Le percentuali sull’omosessualità a medicina ​e quelle di stupidità nel movimento lgbt

In Italia esiste l’omofobia, siamo tutti d’accordo (a parte gli omofobi, ovvio) ma esiste anche la cialtroneria di ​alcuni/e ​attivisti​/e​ lgbt che riescono a distruggere l’unica occasione di discussione seria su medicina​, omofobia e stigma. È successo il 15 novembre 2017 che in un test delle facoltà di medicina ai/alle loro studenti, su 150 domande ce ne fosse una riferita alla stima percentuale della popolazione omosessuale. Era formulata così: «Qual è la stima del verificarsi dell’omosessualità nell’uomo?». Un linguaggio asciutto, dove il termine “verificarsi” significa, persino in italiano, il succedere di qualcosa. Succede ad esempio che io sia mancino, gay, tachicardico. Di per se stesso, niente di scandaloso. E invece apriti cielo! Tuoni e fulmini! Subito alcuni attivisti-della-polemica-social hanno gridato allo scandalo della cura antigay, affiancati presto dai delegati sui diritti di alcuni partiti politici che han fatto da megafono, poi dai mass media, infine pure dalla Ministra dell’Istruzione. Tutti a condannare il tentativo di mettere l’omosessualità nei test delle facoltà mediche. Pare che chiedere a chi si prenderà cura del benessere quanti/e compomponenti di un certo gruppo ci siano tra i suoi pazienti, equivalga a curarli contro la dignità umana. Come, poi, non si sa. Quando ho letto la notizia mi sono posto una domanda: dove hanno esattamente il cervello quei due o tre premi nobel che hanno scatenato questo putiferio? La domanda nel test era del tutto legittima, era la polemica a essere sostanzialmente stupida. E per dimostrarlo, adesso dobbiamo sprecare un sacco di tempo che avremmo preferito usare per combattere l’omofobia, non gli attivisti lgbt che non capiscono una fava di omofobia. Complimenti.

Da decenni, la ricerca scientifica ha stabilito alcuni punti fermi che riguardano anche le problematiche che le minoranze lgbt affrontano a diversi livelli, incluso quello sanitario. Questi punti fermi si chiamano: stigma sessuale, eterosessismo, pregiudizio sessuale. Tutti e tre concorrono a mettere le persone lgbt in una condizione di maggior esposizione a comportamenti a rischio per la loro vita e la loro salute. E ciò non ha niente a che vedere con l’HIV o l’AIDS o l’epatite C. Ha a che vedere con la prevenzione del cancro, delle cardiopatie, di patologie che nessuno associerebbe con una minoranza sessuale, e non a caso (lo vedremo dopo parlando di prevenzione ed eterosessismo).

Il primo punto fermo è che in Occidente esiste una cultura comune, su cui si basa quella che viene definita impropriamente omofobia e più correttamente eterosessismo. Questa cultura comune è lo stigma sessuale. Si tratta della conoscenza che tutti abbiamo su come siano ritenute e trattate le persone lgbt. Indipendentemente dalle nostre attitutdini personali, tutti condividiamo la conoscenza che desideri, atti e identità omosessuali siano considerati socialmente come immaturi, malati, inferiori. Che io sia d’accordo o meno su quelle valutazioni non ha alcuna importanza. Qua si parla della conoscenza che questa sia la cultura diffusa. Altrimenti non ci sarebbe il movimento lgbt a combatterlo, lo stigma sessuale. Non mi dilungo sulle conseguenze dello stigma, cioè che le relazioni e le famiglie delle persone lgbt siano trattate diversamente e in modo intenzionalmente discriminatorio, visto che basta leggere un po’ di cronaca, per questo.

