La preterizione (dal verbo latino “praeterire”, letteralmente “andare oltre”, “tralasciare”), nota anche come paralessi, paralissi o paralipsi (dal verbo greco παραλείπω, avente il medesimo significato), è una figura retorica con la quale si finge di non voler dir nulla di ciò di cui si sta parlando, e quindi lo si dice a chiare lettere.
Da “Wikipedia”
Questa volta no; questa volta non cederò alla provocazione, non mi abbasserò a ribattere a quel profluvio di sciocchezze che Bruno Volpe ha scritto solo per l’amicizia che lo lega a donna Assunta Almirante (dagli amici mi guardi Dio…), e per una profonda ignoranza, in senso etimologico di non-conoscenza, delle dinamiche storiche che interessarono l’Italia in quegli anni drammatici che intercorsero tra l’armistizio di Cassibile e la liberazione di Milano (ed anche oltre).
Ho detto profonda ignoranza, e non malafede, perché ho voluto essere equanime, ed includerlo nel novero di coloro ai quali può essere applicato il rasoio di Hanlon, meno famoso di quello enunciato dal grande Guglielmo di Ockam, che proclama: non attribuire a cattiveria ciò che può essere spiegato con la semplice stupidità; e non ho detto stupidità e perché temo le querele (sono pavido, lo so), e perché certe iniziative pubblicitarie, premeditate, come provano certe “intercettazioni” di tweet, negano questa possibilità.
Certo, l’antifascismo è un dovere, e non una semplice ideologia, e non ci si dovrebbe mai stancare di ripeterlo; tuttavia, ad oggi, la misura è colma: Bruno Volpe ha riempito le pagine del suo “blog non secolarizzato” di articoli revisionisti e cripto – fascisti, e noi (leggete io dove trovate noi: non sono pratico col plurale majestatis, ma mi piace pensare che ci sia qualcun altro che condivide i miei punti di vista) non ce la facciamo più a ripetere delle cose ovvie.
Non ce la facciamo più, per esempio, a ripetere che Resistenza e repubblichini non furono la stessa cosa: perché la prima combatteva in nome di ideali liberali e democratici, e gli altri per l’esatto contrario, ed anche perché la prima fu in fin dei conti più patriottica dei secondi, che finirono per allearsi con quella che era una forza di occupazione straniera.
Non ce la facciamo più a ripetere che nessuno storico vuol far credere che la Resistenza fu un “Paradiso terrestre”, ma che anzi più o meno tutti parlano apertamente di “guerra partigiana”; ma che, come è sbagliata storicamente una simile visione, è altrettanto sbagliata quella, sostenuta truffaldinamente da personaggi che con la storia hanno poco a che fare, che vuole fare dei partigiani delle specie di killer che uccidevano per il puro gusto di uccidere, e dimentica le profonde tensioni etiche e morali che animarono quel periodo, testimoniate da capolavori della letteratura, italiana e non, tra i quali ricorderò solo il magnifico “Uomini e no” di Elio Vittorini.
Ci siamo stancati di ripetere che a tutti gli effetti Almirante fu un fascista, e che non esiste fascismo adulto, ma che questa è solo una pretesa per accalappiare in giro voti di personaggi che si lasciano facilmente abbagliare da una “faccia serena” e da una “cravatta intonata alla camicia”, come cantava De Gregori quarant’anni fa nella stupenda “Le storie di ieri”, che di questi fascisti si prende gioco.
