che essenzialmente il vero comunismo è una utopia irrealizzabile in una società di individui con una coscienza basata sul proprio “ego”, incapace di identificarsi nei bisogni del prossimo, con la fame di possedere tutto fregandosene di cosa mancherà all’altro… ironicamente, una società autenticamente comunista e comunitaria dovrebbe essere una società composta solo da tanti Gesù Cristo e Buddha capaci di ragionare al di fuori degli interessi del proprio piccolo patetico “io”), che in Cina si manifesta nel regime grigio e oppressivo che noi tutti tristemente conosciamo.

C’è comunque da tenere presente anche questo nelle statistiche: la popolazione della sola Cina è di più di un miliardo di abitanti, 1/6 della popolazione mondiale.

Questo significa che, astrattamente e senza pretese matematiche serie, ogni volta che parliamo di un suicidio, c’è una possibilità su sei che possa essere cinese. Praticamente lanciando un dado c’è una possibilità su sei che quella persona possa essere cinese, mentre ci sono cinque possibilità su sei che… possa appartenere al resto del mondo. Anche questo va tenuto in conto.

-Il Giappone è un caso a parte che conosco molto bene, a causa dell’amore che provo per questa terra (sono praticamente nato sentendomi nello spirito più giapponese che italiano), per il suo passato, la sua storia, le sue tradizioni, la sua estetica, la sua spiritualità, ecc.

Prima di tutto ci sono due cose da considerare. La prima è che molti giapponesi sono più propriamente da definirsi “agnostici”, piuttosto che atei. Al contrario della Cina, non parliamo di un paese che è stato dominato dal materialismo storico del comunismo, ma di un paese che ha subito secoli di influenza buddhista e shintoista. Se è vero che la lunga presenza di una religione condiziona la mentalità di un paese, il Giappone eredita lo spirito dello zen e dello shinto. Dallo zen eredita la consapevolezza buddhista dell’inutilità di credere ciecamente nell’indimostrato e in ciò che non è personalmente vissuto e sperimentato. Dallo shinto eredita l’idea che tutto sia in fondo spirituale. Il vero ateismo materialista (vedasi Cina) è una convinzione granitica e dogmatica che manca nella mentalità giapponese, che in realtà non possiede posizioni ferme e incrollabili sull’argomento. Il Giappone non è ateo, anzi, dall’esperienza raccontata da molti risulta che sia uno dei paesi in cui più in assoluto si possa percepire qualcosa di indefinibilmente”spirituale”. Non nei templi, ma ovunque… nel cibo, nello sport, nelle espressioni artistiche, nei luoghi più comuni. Il giapponese, anche quello ateo, ha una visione delle cose che potremmo definire “spirituale”. Le arti marziali sono in Giappone un esempio di qualcosa di “spirituale”, sebbene non religioso. Il giapponese inoltre, anche se non crede in “Dio”, crede molto spesso nel soprannaturale, crede spesso nella presenza di una realtà e dimensione spirituale, sebbene si astenga dal definirla agli altri e a se stesso con precisione e chiarezza. Lo stesso buddhismo in fondo è una “religione” che si astiene dal descrivere e definire con precisione la realtà spirituale delle cose, se non simbolicamente e vagamente. Questo perchè il buddhismo condanna la fede, e invita colui che vuole conoscere a trovare il modo di fare esperienza diretta di ciò che altrimenti rimane solo fantasia e congettura.

