Gli uccrociati devono essere un po’ in crisi di argomenti.
Nonostante in questi giorni non manchino gli argomenti di cui poter parlare riguardanti la Chiesa (dal rinvio a giudizio dei “corvi” in Vaticano all’annuncio di Hollande di voler introdurre il matrimonio omosessuale in Francia entro il 2013), gli uccrociati pubblicano una uccretinata dal titolo “L’ipocrisia de “Il Fatto Quotidiano”: chiesto il primo finanziamento pubblico“ riesumando un articolo di Libero del 7 luglio riguardante un presunto (e infondato) finanziamento pubblico a Il Fatto Quotidiano.
Questi i fatti. Il giornale di Marco Travaglio ed Antonio Padellaro avrebbe richiesto l’accesso ad uno sgravio fiscale del 10% sulla carta acquistata ed utilizzata in base alla legge 220/2010.
Questo è stato il pretesto – da parte di Libero, Tempi e più recentemente per i cattolici fanatici uccrociati – di accusare Il Fatto Quotidiano di ricevere finanziamenti pubblici in contrapposizione alla scritta sotto la testata che afferma il contrario. È opportuno fare un po’ di chiarezza.
Lo Stato interviene nel settore della stampa (quotidiani e periodici) sia attraverso finanziamenti diretti che attraverso sgravi fiscali.
Nel 2010 lo Stato italiano ha finanziato alcuni giornali per un costo complessivo di 140 milioni di euro: gli elenchi dei giornali che hanno avuto accesso a questi finanziamenti diretti sono pubblici assieme all’importo che ciascuna testata ha avuto. Il Fatto Quotidiano – pur avendone la possibilità – non ha mai richiesto questi finanziamenti e la cosa è facilmente verificabile sul sito del Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio.
I giornali inoltre beneficiano – come in tutta Europa – di riduzione delle tariffe (che non sono finanziamenti diretti) sulla spedizione delle proprie copie agli abbonati ed un credito d’imposta del 10% sulla carta effettivamente utilizzata per pubblicare i propri prodotti.
Il Fatto Quotidiano – come tutti i giornali sia quotidiani che periodici – beneficia di tariffe agevolate da parte di Poste S.p.A. per quanto riguarda la spedizione in abbonamento: è un fatto stranoto che Il Fatto non ha mai nascosto.
Ciò che non è noto è che tutti i giornali pagano un’Iva del 4% nelle vendite dei loro prodotti presso le edicole o in abbonamento mentre Il Fatto paga un’Iva del 21% per quanto riguarda gli abbonamenti online (ossia coloro che ricevono il giornale in versione pdf).
Recentemente il Fatto Quotidiano avrebbe – secondo Libero – richiesto l’accesso ad un credito d’imposta del 10% sulla carta effettivamente utilizzata da impiegarsi – secondo la Decisione C (2011) 6474 del 5 ottobre 2011 della Commissione europea – per compensare debiti tributari come imposte sul reddito, Iva o contributi previdenziali: per questo sgravio fiscale sull’acquisto della carta il governo ha destinato 30 milioni di euro a cui potranno accedere tra 500 e 1.000 aziende.
Questo non è un finanziamento diretto (di cui Il Fatto non riceve nulla) ma uno sgravio fiscale: solo un ignorante non conosce la differenza e non si capisce per quale motivo Il Fatto non dovrebbe accedere ad uno sgravio fiscale (che non è un finanziamento diretto) ponendosi in una situazione di svantaggio rispetto agli altri operatori del settore.
Si può concordare o meno con questo credito d’imposta del 10% sull’acquisto della carta ma è un aiuto simile ad altri comparti ritenuti utili come l’autotrasporto o l’agricoltura, cui lo Stato garantisce sgravi o crediti d’imposta, senza distinzioni d’impresa. È insomma un sistema pulito, che non altera la concorrenza, simile agli sconti per chi installa finestre a risparmio energetico o pannelli solari.
Si potrebbe pensare che anche il mancato pagamento dell’Ici alla Chiesa cattolica sia da considerarsi come un normale sgravio fiscale però – a differenza del credito d’imposta del 10% sull’acquisto della carta – lo sgravio fiscale concesso alla Chiesa riguarda solo una parte delle strutture alberghiere (ossia quelle di proprietà della Chiesa) ed in questo modo lo sgravio fiscale altera la concorrenza perché ci sono dei soggetti non tenuti a pagare l’Ici (le strutture alberghiere cattoliche) ed altre che la dovranno pagare (le normali strutture alberghiere): nel mondo della stampa invece lo sgravio fiscale è concesso a tutti gli operatori.