Ci siamo stancati di ripetere che né Mussolini né Almirante furono grandi statisti, visto che il primo ritardò lo sviluppo, non solo economico, di questa nazione di almeno trent’anni, che la impegnò in una serie di guerre che furono folli perché tutte le guerre lo sono, che si fece responsabile dei massacri compiuti dagli italiani un po’ ovunque nel mondo (Libia, Etiopia, senza dimenticare la Jugoslavia), che si alleò con Adolf Hitler, la cui colpa non era quella di essere un “esoterista satanico”, ma un folle razzista ed omicida, che soppresse il dissenso, non solo con misure quali il confino e l’esilio (che sono misure crudeli, e non vacanze, come vuole qualcuno), ma anche con la violenza, e che le uniche cose positive che fece, e che si riducono essenzialmente alla bonifica dell’Agro Pontino, le fece perché, come disse Pierpaolo Pasolini, chiunque ci fosse stato in quel momento le avrebbe fatte. Per quanto riguarda il secondo poi, non si vede come si possa definirlo statista: egli non raggiunse mai (per fortuna) un qualche tipo di carica istituzionale, e non pochi indizi lasciano sospettare che, a dispetto delle sue dichiarazioni pubbliche, egli si trovò ad agire non per conto di, ma contro lo stato italiano; se poi si vuole attribuire questo titolo a caso, solo per il fatto che Almirante difese (per interesse) i cosiddetti “valori cattolici”, si consideri che egli stesso si avvalse di quella legge sul divorzio cui si era opposto. Ma il parlare dei cristiani non dovrebbe essere “sì, sì, no, no”, visto che tutto il resto viene dal maligno?
Ci siamo stancati di ripetere che Almirante non fu affatto un uomo mite e galante, ma firmò ordini di condanna a morte in nome e per conto di Mussolini, ed in forza di questi in una sola notte furono passati per le armi oltre ottanta minatori (fonte Wikipedia).
Ci siamo stancati di ripetere che il fatto che nelle file della repubblica di Salò militarono tanti ragazzi, diciamo così, “in buona fede” (il termine è improprio) non giustifica le azioni compiute da quel ridicolo statarello satellite dei nazisti, e quindi nemmeno le azioni di Almirante.
Ci siamo stancati di ripetere che un errore non serve come prova perché se ne commetta un altro, e che quindi la frase: “Alla Camera dei Deputati, e dunque sede istituzionale, esiste una biblioteca dedicata ad Almirante. Se nella Camera dello Stato, ossia Parlamento, Almirante trova degno e giusto riconoscimento, per quale stravagante ragione, non è permesso dedicargli una via pubblica?” lascia un poco il tempo che trova, e dovrebbe semmai far riflettere sulla possibilità di chiedere che la biblioteca della Camera sia intitolata a qualcuno che se lo meritò più di Almirante; e dico non solo per questioni politiche, ma anche culturali: se si vuole rimanere nell’ambito delle stesse formazioni politiche, allora sicuramente ha più senso che essa porti il nome di Luigi Pirandello, o di Curzio Malaparte.
Tutte queste cose, noi ci siamo stancati di ripeterle, e comunque le abbiamo ripetute, per sicurezza; ed esistono sicuramente molti altri motivi per cui non si deve intitolare una strada a Giorgio Almirante.
Quello che ci chiediamo, a questo punto, è semmai: ma perché un blog che si occupa di apologetica lo difende fino a questo punto? Un consiglio fraterno: bisogna fare attenzione; perché passare dall’apologetica all’apologia del fascismo, che è un reato, è un attimo.
Non lo faccia, signor Bruno Volpe. Non ci costringa ad utilizzare il suo metodo, ed a ventilare la possibilità di denunce.
Aggiornamento:
Di Bruno Volpe non mi sorprendo, ma che addirittura un giornalista della stampa nazionale (ovviamente ripresa immediatamente da Pontifex Roma) venga a sostenere quasi la “necessità” di una via Almirante, dimostrando di ignorare quanto perfino io, che non ho la sua esperienza ed il suo acume politico (si presume che ce l’abbia, chi lavora per un quotidiano nazionale), ho compreso, mi lascia francamente senza parole.
Faccia serena, non pulita.
Corretto (nel senso che hai ragione, e nel senso che ho corretto l’errore :-D).
Peraltro nella versione di De Gregori si parla genericamente di “nuovi capi”, De André invece dice “il gran capo”, ma il testo originale di De Gregori diceva proprio “Almirante ha la faccia serena e la cravatta intonata alla camicia”.
“Non ci costringa ad utilizzare il suo metodo, ed a ventilare la possibilità di denunce.”
la differenza consisterebbe nel risultato… ):D
Aggiunto un piccolo aggiornamento.
@Demart: sì sì, conosco molto bene la canzone, ed infatti mi chiedo come diavolo ho fatto a sbagliarne il testo 🙂