Il secondo aspetto da considerare è il modo in cui il giapponese pensa riguardo alla morte e al suicidio. Il Giappone appartiene ad una di quelle culture che non vede nel suicidio un disonore o una fuga dalla realtà. Il suicidio per il giapponese è una scelta consapevole e ragionata che la società rispetta e ammira. In alcuni casi il suicidio diventa affermazione e riscatto del proprio onore e della propria dignità. Nell’antichità per i nobili poteva assumere la forma di una vera e propria cerimonia, a cui il nobile si presentava sereno, recitando poesie scritte di suo pugno per l’occasione. Non è qualcosa di estremamente lontano dalla mentalità di altri popoli. Antichi romani e greci (soprattutto i noti spartani) avevano una concezione simile della morte, del suicidio e dell’onore. Ovviamente nemmeno queste culture esaltavano la decisione del suicidio presa con leggerezza e senza valida motivazione. Ma non vi era certamente il tabù cristiano di oggi, che di fronte alla morte dignitosa digrigna i denti per il disprezzo, trovando molto più dignitoso costringere un uomo a vivere anche quando la vita diventa negazione della dignità stessa di vivere.

Infine, parlando ancora di Giappone, c’è qualcosa di ancora più concreto da tenere presente. In Giappone sono soprattutto i giovani a suicidarsi. Come mai? A causa di quello che io biasimo aspramente del Giappone, ovvero il sistema di istruzione. Se da una parte il sistema di istruzione del Giappone, al contrario del nostro, è capace di garantire alte probabilità di occupazione dopo gli studi (realtà anche questa messa in discussione dalla crisi economica), è anche vero che per tutta la durata dei suoi studi il ragazzo giapponese viene sottoposto a ritmi e pressioni titaniche. Si comincia dal fatto che tutte le scuole, anche di livello più basso, sono caratterizzate da rigidi esami di ammissione. Le scuole private sono le uniche che garantiscono futuro nel mondo del lavoro, obbligando i genitori a trovare i soldi per finanziare la carriera dei figli. Essere bocciati nei casi più gravi può comportare l’impossibilità di potersi iscrivere di nuovo nella stessa scuola e rappresenta una macchia indelebile nel curriculum personale, perchè i datori di lavoro sono molto severi nel selezionare personale proveniente da scuole prestigiose e con buon rendimento. La vita dello studente e del lavoratore giapponese è una vita “pericolosa” nella quale può capitare di rendersi conto di avere definitivamente perso il proprio “treno” e che non ci sono più possibilità per recuperare, lasciando appunto solo la prospettiva del “congedo dal mondo”, il suicidio. Leggendo e guardando spesso storie giapponesi, mi capitava di rimanere perplesso davanti alla esagerata e drammatica reazione degli studenti di oggi nei confronti di quelli che un comune studente italiano come me percepiva come banali problemi giovanili di uno studente. In Italia lo studio non garantisce affatto il lavoro (cosa che invece i giapponesi potrebbero rimproverare a noi) ma è meno gravoso, quindi non potevo comprendere. Ho cominciato a comprendere solo dopo aver appreso le profonde differenze tra i due diversi modelli di istruzione e occupazione che ci sono tra i nostri due paesi. Se desidera approfondire l’argomento, Don Stanzione può leggere queste pagine: http://it.wikipedia.org/wiki/Istruzione_in_Giappone e http://dweb.repubblica.it/dweb/2004/08/21/attualita/attualita/020fer41420.html . Aggiungo anche questo articolo ( “Il lato oscuro del Giappone” ), del quale vorrei riportare questa parte, per far comprendere la gravità estrema della situazione:

A causa dei continui stress a cui sono sottoposti gli studenti, i suicidi tra gli scolari sono frequentissimi (1000 all’anno). Non è molto difficile poi spiegare la delinquenza sempre più diffusa tra i minorenni e gli appena maggiorenni (è comunque un fenomeno ben lontano dai vertici statunitensi o anche nostrani). Nevrosi riconducibili alla fobia vera a propria della scuola (la cosiddetta sindrome tokokyohi) sono all’ordine del giorno, tanto che a Tokyo c’è addirittura una scuola dedita al recupero dei ragazzini affetti dalla sindrome.

Spero che Don Stanzione riesca a capire che i ragazzi giapponesi sono spinti al suicidio da problemi molto più concreti della mancanza di Dio. Nemmeno i ragazzi cattolici con le loro preghiere e la loro fede in Dio sarebbero in grado di sopportare la pressione di un simile sistema di istruzione che, di fatto, rappresenta il lato oscuro e sbagliato del Giappone.