Passo invece subito al secondo punto fermo che è l’eterosessismo, ossia il sistema di valori, teorie e credenze sul genere, la sessualità e la moralità secondo cui le persone lgbt e le minoranze sessuali vengono definite come devianti, pericolose e peccatrici. Nelle discipline sociali questo sistema si chiama “ideologia”, giusto per offrirvi un indizio su quanto sia potente. Visto che stiamo parlando di un “pericolo sociale e morale” (secondo quel sistema di valori), diventano comportamenti del tutto giustificati l’ostilità, la discriminazione e pure la violenza. Sono viste come reazioni appropriate, persino necessarie, in quanto l’omosessualità, ad esempio, è ritenuta un fattore di corruzione di una nazione (“eh ma se lo fai vedere, per forza che poi qualcuno ti mena…”). Insomma il sistema di valori eterosessista ha idee chiare su chi sia “giusto” (l’eterosessualità) e chi “dannoso” (l’omosessualità) e quindi per prevenirne la diffusione spinge la seconda nell’invisibilità forzata. Con le buone e con le cattive. Attraverso la discriminazione e la violenza (ed ecco il primo indizio per cui gli attivisti lgbt dello “scandalo delle percentuali” sono benemeriti stupidi). Le persone, le identità e le comunità lgbt sono tenute nel silenzio e se emergono vengono definite immorali e malate per cui si chiede un intervento per prevenire che siano riconosciute nella loro dignità. Insomma l’eterosessualità diventa non solo la maggioranza ma la norma, e qualsiasi altra cosa è un errore e non va bene.

C’è, correlato ai due punti fermi precedenti, il terzo, chiamato pregiudizio sessuale. È l’attitudine personale verso la minoranza lgbt, cioè la tendenza a valutare negativamente qualcuno, a prescindere dalla conoscenza. Sappiamo tutti che una valutazione negativa si traduce in ostilità. Immaginate la valutazione dell’identità lgbt della propria figlia preadolescente quanta pressione e intimidazione può portare nella vita di quella ragazza da parte delle persone di cui lei dovrebbe fidarsi e da cui dipende fisicamente. È proprio il pregiudizio sessuale la condizione necessaria per le azioni che definiamo antigay o omofobiche e transfobiche. La valutazione negativa personale porta le persone a votare per un candidato contro i diritti umani delle persone lgbt, ad evitare amicizie con persone lgbt, a imporre ai propri figli di non frequentare amici e compagni lgbt (o anche etero troppo friendly o etero figli di famiglie lgbt). Insomma o riesci a vivere in un mondo ideale senza omosessuali, bisessuali e transgender attorno oppure li cancelli dalla tua vita quotidiana evitandoli nella vita sociale, sostenendo chi vuole leggi che perseguano le persone lgbt.

Torniamo ora al secondo punto, quello fondamentale. Il sistema di valori della nostra cultura da una parte ritiene che l’unica opzione ottimale sia essere eterosessuali, dall’altra denigra quindi le persone omosessuali-bisessuali-transgender come sbagliate e socialmente pericolose e le riduce a casi umani isolati. Attenzione ora al passaggio che riguarda anche la medicina: se la regola è l’eterosessualità, gli studi su come prevenire le patologie e i comportamenti a rischio vanno fatti su quella categoria di cittadini che sono la stragrande maggioranza e “meritano” il loro diritto alla salute. Sui “casi umani” omosessuali, bisessuali e transgender invece non vanno sprecate risorse, energie, fondi per la ricerca per capire le loro problematiche specifiche sia perché non sono un gruppo sociale ma soltanto individui difettati, sia perché per di più, come dicono gli omofobi, sono “molto pochi”. E infatti la medicina per decenni ha trattato le persone lgbt (di cui non chiedeva nulla sulla loro esistenza) con gli stessi strumenti della maggioranza eterosessuale, senza controllare se questo fosse adatto alla minoranza sessuale.
Ad esempio la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale: se a scuola insegno che bisogna aspettare ad avere relazioni sessuali dopo il matrimonio, cosa volete che significhi per una minoranza lgbt che per legge non può sposarsi? Che non mi sto occupando di loro, che non contano, che I loro bisogni affettivi e relazionali non sono giusti per la società, insegno implicitamente che se si ammalano, non è importante per la comunità perché non ne sono component a tutti gli effetti. Se la strategia dell’astinenza fino al matrimonio funziona, bene, sennò pazienza, tanto mica sono tanti i “malati” e i “difettati” che produce una società che non possono sposarsi. Non serve manco contarli, sono pochi, fidiamoci delle statistiche di Giovanardi o Morresi o Adinolfi...
Lo stesso gruppo sociale che viene ritenuto un difetto, su cui non si sprecano risorse perché sono pochissimi (ricordiamoci l’effetto dell’invisibilità), si vede negato persino il conto su quanti siano davvero. Perchè un conto è dire senza prova empirica che sono lo 0,5%, una percentuale di “difetto” che sarebbe persino plausibile in una fabbrica di lavatrici. Ben altro conto è avere a che fare con un gruppo che copre il 5-10% della popolazione. A quel punto non può essere definito difetto ma varianza. E delle varianze, la medicina si deve occupare per forza sennò l’efficacia delle terapie non può essere manco valutata sulla popolazione generale.