La “non-notizia” di Libero è stata ripresa anche da Tempi, l’organo di informazione di Comunione e Liberazione, che si è affrettato a sottolineare che «non c’è niente di male a chiedere finanziamenti».
La posizione di Tempi non potrebbe essere diversa considerato che l’organo di CL ha ricevuto nel 2010 (ultimi dati disponibili) un finanziamento diretto di 439.450 € come risulta nell’elenco Contributi per periodici editi da cooperative di giornalisti.
Anche Libero non può facilmente accusare gli altri giornali di finanziamento pubblico.
Il giornale ora diretto da Maurizio Belpietro nel 2003 ha chiesto ai proprietari del bollettino “Opinioni nuove” di prendere in affitto la testata: perciò il quotidiano Libero è diventato ufficialmente il supplemento dell’organo ufficiale del Movimento Monarchico Italiano. In questo modo ha potuto beneficiare immediatamente di 5.371.000 euro come finanziamento pubblico agli organi di partito secondo quanto previsto dalla Legge 7 marzo 2001, n. 62 così come emerso dall’inchiesta di Report “Il finanziamento quotidiano” realizzata da Bernardo Iovene e trasmessa il 23 aprile 2006.
Dagli elenchi del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio risulta che Libero ha ricevuto nel 2004 un finanziamento diretto di 5.990.900,01 €, nel 2005 6.417.244,86 €, nel 2006 un sussidio diretto di 7.953.436,26 € e nel 2007 un finanziamento di 7.794.367,53 €.
Gli stessi giornalisti Aldo Forbice e Giancarlo Mazzucca hanno rivelato – nel loro libro I Faraoni. Come le mille caste del potere pubblico stanno dissanguando l’Italia – come Libero abbia beneficiato di contributi pubblici per un totale di 40 milioni di euro fra il 2003 ed il 2009.
Forse Libero è il giornale italiano che più difficilmente di altri potrebbe dare lezioni di moralismo in materia di finanziamento pubblico.
Libero infatti è edito dalla Editoriale Libero S.r.l. di proprietà del gruppo Angelucci attivi nell’ambito della sanità e del settore immobiliare. Il deputato del Pdl Antonio Angelucci – oltre ad essere proprietario di maggioranza di Libero – è proprietario del quotidiano Il Riformista. Formalmente l’editore di riferimento di Libero è la Fondazione San Raffaele mentre l’editore de Il Riformista sarebbe la cooperativa Edizioni Riformiste. Entrambe queste case editrici – come ha appurato l’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) – sono di proprietà di Antonio Angelucci che quindi è editore di due quotidiani. Finanziamenti pubblici sono stati erogati sia per Libero che Il Riformista mentre il sostegno pubblico – in base alla legge 416/1981 – è possibile solo per una testata per ciascuna casa editrice. Per questo motivo l’Agcom ha stabilito nella delibera 63/11/Cons che il Riformista e Libero dovranno restituire circa 43 milioni di euro per i finanziamenti pubblici avuti tra il periodo 2006-2010.
Perciò Libero – prima di accusare il Fatto Quotidiano – dovrebbe considerare quanti finanziamenti ha ricevuto dallo Stato ed in che modo.
Tempi – organo della congregazione religiosa Comunione e Liberazione – invece di “guardare la pagliuzza nell’occhio del proprio fratello dovrebbe accorgersi della trave nel proprio occhio”.
Per quanto riguarda gli uccrociati forse sarebbe meglio che imparassero a documentarsi prima di scrivere le solite uccretinate.
Cagliostro
http://alessandrocagliostro.wordpress.com/
@Cagliostro1743
C’è da dire che Libero non esisterebbe senza finanziamenti statali (in quanto io ho la vaga impressione che le copie vendute siano davvero pochine) e che CL… beh CL è CL , per il sottoscritto la sigla ha la stessa valenza delle parole “tumore” , “estrema sciagura” , “morte certa , lenta e dolorosa”.
Aggiungiamo anche che prendere spunti e notizie da un giornaletto come Libero equivale all’attingere a piene mani da… vediamo… ecco , attingere a piene mani da un catino pieno di merda.
Ragazzi, mi sa che non li capite proprio, anche se loro fanno di tutto per non farsi
capire, ma già vedendo quel simpatico porcello che introduce le battute di Alberto,
si apre la via della comprensione.
Per capirli bisogna sempre pensare che tali genialate provengono da un porcone
e Alberto si premunisce, mettendo quell’icona come indirizzo per la battuta.