L’errore di Stanzione, e di Pontifex, ancora una volta è quello di pensare che la religione c’entri sempre con tutto.

Anche l’interpretazione è sbagliata, perchè non tiene conto dell’individualità. Infatti individui diversi tendono sempre a comportarsi diversamente nei confronti della stessa cosa.

Per fare un esempio, la religione può anche istigare al suicidio. Tutti noi per esempio conosciamo il fenomeno del martirio volontario e deliberatamente cercato. Alcuni fedeli di una religione possono andare volentieri incontro alla morte, forti della propria convinzione di essere immortali e che raggiungeranno il paradiso. Essere convinti di questo può anche portare a rischiare più avventatamente la propria vita. Nessuno sa meglio di un integralista islamico come non ci sia niente di più coraggioso e disposto a morire di un fedele convinto di essere immortale e di meritare il paradiso. Un classico esempio è la vita di Husayn ibn Manṣūr Hallāj, il cui desiderio di martirio sinceramente sfiora quasi il concetto di deliberato suicidio. Non ne ridano i cristiani, perchè nei secoli scorsi anche molti dei loro santi sono stati veri e propri campioni del desiderio di morire a tutti i costi.

Quindi non conta molto l’essere atei o credenti. Dipende molto da come ogni singolo individuo interpreta e vive il suo essere l’uno o l’altro.

L’ateismo può anche essere uno stimolo alla vita. La consapevolezza di avere solo questa vita da vivere spesso spinge l’ateo a non sprecare la propria vita in mortificazione e in attesa della vita futura (si pensi ad una suora di clausura… vi è forse modo peggiore di sprecare la propria vita terrena inutilmente? La vita nell’altro mondo è cosa che può giustamente richiedere cura e preparazione, ma anche questa vita terrena dovrebbe essere vissuta e assaporata per quello che può offrire, senza eccessi di alcun tipo). La consapevolezza di avere solo questa vita da vivere può essere per alcuni un grande incentivo a viverla fino in fondo, con tutti i problemi e sofferenze che comporta, perchè cosa vi può essere di peggiore del nulla, del non poter più partecipare al gioco della vita?

Quindi tutto dipende dall’individuo, il quale può benissimo avere reazioni diverse davanti alla convinzione di essere un anima immortale o di essere solo un corpo che cessa di esistere dopo la morte. Riguardo a certi eventuali “studi” di eminenti psicologi, psicoterapeuti, psichiatri o psicoaltraroba, bisognerenne innanzitutto chiedere loro se sono credenti o materialisti, e quanto questo condizioni il loro grado di obiettività. Non farei mai arbitrare una partita da un arbitro palesemente condizionato dalla propria tifoseria di appartenenza. Leggendo le numerose interviste ad “eminenti” psicologi, criminologi e similtuttologi su Pontifex, ho potuto constatare come l’essere fortemente di parte spinge gli “esperti” a confondere le credenze personali con l’autentico metodo obiettivo della propria disciplina.

Riguardo al tema dell’eutanasia, sono d’accordo con il fatto che questa società impedisca di poter morire con dignità quando lo si considera opportuno. Come ho già detto altre volte, non mi piace pensare ad un’altra persona che vuole morire. Ma se penso al sottoscritto, mi rendo conto che davanti a certe possibilità come certe malattie (per esempio un tumore inoperabile che mi porterà solo a dover soffrire in maniera indicibile, o l’alzhaimer che mi porterà ad essere solo la patetica ombra di me stesso) vorrei poter contare su una società maggiormente intelligente, meno moralista e più realmente comprensiva, che mi permetta di poter scegliere una fine più dignitosa, in piena consapevolezza e in pieno possesso delle mie ultime volontà. Questo bigottismo che si fa tanto paladino della vita… dal mio punto di vista è solo un sadico paladino del dolore a tutti i costi. In certi casi fuggire dal dolore è vigliaccheria. In altri casi non congedarsi dal dolore è stupidità, ed il volere costringere il prossimo al dolore senza dignità è solo crudeltà.

