Il papa, l’economia e la mala fede

Michael Novak. Sarà stato scaricato dai vertici ecclesiastici... ne dubito

Michael Novak. Sarà stato scaricato dai vertici ecclesiastici… ne dubito

L’economia è un tema delicato. Difficilmente dovrebbe intendersi separatamente dalla politica, difatti è innegabile che gli agenti economici siano anche agenti politici e viceversa: in fondo sia gli operai che gli azionisti che i capi fabbrica votano, e il loro voto influirà (anche se dati i tempi è meglio metterlo al passato) sulla loro attività.

Perché questa premessa che potrebbe essere benissimo inserita in un corso accelerato sul pensiero marxiano? Perché oggi ho intenzione di togliermi un altro sassolino dalla scarpa: se infatti sostengo che l’attuale amministrazione vaticana sia gesuita di nome e di fatto, non posso non toccare anche questo argomento.  Argomento che volendo è anche quello che svela di più le proprie posizioni: come i regimi nostrani dovrebbero aver insegnato, è inutile sbandierare la partecipazione popolare, possibilmente operaia, se poi ti allei col cartello degli industriali.

Come riferimento per le posizioni cattoliche prenderà un articolo del quotidiano dei Vescovi, la trascrizioni del discorso papale all’Expo (sic!) e quello ai movimenti popolari.

Cominciamo col discorso all’Expo:

In occasione della mia visita alla FAO ricordavo come, oltre all’interesse “per la produzione, la disponibilità di cibo e l’accesso a esso, il cambiamento climatico, il commercio agricolo” che sono questioni ispiratrici cruciali, “la prima preoccupazione dev’essere la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza” (Discorso alla FAO, 24 novembre 2014).

Giustamente il discorso è rivolto a chi partecipa all’Expo, dunque non certo a quelle stesse persone citate or ora. In breve il discorso vorrebbe essere umanitario, d’altro canto non si mette in forse (e quando mai!) la distinzione tra povertà e ricchezza, laddove si intende la prima come un accidente e la seconda come la norma. Il che sarebbe anche retoricamente giustificato, dati gli uditori, ma ciò lascia passare il messaggio sottilmente reazionario del capitalismo dal volto umano, cioè una conservazione del sistema dove il sostentamento dei sottoposti è più una concessione dall’alto che un dititto. Non c’è nulla di rivoluzionario.

Oggi, infatti, nonostante il moltiplicarsi delle organizzazioni e i differenti interventi della comunità internazionale sulla nutrizione, viviamo quello che il santo Papa Giovanni Paolo II indicava come “paradosso dell’abbondanza”. Infatti, “c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso!

Non so in che mondo incantato viva costui, ma questa banalità era nota dall”800 e anche prima. Non mi metterò a spiegare che sia la sovrapproduzione (o sovrainvestimento o modernamente sovracapacità) il sottoconsumo o la banale constatazione che a popolazione invariata il maggiore possesso di una parte è il risvolto matematico del minore possesso di un’altra. Mi limiterò a constatare che tali ovvietà erano già note ai primi economisti classici.

Tale dimenticanza a mio parere si può spiegare in diversi modi:

  1. Il papa viene da un background neoliberista (neoclassico), il che implicherebbe che la sua fama in Sud America è mal riposta dato che tali teorie in quei Paesi ebbero esiti assai poco popolari.
  2. Il papa si identifica nei suoi interlocutori. Il che è anche la cosa più facile da pensare, dacché checché se ne dica, entrambi appartengono alle classi alte della società. Che poi gli interessi davvero l’argomento è in fondo secondario.
  3. Il papa è o un ingenuo o un reazionario, crederebbe infatti all’esistenza di un’età aurea originale corrottasi evidentemente dall’esterno (il marxismo? Probabile). Il che è anche sostenuto dalle sue letture.

Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione [un classico] o da un richiamo doloroso alla crisi economica” (ibid.).

Ovviamente non lo esplicita, ma è evidente che per sofisma  intenda qualsiasi teoria politica-economica che vada un poco più a sinistra di Keynes. Ciò è deducibile dal discorso ai movimenti popolari:

Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. […] È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo.