Ecco perché il movimento lgbt, tutto, in tutto il mondo (a parte per quei cretini che hanno sollevato la polemica sulle percentuali nel test di medicina) vuole che si parli eccome delle percentuali, anche in medicina. Perché quella quantità pazzesca di cittadini/e che vive in una cultura stigmatizzante vive in un clima che crea le condizioni perché questi si comportino in un certo modo, e magari mettano in pericolo la loro salute. Il passo successivo è studiare come avvenga questa esposizione al rischio. Come succede per esempio che percentualmente le donne lesbiche siano più esposte al rischio di tumore al seno? Questa sovraesposizione c’è. Se vogliamo occuparcene dobbiamo trattare lo stigma sessuale, e pure l’eterosessismo dei medici che non consigliano alle donne lesbiche e alle donne in generale un controllo più frequente, credendo che tutte le loro pazienti siano ugualmente esposte allo stesso rischio.
Capire che la quantificazione della popolazione lgbt nei test di medicina aiuta i medici a capire che quando hanno dei/delle pazienti non possono darne per scontata l’eterosessualità e non possono credere di applicare acriticamente le stesse terapie a gruppi diversi, era la condizione minima per una discussione culturale adulta. E invece un paio di attivisti/e particolarmente stupidi e interessati solo alla carriera politica hanno accusato a nome di tutti noi i medici di fare fin troppo bene il loro dovere deontologico, grazie a questa polemica.

Ora io domando ai premi nobel che hanno scoperchiato la congiura antigay della domanda 147 del test di medicina, “come” esattamente andava posta quella domanda, visto che loro sanno quando una domanda implica discriminazione e anche quando non la implichi. In attesa, la discussione in medicina è sospesa. Non certo i tumori al seno che non sospendono la loro aggressività verso le donne, soprattutto lesbiche.

 

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Informazioni su Alex Galvani

Pedagogista gay (definizione che provoca ictus a raffica ai ciellini quando lo leggono), nomade tra Utah e Italia, si occupa di sostegno alle famiglie eterosessuali con figli e figlie gay, lesbiche, transgender, bullismo omofobo, stereotipi e discriminazione. Insomma tutto quello che di peggio e' contenuto nel cervello dei cattolici integralisti. E poi insegna cultura, arte e storia europee nei programmi per studenti adulti all'Universita' statale dello Utah (anche questo manda fuori di melone i ciellini, perche' secondo loro i gay devono capire solo di gay).

8 pensieri su “Le percentuali sull’omosessualità a medicina ​e quelle di stupidità nel movimento lgbt

  1. RickyTo

    Buongiorno Dr. Galvani,
    e grazie per questo articolo, anche se alcune persone dovrebbero soffermarsi a riflettere prima di gridare ‘al lupo’
    Una curiosità che non e’ attinente al tema: chi è Michelke Creatella?
    Grazie anticipatamente per la risposta e buon lavoro.

    Rispondi
    1. Marcotron

      La signora da lei citata è la presidente del ACPeds. Un gruppuscolo di persone, nato nel 2002 per protestare contro il sostegno dell’AAP all’adozione per persone dello stesso sesso, che si spaccia per una legittima organizzazione medica ma non è altro che una delle tante appendici dei gruppi d’odio che sembrano avere come unico scopo la lotta alle persone LGBT. Sa di quella gente che va in giro a farneticare di ideologia gender.
      https://www.psychologytoday.com/blog/political-minds/201705/the-american-college-pediatricians-is-anti-lgbt-group
      https://www.thedailybeast.com/the-religious-rights-favorite-medical-association-is-a-hate-group
      https://thinkprogress.org/heritage-cretella-transgender-kids-cbfa5c2e8b67/

      PS: comunque si chiama Michelle Cretella

      Rispondi
  2. Dario De Marchi

    Ogni volta che ho quasi una mezza intenzione di riaprire un blog a tematica “lei è un ciarlatano e si prende giuoco degli incapaci” sui vari blog cattodementi che infestano la websfera italiana, faccio sempre fatica a ricordare che poi non totalizzerei nemmeno le visite dei miei presunti “follouers” e che, oltretutto… esiste già qualcosa a tema. 🙂

    Dispiace se ogni tanto butto nel vostro campo qualche “perla” che leggo qua e là da certa gente?
    Siete ancora attivi?

    Admin, non lesinare alcuna mail se mi leggi ancora.

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