In occidente manca completamente la capacità di concepire la dignità insita nel sapersi ritirare quando è dignitoso farlo. Si concepisce l’atto del suicidio come un atto vigliacco, meschino, di cui vergognarsi sempre. A volte può essere così, ma si dovrebbe essere abbastanza intelligenti da capire la differenza che c’è da caso a caso. In oriente e nell’occidente antico invece sarebbe stato indicato come indegno, triste e umiliante il voler vivere sempre e comunque, anche quando non è dignitoso e umano.

In occidente si associa sempre il suicidio alla disperazione. Certo, ovviamente il suicidio può essere portato dalla disperazione. Ma può anche essere una scelta assolutamente lucida, razionale, ragionata, fredda e assolutamente priva di lacrime e disperazione. Una semplice scelta ragionata.

So poco io di Monicelli. Non ho idea se si sia suicidato per disperazione, o se lo abbia fatto lucidamente, come semplice conseguenza di una decisione razionale e ragionata che purtroppo in questa società si può portare a termine solo nella maniera “poco elegante” che ha fatto tanto notizia.

Stanzione parla agli atei dicendo di seguire per coerenza l’esempio di Monicelli. E perchè no? Può darsi che lo faranno, quando ne avranno un valido motivo. Certo non si suicideranno senza motivo oggi, solo per accontentare lui. A Stanzione sfugge il fatto che anche il suicidio deve avere uno scopo e una utilità, altrimenti è ridicolo. Ma se lo desidera tanto, può fare lui quello che auspica così “cristianamente” agli atei.

Gianfranco Giampietro.

21 pensieri su “Lettera a Stanzione: il male di vivere

  1. AlbertoB

    Un ennesimo “bravo” a GG : perfetto contraltare alla visione semplicistica , o per meglio dire sempliciotta , prevedibilmente e sconsolatamente “contadina” di Stanzione ; da buon prete di campagna certe sottigliezze gli sfuggono , trovandosi più a suo agio con la zappa e la vanga. E con le campane tibetane mentre celebra i suoi riti di supercazzole new age travestiti da angeologia.

    Rispondi
      1. Gianfranco Giampietro

        Ragazzi, i complimenti mi fanno arrossire, e ciò non è un bene: i pontifessi potrebbero approfittare di questo colore per dire che sono uno scomunicato comunista marxista leninista! 😉

        Rispondi
  2. diego

    anche la religione può spingere al suicidio: mi sembra che in Baviera, in una città molto religiosa, le persone abbiano così paura del castigo divino da entrare in depressione e poi suicidarsi. Poi c’è una forma più sottile e subdola di istigazione al suicidio, che non capisco perchè delle persone che si definiscono amorevoli e caritatevoli applicano agli altri con maligno gusto, è il caso dei molti suicidi tra gli adolescenti gay negli stati uniti.

    Rispondi
    1. Gianfranco Giampietro

      “Poi c’è una forma più sottile e subdola di istigazione al suicidio, che non capisco perchè delle persone che si definiscono amorevoli e caritatevoli applicano agli altri con maligno gusto, è il caso dei molti suicidi tra gli adolescenti gay negli stati uniti”.

      Ottima osservazione, è vero!