Da qui la derubricazione di qualsiasi cosa non sia “Vangelo” a ideologia. Il che a ben pensarci è un assurdo dato che è innegabile che tra le definizioni di ideologia ci sia qualsiasi visione conclusa del mondo: ne viene fuori l’immagine quindi di un mentitore. Il paradosso di Epimenide! Altresì ne viene fuori l’immagine di una figura che accosterei al Monsignore de I nuovi Mostri (episodio Tantum Ergo), solo molto più debole. Il porporato di Dino Risi infatti svia la folla dai temi sociali con la sua forza retorica, qui li adegua a suo uso per depotenziarli:

 

Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi.

Continua il discorso, che però entra in contraddizione con quanto sostenuto all’Expo, dove i poveri sono oggetti di carità dei più alti in grado. Dunque vittime, dunque inabili a chiedere giustizia, anzi: sono vittime in quanto implorano comprensione e pietà e sono vulnerabili, se chiedessero giustizia non lo sarebbero più.

“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità perché cerca il bene comune”. Dobbiamo convincerci che la carità “è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macrorelazioni: rapporti sociali, economici, politici” (ibid., 205).

Da dove dunque deve partire una sana politica economica? Su cosa si impegna un politico autentico? Quali i pilastri di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica? La risposta è precisa: la dignità della persona umana e il bene comune. […] Per favore, siate coraggiosi e non abbiate timore di farvi interrogare nei progetti politici ed economici da un significato più ampio della vita perché questo vi aiuta a “servire veramente il bene comune” e vi darà forza nel “moltiplicare [sic! Possibilmente con forza altrui aggiungo io] e rendere più accessibili  per tutti [diminuendo i costi degli stipendi di chi produce magari?] i beni di questo mondo” (ibid.).

Non che il riferimento al bene comune sia indice di apertura. Non è mai stato spiegato infatti cosa sia questo bene comune, a fronte di contraddizioni sociali insite nel sistema e relativi conflitti (es.: tutti vogliono pagare meno per i prodotti nessuno è disposto a farsi pagare meno per produrre quei prodotti). E a pensar male verrebbe da dire che il bene comune sia il bene della società comunemente inteso, che poi è quello della classe dominante.

Infatti chiosa il discorso ai movimenti:

Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma una parola è molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni.

La ricerca di giustizia, l’indicare i problemi insiti nel sistema è infatti accessorio. Il papa pare scusarsi per l’atteggiamento ipocrita, ma mente ancora, come sottolineato sopra. Infatti si indica con la pietà dall’alto (troppa grazia mio signore!) le richieste dal basso. Oppure il papa è disinteressato, nel senso che non sono i problemi del sistema che lo fa vivere ad interessarlo, ma la poca religiosità dei subordinati:

Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il denominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori [quelli cattolici ovviamente]. […] Perché in questo sistema l’uomo, la persona umana è stata tolta dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché si rende un culto idolatrico al denaro. Perché si è globalizzata l’indifferenza! Si è globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio.

Poco importa poi che i Chicago Boys in Cile siano stati portati su dall’Università Cattolica, o che l’attuale Ministro delle Finanze Vaticane sia un neoliberista che nega il Riscaldamento Globale:

Some of the hysteric and extreme claims about global warming are also a symptom of pagan emptiness, of Western fear when confronted by the immense and basically uncontrollable forces of nature. Belief in a benign God who is master of the universe has a steadying psychological effect, although it is no guarantee of Utopia, no guarantee that the continuing climate and geographic changes will be benign. In the past pagans sacrificed animals and even humans in vain attempts to placate capricious and cruel gods. Today they demand a reduction in carbon dioxide emissions.

Tale ingenuità si ritrova anche nel commento dell’articolista di Avvenire Luigino Bruni, dove si attribuiscono le critiche di Rousseau, Hegel e Marx all’attuale società non alla sua origine (il lavoro normato è nato con le fabbriche), ma alla fine del Fordismo:

Molte “opere d’arte” civili, che continuano ad abbellire la nostra terra comune, sono nate da motivazioni più grandi degli incentivi economici, da “perché” più profondi dei “perché” monetari. [banalità che nemmeno il più ottuso gretto stalinista metterebbe in dubbio] Se i loro fondatori avessero obbedito alla legge ferrea dei business plan, oggi non avremmo i tanti Cottolengo che hanno amato i nostri figli speciali, né le migliaia di cooperative nate dalla voglia di vita e di futuro dei nostri padri, madri e nonni. Queste opere fiorite da ideali più grandi hanno resistito al tempo e alle ideologie, hanno attraversato e attraversano i secoli. [la teoria keynesiana della forza delle idee, che però si applica di fatto solo alle classi alte, seppure] […] La vita economica e civile, essendo vita umana, ha un bisogno estremo di tutte le risorse dell’umano, anche delle sue motivazioni più profonde. Un’economia ridotta a pura economia [sic!] si smarrisce e non è più capace di generare vita e neanche buona economia [sic! Con quale salto logico!]. […] Una delle tendenze più radicali dell’umanesimo immunitario del capitalismo contemporaneo [sic!] è il bisogno di controllare, arginare, normalizzare le motivazioni più profonde degli esseri umani, soprattutto quelle intrinseche dove hanno le radici la nostra gratuità e libertà. […] Non avremmo ricerca scientifica, poesia, molta arte, spiritualità vera, senza motivazioni intrinseche, come non avremmo molte imprese, comunità e organizzazioni che nascono dalle passioni e dagli ideali dei fondatori [una pubblicità vivente insomma] […] Non avremmo ricerca scientifica, poesia, molta arte, spiritualità vera, senza motivazioni intrinseche, come non avremmo molte imprese, comunità e organizzazioni che nascono dalle passioni e dagli ideali dei fondatori […] L’ideologia neo-manageriale [?], invece, sempre più appiattita su un solo registro motivazionale, non ha le categorie per comprendere i diversi tipi di protesta; e così non sa riconoscere che dietro una minaccia di abbandono si può nascondere un grido d’amore. [Sic!]

E via con questo tono fino al ridicolo finale:

Usciremo migliori da questa grande transizione se creeremo organizzazioni più bio-diversificate, meno livellate nelle motivazioni, se saremo capaci di dar spazio alla persona tutta intera. Organizzazioni abitate da lavoratori un po’ meno controllabili e gestibili, ma più creativi, più felici, più umani.

E meno ben disposti verso il dispotismo padronale. E meno produttive. Sicché tanto vale non provarci nemmeno. Una tale spiazzante tesi (più in cattiva fede) ritorna nel discorso ai movimenti popolari:

Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza […con tutto e il suo contrario]. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di unità, di pace e di giustizia.

In una parola: non chiedete, non cercate il pelo nell’uovo. Volemmose bbene! (Anche se magari ti sfrutto 12 ore al giorno con una paga micragnosa di 6 e ti faccio vivere in una baracca)

E pensare che per diradare tutto questo fumo da Anime Candide basterebbe rileggersi i quaderni dal carcere:

D’altronde è ovvio pensare che i così detti alti salari sono una forma transitoria di retribuzione. L’adattamento ai nuovi metodi di lavoro non può avvenire solo per coercizione: l’apparato di coercizione necessario per ottenere un tale risultato costerebbe certo di più degli alti salari. La coercizione è combinata con la convinzione, nelle forme proprie della società data: il denaro. Ma se il metodo nuovo si affermerà creando un tipo nuovo di operaio, se l’apparecchio meccanico materiale sarà ancora perfezionato, se il turnover esagerato sarà automaticamente limitato dalla disoccupazione estesa, anche i salari diminuiranno. L’industria americana sfrutta ancora profitti di monopolio perché ha avuto l’iniziativa dei nuovi metodi e può dare più alti salari; ma il monopolio sarà necessariamente limitato nel tempo e la concorrenza estera sullo stesso piano farà sparire con i profitti i salari. D’altronde è noto che gli alti salari sono appunto solo legati a una aristocrazia operaia, non sono di tutti i lavoratori americani.

(Quaderno 4 (XIII), § (52); Americanismo e Fordismo)

Ma chissà perché dubito che il papa approverebbe le tesi di Gramsci.

3 pensieri su “Il papa, l’economia e la mala fede

  1. luigino

    E questo sarebbe un articolo di economia? A me pare una accozzaglia di poche idee ma molto ben confuse e per di più spocchiose. Complimenti

    Rispondi
    1. FSMosconi Autore articolo

      Non vuole esserlo, ma solo un commento politico. Anzitutto perché A) non sono un economista (non che abbia gran stima per l’attuale corrente mainstream ma sto divagando) B) non ritengo separate le sfere economiche e politiche, ergo se commento l’una finisco nell’altra e viceversa.
      Ciò detto gradirei qualche elemento in più per discutere, sono curioso…

      Rispondi

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