Negli ultimi anni, le questioni relative ai trattamenti di fine vita, ossia quelle pratiche attive o passive per determinare la morte di un paziente in stato terminale, sono diventate oggetto di un intenso dibattito pubblico negli Usa. Legislatori e giudici, leader religiosi e scienziati, cittadini e politici hanno espresso il loro punto di vista su quando e se una persona possa rifiutare le cure mediche ed accelerare la morte (cosiddetta eutanasia passiva) oppure se si possa avere il diritto di ricorrere ad un medico professionista che – somministrando farmaci letali – provochi la fine della vita del paziente (cosiddetta eutanasia attiva).
Negli ultimi 20 anni, quattro stati – Oregon, Washington, Montana e Vermont – hanno legalizzato l’eutanasia attiva e almeno una mezza dozzina di altri hanno considerato la questione.
Il dibattito riguarda anche se e quando sia lecito interrompere un trattamento vitale e chi possa prendere, al posto del paziente, questa importante decisione.
Secondo un sondaggio Gallup la maggioranza degli europei è favore dell’eutanasia attiva mentre, in base ad una rilevazione di Eurispes, gli italiani sarebbero divisi sulla liceità di questa pratica. Anche se in assenza di una legge che regolamenti in Italia l’eutanasia passiva, questa resta un diritto costituzionale.
La stessa frattura che si rivela nell’opinione pubblica italiana è presente anche in quella statunitense secondo quanto emerge da un sondaggio realizzato dal Pew Research Center. Continua a leggere
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La miope “catto-sociologia” di Avvenire
Per fortuna ci pensa il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire a rivelarci che l’Italia è nella top ten del rispetto per quanto riguarda l’omofobia: «L’Italia un paese intollerante? Dove i gay sono visti con diffidenza e discriminati? Falso. Al netto dell’acida propaganda ideologica, che ci vorrebbe “omofobi”, l’Italia appare come un paese sereno e accogliente. Tre italiani su quattro, oggi, non sono ostili nei confronti della persone omosessuali e meno di uno su cinque li ritiene un problema», così scrive Umberto Folena sul quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Continua Folena: «A dimostrarlo è un’indagine condotta a livello mondiale, in ben 39 paesi di tutti i continenti, dal Pew Research Center. Una ricerca che riserva alcune conferme e parecchie sorprese, dando un’energica spallata a non pochi luoghi comuni. L’Italia, per cominciare. Abituati a stazionare nelle retrovie delle classifiche mondiali d’ogni genere, stavolta occupiamo una lusinghiera ottava posizione (in rimonta). Ad accettare serenamente le persone omosessuali è il 74% della popolazione; meno sereno è ancora il 18; il rimanente 8 non ritiene di dover esprimere alcun parere». Insomma sembra proprio che non sia necessaria nessuna legge che contrasti l’omofobia e questa opinione è confermata da un editoriale pubblicato sullo stesso quotidiano in cui si legge: «L'”omofobia”, e tutto ciò che con questo termine oggi s’intende, è insopportabile. Perché nessuna violenza e nessuna discriminazione possono essere mai accettate. Ma la strategia tesa a garantire una super-tutela alle persone omosessuali c’entra proprio poco con il rifiuto di violenza e discriminazione (soprattutto in un Paese come l’Italia che – l’abbiamo documentato ieri, pubblicando i recentissimi dati del “Pew Resarch Center” – è tra i primi dieci al mondo per rispetto di queste stesse persone)». Sebbene Avvenire dia notizia solo ora di questo studio in questo blog ne avevamo scritto a giugno. Continua a leggere
Papa Francesco in Brasile: lo attenderanno meno cattolici e più protestanti ed atei
Papa Francesco è pronto per andare in Brasile per la Giornata mondiale della gioventù ma lo attende un Brasile che è sempre meno cattolico e sempre più protestante e lontano dalla religione. Questo è quanto emerge da un sondaggio condotto dall’istituto americano di ricerche sociali Pew Research Center.
Pur rimanendo ancora maggioranza, la percentuale dei cattolici è diminuita dal 92 per cento del 1970 al 65 del 2010. In aumento invece i protestanti che in questi quarant’anni sono passati dal cinque al ventidue per cento e coloro che non si identificano in nessuna religione: nel 1970 erano solo l’un per cento della popolazione totale del Brasile mentre ora otto brasiliani su 100 si definiscono “inaffiliati”. In crescita anche chi professa altre religioni: dal 2 per cento del 1970 al cinque di tre anni fa.
In questi ultimi quattro decenni la popolazione brasiliana è più che raddoppiata (da 95 a 190 milioni) e – grazie a questo boom demografico – in valori assoluti è aumentato il numero dei cattolici che sono passati da 87 a 123 milioni. Bisogna sottolineare che negli ultimi dieci anni i cattolici – nonostante la crescita della popolazione – sono diminuiti anche in valori assoluti: se nel 2010 erano 125 milioni (il 75 per cento totale degli abitanti) nel 2013 si sono fermati a 123 milioni.
