Il Cardinale Bagnasco è intervenuto a difesa delle “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici” della Cei.
Secondo il Cardinale Bagnasco «la Chiesa precede la legge perché i vescovi sono tenuti a intervenire non appena hanno notizia, in vista di misure preventive».
Innanzitutto la Chiesa non dovrebbe «precedere la legge» ma – al massimo – “affiancarsi”. Infatti Bagnasco dovrebbe ricordare che l’art. 7 della Costituzione prescrive che «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».
Ad ogni modo Bagnasco sembra voler lasciare intendere che la prescrizioni delle Linee guida della Cei siano più severe di quanto prevede la legge italiana.
L’art. 1 delle linee guide della Cei prescrive che «Quando il Vescovo abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori ad opera di chierici sottoposti alla sua giurisdizione, deve procedere immediatamente a un’accurata ponderazione circa la verosimiglianza di tali notizie. Occorre evitare di dar seguito a informazioni palesemente pretestuose ovvero diffamatorie, o comunque prive di qualsiasi riscontro probatorio plausibile, per cui ogni ulteriore investigazione appaia assolutamente superflua».
La legge italiana (art. 331 Codice di Procedura Penale) invece prescrive che «i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria».
La differenza è evidente ed importante: il Vescovo qualora riceva «informazioni palesemente pretestuose ovvero diffamatorie, o comunque prive di qualsiasi riscontro probatorio plausibile» può decidere di non prendere in considerazione le notizie di abusi sessuali mentre il Pubblico Ministero deve procedere in ogni caso.
Il Pubblico Ministero ha invece in ogni caso l’obbligo di procedere ad accertare la sussistenza della denuncia ricevuta «anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito». In caso contrario incorrerebbe nel reato di “omissioni di atti d’ufficio” secondo l’art. 328 del Codice Penale che prescrive che «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni».
Perciò il pubblico ministero che non dovesse procedere a verificare la sussistenza del reato denunciato è punito con la reclusione da sei mesi a due anni mentre il Vescovo non rischierebbe nulla.
Bagnasco inoltre afferma che il vescovo diocesano è tenuto ad intervenire «anche solo in presenza di un fumus». Purtroppo è lo stesso Art. 1 delle Linee guida a smentirlo. Infatti – come detto – il Vescovo può non procedere (ovviamente a suo insindacabile giudizio) all’accertamento della fondatezza delle accuse se le considera «palesemente pretestuose ovvero diffamatorie»: ovviamente resta da capire come una informazione di abuso sessuale possa essere considerata – senza nessun dubbio – “palesemente pretestuosa ovvero diffamatoria”.
Cagliostro
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