      Rispondi
  3. pao

    Sai Giagia, quando ho letto le prime righe del tuo articolo (impeccabile come sempre, bravo!) non potevo credere che Don Strazione avesse scritto delle parole del genere e me lo sono andata a cercare tra le pagine pontifeSSe…sono allibita!Le ha scritte sul serio!
    Non ho nemmeno voglia di scherzarci perché, sto poveraccio, che in teoria dovrebbe essere un prete cattolico, spiritualmente deve essere ridotto piuttosto malaccio per riuscire a partorire tali bestialitá.
    E´vero, Sua Entitá non era mai parsa come una persona equilibrata (come del resto nemmeno gli altri due elementi della triade pontifeSSa) ma la sua malignitá, la sua meschinitá, la sua frustrazione risaltano particolarmente in questo articolo. A prescindere da ció che potrebbero pensarne i suoi superiori (va segnalato!) ve lo immaginate voi uno cosí a impartire per es. l´estrema unzione ad un malato? a scacciare i demoni? a parlare 365 giorni con gli angeli? insomma.. lo lascereste solo coi vostri bambini?
    Adesso capisco perché Cidippí é ridotto cosí..con certe guide spirituali al tuo fianco il demonio diventa superfluo!
    È mile volte meglio essere atei.

    Rispondi
    1. AlbertoB

      Già CDP… che fine ha fatto? Sta andando a piedi a Roma “all’udienza privata con il Papa”?

      “Per concludere, invito tutti i lettori di Pontifex.Roma e gli iscritti alla Milizia di San Michele Arcangelo ad inviarmi una personale email all’indirizzo [omissis , che poi va a finire che volano le accuse di spamming] , con nome e cognome, per poter organizzare un gruppo di fedeli e, come indicato nella Lettera Vaticana, inoltrare la richiesta alla Santa Sede, per essere ricevuti in udienza e far sentire la nostra voce e la nostra vicinanza a Sua Santità. In Ottobre programmeremo l’invio di tutti i nominativi, per ricevere i pass necessari all’accesso in udienza”
      (http://www.pontifex.roma.it/index.php/editoriale/il-fatto/5259-dalla-segreteria-di-stato-del-vaticano-mi-giunge-benedizione-apostolica-del-sommo-pontefice-che-come-indicato-estendo-volentieri-alle-persone-a-me-care-tra-cui-i-miei-parenti-ed-i-lettori-di-pontifexroma-nonche-agli-iscritti-alla-msma)

      Charlie , ottobre è passato , novembre idem , dicembre è già avviato. Che si fa , si va o no?

      P.S.scusate ma io di questa cosa rido ancora oggi , a distanza di mesi 😀

      Rispondi
        1. AlbertoB

          Tutto può essere , rimarrebbe però oscuro il motivo.
          Piccola nota a margine , visti i temi degli ultimi articoli : demoni , diavoli , fazi & saviani , mettiamoci anche gli omosessuali. Deve essere piuttosto brutto vivere in mezzo ai nemici. Soprattutto quando i nemici sono solo nella testa di chi li vede. Patologico?

          Rispondi
          1. admin

            Definetly … Molto patologico.

            Tipico esempio della “sindrome di Calimero”. Come quando la colpa dei presunti danni fisici subiti dal Maldestro ricadeva su di un non-meglio-identificato-gruppo-su-facebook 🙂

            Già, sarà il caso di andare a cercare nel passato Pontifesso tutti gli articoli in cui si facevano passare per vittime. E magari farne una collezione. L’antologia dei Calimeri Pontifessi! 🙂

    2. Gianfranco Giampietro

      Sai Pao, credo che ormai si possa anche dire chiaramente che i pontifessi non sono cattolici. Non è una scoperta, sapevamo già che i pontifessi sono gli estremisti del cattolicesimo, autori di affermazioni e posizioni che la Chiesa cattolica ufficiale non potrebbe mai pubblicamente condividere. Ma anche definendoli estremisti del cattolicesimo, mi sono reso conto, sbagliamo definizioni. Alla luce delle ultime cose lette, possiamo proprio dire che questa gente è pseudolefebvriana. Alla fine sono lefebvriani, i quali NON sono definibili come cattolici. Anche se non direttamente legati al movimento, ritroviamo in Pontifex tutta la tipica mentalità lefebvriana:

      L’estremismo religioso, la simpatia (reciproca) per movimenti politici e ideologici di estrema destra, l’antisemitismo, il fatto di credere superstiziosamente in tutta una serie di fantomatici complotti nella quale credevano ciecamente anche i nazisti (gli ebrei, l’accusa del sangue, i massoni, gli alieni), il fatto di volere una Chiesa cattolica che possano “ritagliare” a proprio piacimento prendendone solo quello che piace a loro e definendo “eretico” e “modernista” ciò che non piace loro, il fatto che credono di potersi ergere a giudizi e inquisitori della Chiesa e che possano scomunicare con chissà quale autorità Papi, preti, sacerdoti, e tutto quello che non gradiscono delle dichiarazioni della Chiesa cattolica vera e ufficiale. Il fatto che possano dichiararsi “cattolici” e però possano sentirsi liberi di accettare le posizioni, i pontefici ed i Concili sono fino a quanto fa comodo a loro e alle loro personali convinzioni.

      Diciamolo chiaramente: questa gente NON è cattolica… sono molto simili ai lefebvriani, seguono quello che dice la Chiesa solo finchè questo si accorda alle loro idee estremiste in salsa cattolicofascista (lol, basta anche vedere la gente che intervistano più spesso… qualche lefebvriano, qualche emerito negazionista, la vedova di qualche fascista, qualche psicologo o criminologo frustrato dal fatto di non trovare altrove attenzione, ecc.)

      Riguardo quanto discusso in questo articolo, oggi Pontifex ha pubblicato un altro articolo sull’argomento, concentrandosi soprattutto su Cina e Giappone (avendo letto che sono soprattutto un ammiratore della cultura giapponese, magari il Giappone diventerà il protagonista degli imminenti sfoghi di bile dei pontifessi)… Che dire? Ancora un altro articolo pieno di banali luoghi comuni… per loro tutti i mali dell’umanità si riducono alla presenza o meno della religione (sia chiaro, della LORO religione! Anche i protestanti vengono dipinti come “tendenti al suicidio” in misura maggiore rispetto ai pii paesi cattolici doc) rispetto all’ateismo. Fattori importanti come la mancanza di lavoro (ma in fondo non si è detto che l’essere precari è un problema meno grave della mancanza di religione?), la povertà, la dittatura, l’oppressione, un sistema di istruzione che distrugge il sistema nervoso dei giovani (vedasi Giappone)… tutte queste cose NON sono importanti dal loro punto di vista.

      Per non parlare di come ad ogni loro articolo le loro infondate statistiche continuano ad essere vaghe e mutevoli: ora il paese con più suicidi è questo, che però scivola al sesto posto in un altro loro articolo… ai primi posti poi compaiono nuovi paesi che prima non sono mai stati menzionati.

      Resta il fatto che esempi come la Svezia (con moltissimi atei, ma dove la gente è tranquilla, per niente depressa e senza clamori per chissà quali regimi di opressione) continuano a non essere citati, perchè non soddisfano i criteri di immagine che vogliono dare dei paesi con forte presenza di ateismo.

      Scommetto che uno dei prossimi articoli di Stanzione sarà sui martiri cristiani in Giappone.

      Ovviamente io per bilanciare scriverò per ricordare come noi “civilissimi” occidentali cristiani siamo stati così gentili da chiedere loro di commerciare con noi e di accogliere le nostre navi nei loro porti… ovviamente puntando i nostri cannoni sulle loro città mentre facevamo questa “gentile richiesta” di “amicizia”.

      Oppure di come in noto condottiero Oda Nobunaga, “convertitosi” al cattolicesimo (in realtà fece quello che fece Costantino: sfruttò i vantaggi strategici derivanti da questa religione. Di fatto non fu mai veramente un autentico cristiano. Del resto nessun generale che continua a comandare un esercito è degno di essere definito tale.) fece radere al suolo decine di monasteri e templi buddhisti… beh, in questo fu davvero in linea con il pensiero cristiano dell’epoca. Apprese anche la simpatica usanza occidentale dei roghi… bruciava vivi i suoi avversari. Si guadagnò il titolo di “Re Demone”