Dal 1970 è aumentato considerevolmente il numero dei protestanti (da cinque a 42 milioni) con un incremento soprattutto negli ultimi dieci anni: nel 2010 erano 26 milioni (15 per cento della popolazione totale). Continua a leggere
Canada: il Paese dell’acero, dell’alce, del castoro, dell’hockey e dei senza religione.
«Dio mantieni la nostra terra gloriosa e libera»: sono queste alcune parole dell’inno canadese nella versione inglese mentre in quella francese c’è il riferimento anche alla croce. Forse bisognerebbe modificare l’inno nazionale almeno se si considera quanto emerge da una ricerca dell’istituto privato di studi politici, economici e sociali americano Pew Research Center che da quarant’anni monitora l’affiliazione religiosa in Canada.
I canadesi sono ancora in maggioranza cristiani: il 39 per cento si considera cattolico ed il 27 protestante. In ogni caso queste comunità religiose si sono sensibilmente ridotte dal 1971 quando l’88 per cento della popolazione si definiva cristiano (47 per cento cattolico e 41 protestante).
In questi ultimi 40 anni seppur di poco sono aumentati (dal quattro all’11 per cento) chi professa altre religioni (islam, induismo, sikhismo, buddismo, ebraismo e cristianesimo ortodosso orientale) mentre il maggior incremento (dal 4 al 24 per cento) è di chi si considera non affiliato a nessuna religione.
L’istituto di ricerca mette in evidenza che la crescita di coloro che si considerano non appartenenti a nessuna religione in Canada è simile a quanto avvenuto negli Stati Uniti: infatti in entrambi i Paesi solo una persona su venti si definiva non affiliata a nessuna religione negli anni Settanta ma – in Canada nel corso negli Ottanta e negli Stati Uniti dagli anni Novanta – è lentamente cominciato l’allontanamento dalla religione con un aumento più massiccio negli ultimi dieci anni. Continua a leggere
Pew Research Center: per tre italiani su quattro l’omosessualità deve essere accettata dalla società.
In molti Stati è presente il dibattito sul matrimonio per le coppie dello stesso sesso: recentemente in Europa è stato introdotto in Francia mentre la Gran Bretagna di David Cameron è sul punto di farlo.
Nel corso del tempo è cambiata l’opinione della società nei confronti dell’omosessualità considerata da sempre più persone come un comportamento del tutto normale.
L’istituto privato di studi politici, economici e sociali americano Pew Research Center ha condotto una ricerca in 39 Paesi con lo scopo di verificare quale fosse il livello di accettazione dell’omosessualità: ne emerge che maggiormente i Paesi sono secolarizzati e minore è l’omofobia.
Paesi dove l’omosessualità è largamente accettata sono quelli del Nord America, dell’Unione Europea e dell’America Latina mentre le condizioni non sono facili nei Paesi islamici, in Africa, in gran parte dell’Asia ed in Russia. L’opinione pubblica si divide in Israele, Polonia e Bolivia.
Nel Nord America l’80 per cento dei canadesi pensa che l’omosessualità debba essere accettata mentre questa opinione è condivisa solo dal 60 per cento degli statunitensi.
In Europa i maggiori Paesi “gay-friendly” sono la Spagna dove l’88 per cento pensa che l’omosessualità sia normale, la Germania (87 per cento), la Repubblica Ceca (80 per cento), la Francia (77 per cento), la Gran Bretagna (76) e – nonostante le posizioni della Chiesa Cattolica e di parte della classe politica – l’Italia (74 per cento). Posizioni più basse nell’ortodossa Grecia dove solo il 53 per cento dell’opinione pubblica pensa che l’omosessualità sia normale, la Polonia (solo il 42) mentre la situazione è veramente difficile in Russia dove addirittura il 74 per cento dell’opinione pubblica pensa che l’omosessualità debba essere respinta. Continua a leggere
Uccr e la difficoltà nel leggere i dati
Gli “uccrociati” (nel senso di appartenenti al blog Uccr) ci deliziano con un esilarante articolo (ovviamente non firmato) dal titolo «Quanto è difficile essere padri atei».
Il titolo regala l’impressione che un genitore ateo abbia più difficoltà di un genitore cattolico o di qualsiasi altra religione nell’educare i figli ma – per fortuna – il contenuto dell’articolo è diverso.
Infatti il succo dell’articolo è dedicato ad una «una revisione dei dati di Pew Research Center (PEW), sulla religione in America, dai quali si evince che soltanto il 30% di coloro che vengono allevati come atei durante l’infanzia e l’adolescenza trovano ragioni tali tanto da chiudere la porta a Dio anche da adulti. Il 70% dei genitori, invece, non riesce a dare sufficienti ragioni per non far cambiare strada ai propri figli». Continua a leggere