Il parlamento lo aveva deciso a larga maggioranza già nel novembre 2012: nessuna distinzione tra figli nati dentro o fuori dal matrimonio. Una decisione bipartisan e su cui solo una parte minoritaria del mondo cattolico aveva espresso le sue critiche.
Sull’argomento interviene, con un editoriale dalle pagine del quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, il presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci) professor Francesco D’Agostino.
Il giurista, professore anche alla Libera Università Maria Santissima Assunta ed alla Pontificia Università Lateranense e membro della Pontificia Accademia per la Vita, pur accogliendo con soddisfazione per la decisione delle Camere, esprime le sue perplessità: «Eppure, il nuovo contesto legale che si è venuto a creare non è senza ombre. La riforma può apparire circoscritta, in quanto ha per oggetto solo lo statuto legale dei figli, ma di fatto ristruttura la dimensione legale della famiglia in generale. Non hanno torto coloro che osservano che, dopo la nuova legge, la genitorialità viene drasticamente ridefinita dal legislatore: più che coloro che li procreano, la legge considera “genitori” colore (sic, ndr) che riconoscono, accolgono, educano i “figli”, indipendentemente dal fatto che ne siano o no “genitori biologici”. È l’amore che crea la genitorialità – così sembra che pensi la legge –, non la “natura”». Difficile capire come sia possibile pensare che «la genitorialità viene drasticamente ridefinita dal legislatore»: la normativa si applica esclusivamente a quelli che venivano considerati “figli naturali” ossia nati fuori dal matrimonio, figli che sono procreati in “maniera tradizionale” al pari di quelli nati all’interno del matrimonio.
Continua il presidente dell’Ugci: «Acquistano così una nuova evidenza e una nuova legittimazione tante nuove forme di relazione familiare, già ampiamente sperimentate in America. Esempio lampante quello dell’omoparentalità: se è l’amore e l’amore soltanto a produrre vincoli genitoriali, perché una coppia omosessuale non potrebbe adottare un bambino e riconoscerlo come figlio a tutti gli effetti (e quindi senza nemmeno la qualifica “adottiva”)?». Difficile ritenere che con la nuova legge vengano legittimate nuove forme di relazioni familiari come quelle omoparentali e la ragione è molto semplice: in Italia il matrimonio e l’adozione per le coppie dello stesso sesso non è consentita.
D’Agostino si pone un interrogativo interessante: «Cosa obiettare ai casi in cui con un vero e proprio contratto il padre “naturale” di un bambino rinuncia al figlio da lui procreato, ma verso il quale sente di non nutrire alcuna affettività, acconsentendo che il ruolo paterno nei confronti del bambino venga assunto da un altro, ad esempio da un ben disposto marito della sua ex compagna?». Forse si potrebbe obiettare che in base all’articolo 30 della Costituzione «la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità» quindi è impossibile che un padre biologico possa disconoscere un figlio procreato per il semplice fatto di non amarlo.
Ma questo, per il giurista cattolico, non è il solo caso: «Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e ci portano a riflettere su situazioni obiettivamente conturbanti, che però il legislatore, inspiegabilmente, preferisce ignorare, limitandosi a “decostruire” istituti giuridici familiari da lui ritenuti ormai obsoleti o, più semplicemente, ingiusti». Forse il legislatore in questo caso più che «”decostruire” istituti giuridici familiari» ha solamente applicato il terzo comma dell’articolo 30 della Costituzione laddove prevede che «la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale».
Un percorso di “decostruzione” fatto in tante tappe: «È in questo modo che si è decostruita l’indissolubilità matrimoniale, il rilievo penale dell’adulterio, la patria potestà». Insomma quasi quasi bisognerebbe ripristinare quell’articolo 559 del Codice Penale che prevedeva che «La moglie adultera (e non anche il marito, ndr) è punita con la reclusione fino a un anno».
Il dubbio principale che resta dall’editoriale di D’Agostino è però un altro. Se, come scrive il presidente dell’Ugci, bisogna esprimere dei dubbi sul fatto che «più che coloro che li procreano, la legge considera “genitori” colore (sic, ndr) che riconoscono, accolgono, educano i “figli”, indipendentemente dal fatto che ne siano o no “genitori biologici”» come considerare coloro che, con tanti sacrifici, decidono di adottare un bambino diventandone genitori a tutti gli effetti senza che ne siano i genitori biologici? Sembrerà strano ma la loro decisione di adottare un bambino nasce dall’amore e non dalla natura: e questo ben prima che il legislatore decidesse di equiparare i figli nati da coppie non sposate a quelli nati da coppie sposate.
L’intervento del professor D’Agostino è criticato, ritenendolo «entusiasta» di questa normativa, da Giovanna Arcuri sul sito cattolico di informazione La Nuova Bussola Quotidiana. La Arcuri si pone un interrogativo interessante: «E dunque le colpe dei padri ricadono sui figli?». La “colpa” in questo caso è non essersi sposati e la risposta sulla Nuova Bussola Quotidiana è netta: «Inevitabilmente sì». Proprio una grave colpa mettere al mondo dei figli senza essere sposati: una colpa che – magari – dovrebbe essere anche considerata reato penale.
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Il prof. cade sin dall’inizio quando parla di procreazione, al limite è il matrimonio a perdere importanza per definire i genitori.