      Ovviamente non sono di parte… Da Tokugawa Ieyasu in poi i cristiani furono brutalmente perseguitati in maniera davvero indegna. Sebbene possa condividere in parte il pensiero di Tokugawa, agnostico, che sostenava l’importanza di uno Stato separato dalla religione (e che vedeva nel cattolicesimo una religione che non riesce a fare sinceramente questa separazione, oltre a vederla come una religione che incede facilmente nel fanatismo e nella pazzia), l’idea di perseguitare e uccidere rimane sempre sbagliata e crudele. Senza contare che Tokugawa non poteva certo immaginare che l’emo-cattolicesimo trae nutrimento e forza proprio dal vittimismo e dal fenomeno dei martiri. Ogni cristiano ucciso è un favore fatto all’emo-cattolicesimo e al suo culto del dolore e della morte. Dire semplicemente “no grazie, non compriamo nulla, tornatevene a casa scuotendo via la polvere dei vostri calzari” sarebbe stato molto più civile. Ma alla fine si finiva con l’accoglierli per il desiderio di commerciare tecnologie con l’occidente. Ci si accorgeva dello sbaglio solo quando la gente convertita alla nuova religione cominciava a manifestare i caretteri tipici del cristianesimo, con gente che non riusciva a tollerare la presenza di altre religioni e cominciava a dare fuoco ai templi shintoisti o a decapitare le teste delle statue buddhiste. Già non si può dire che i giapponesi fossero ben disposti nei confronti degli stranieri. Se a questo aggiungiamo il tipico atteggiamento “cristiano” intollerante verso le altre religioni, non è difficile comprendere perchè in Giappone si verificarono le stesse persecuzioni che si verificarono a Roma quando quest’ultima era pagana.

      Posso anche fornire ai pontifessi qualche pagina da usare per i loro articoli:
      http://mstatus.splinder.com/post/20850074/Lo+Shogun+Tokugawa+Ieyasu+e+la

      Rispondi
      1. admin

        In questi giorni cerco di tenere a bada un fastidioso raffreddore (che ieri ha colpito pure l’orecchio destro)… Ma quando leggo articoli (ahemm si, è un articolo) come questo mi preoccupo per il fegato dei Pontifessi che deve versare in condizioni veramente pietose. Ed i sintomi sono molteplici. Gli argomenti trattati, il numero di articoli pubblicati, l’assenza totale di commenti… Tutto lascia immaginare il Maldestro in crisi, vessato dall’ittero e dall’invidia… 🙂

        Rispondi
        1. Gianfranco Giampietro

          Admin, mi spiace per il raffreddore. Hai provato con la lettura di qualche libro di preghiere di liberazione e guarigione? Calma la tosse e libera il naso dalle possessioni del demonio 😉

          Rispondi
          1. admin

            Al momento trovo che il naso tappato tragga beneficio dalle semplici irrigazioni con soluzione isotonica (o fisiologica). Per i palati sopraffini consiglio il “siero del mare”. Mi ha salvato da notti insonni senza effetti collaterali (come lo stato di insonnia indotto dalla pseudoefedrina). Per la tosse mi rivolgo ai grandi classici: acetilcisteina come piovesse per trasformare la tosse in muco fluido e Levodropropizina per sedare perifericamente lo stimolo della tosse. Condisco il tutto con paracetamolo o acido acetil salicilico per la temperatura e poi mandaranci e clementine per completare l’opera. 🙂

    1. Gianfranco Giampietro

      In realtà è soprattutto leggendo quella chicca che ho scritto questo articolo 😉

      “Lettera aperta per Don Marcello Stanzione, sperando che gli capiti di leggerla. Il suo recente articolo (suo? spero di non sbagliarmi… ultimamente quasi tutto quello che porta la sua firma poi si rivela avere altre origini) sulla morte di Monicelli ( Soci dell’UARR siate coerenti fino in fondo: imitate Monicelli !!! ).”

      Rispondi

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