Considerazioni personali su aborto ed eutanasia, e sul culto del dolore e della colpa

Dopo un piacevole periodo di calma sulle pagine pontifesse (che mi hanno dato occasione di disintossicarmi qualche giorno dalla lettura di certe cose che mi deprimono sempre molto nel considerare in che abisso di bigottismo, ignoranza e cattiveria annega ancora il mondo, anche nel nostro “civilissimo” occidente, anzi… quasi soprattutto qui da noi), ho letto le “novità” pontifesse sui soliti argomenti di sempre.

Avendo letto anche gli articoli di risposta di Pontilex, avevo cominciato ad annotare una serie di commenti personali da condividere. Ma come spesso mi capita, le mie riflessioni hanno raggiunto una dimensione tale da richiedere la pubblicazione di un articolo a parte, che ora condivido con coloro che, come al solito, avranno la pazienza di leggere le mie solite lunghe righe.

Comincerò parlando di eutanasia e aborto, argomenti così spesso abusati da Pontifex nelle loro reali implicazioni.

Sul tema dell’eutanasia il nodo centrale è l’individuo e la sua libertà. Il diritto all’eutanasia è un diritto che viene concesso a chi vuole esercitarlo o ha precedentemente fatto presente questa volontà qualora la sua autocoscienza (ma non la vita passiva del suo corpo vivente) venisse meno. Il diritto all’eutanasia è un diritto che viene concesso a chi vuole esercitarlo. I sofisti del cattolicesimo radicale girano con le parole e con i concetti per definirla “imposizione”, ma in realtà “imposizione” è la negazione di una libertà che non può essere liberamente esercitata. Quindi è semmai il contrario: sono i sostenitori della vita a tutti i costi che vogliono cercare di imporre la propria decisione e visione delle cose a chi non la pensa necessariamente come loro.

Il diritto all’eutanasia non impedisce la scelta di coloro che vogliono continuare a vivere. Al contrario, l’accanimento terapeutico impedisce la scelta e la libertà di chi la pensa diversamente.

I cristiani obiettano che “la vita non appartiene all’individuo, ma solo a Dio”. Il problema è che questo Dio è riconosciuto (sia nella definizione, sia nel carattere e nelle sue opinioni a riguardo di questo o quello) solo da chi lo segue. Non vi è maggiore violazione della libertà personale e di pensiero del volere obbligare le persone a vivere secondo i dettami di una divinità che non si riconosce come propria. Non importa se il cristiano è convinto che Dio la pensi così della vita o della morte o se ritengono tale Dio come il Dio di tutti (che ha quindi il diritto di decidere e comandare su tutti)… Chi non la pensa come loro ha diritto di vivere diversamente perchè per questa persona la realtà (sia terrena che eventualmente spirituale) è completamente diversa.

Per l’aborto il discorso è invece assai più delicato, perchè parliamo della libertà di scelta di un singolo individuo, ma anche delle conseguenze non su una sola vita, ma su due vite: una concreta e presente, e una potenziale e a venirsi. La questione spinosa che coinvolge sia cristiani che non cristiani è ovviamente: ha diritto un singolo individuo autocosciente di decidere non solo della propria vita, ma anche di quella di un altro individuo (sebbene ancora non formato) ? Se la questione viene posta in questi termini, posso certamente comprendere la posizione di chi paragona l’aborto all’omicidio. In entrambi i casi infatti un singolo individuo decide della vita di un altro indipendentemente dall’esercizio del libero arbitrio di quest’ultimo. E se dovessi riassumere tutta la mia poca moralità, per il sottoscritto l’unico metro per definire qualcosa come giusto o sbagliato è la domanda cardine: abusa o meno del libero arbitrio altrui? Io non sono un moralista bigotto come i pontifessi. Per me non esiste il concetto di “male” o “sbagliato” legato al concetto di “non si fa perchè non si fa” o “è moralmente sbagliato ciò che viene comunemente definito tale dai tabù della società o della religione”. Se ragionassi in simili termini, se fossi musulmano dovrei per esempio considerare “moralmente sbagliato” il mangiare carne di maiale, o il bere alcolici. Se fossi cattolico, dovrei considerare “moralmente sbagliato” l’atto di fare l’amore con la mia ragazza prima del matrimonio, o il fare l’amore con lei per semplice desiderio di scambiarci coccole invece di farlo unicamente per lo scopo unico della riproduzione e perpetuazione della mia specie animale. Ma siccome non sono un moralista legato a concetti astratti, ma legato alla razionalità concreta, tutta la mia morale si riassume nel concetto di “è moralmente sbagliato solo ciò che viola la libertà altrui e l’esercizio altrui del proprio libero arbitrio”. Uccidere qualcuno è sbagliato, dal mio punto di vista, non perchè è “moralmente sbagliato”, o perchè temo la punizione divina, ma è sbagliato invece perchè uccidere qualcuno è una violazione del suo libero arbitrio. Infatti non trovo per esempio sbagliato l’uccidere qualcuno che ce lo sta chiedendo con una valida ragione (vedasi eutanasia o un soldato tranciato in due sul campo di battaglia che ancora respira in preda a dolori indicibili e che sicuramente non sopravviverà e ci chiede solo di mettere termine alla sua sofferenza).

La mia non è una moralità tanto abietta, perchè se si applica questo principio del rispetto del libero arbitrio, otteniamo gran parte del teoretico “diritto naturale”.

-uccidere è sbagliato perchè è una violazione del libero arbitrio altrui (la volontà altrui di vivere).
-rubare è sbagliato perchè è una violazione del libero arbitrio altrui (la volontà altrui di potere godere liberamente di ciò che legalmente possiede)
-fare violenza al prossimo è una violazione del libero arbitrio altrui (la volontà altrui di potere vivere in pace senza minacce alla propria persona)

ecc.

Dal mio punto di vista tutta la morale di origine sociale-religioso-tradizionale è assolutamente spazzatura, opprimente sovrastruttura barocca, quando viene meno questo principio del rispetto del libero arbitrio altrui. Due omosessuali consenzienti che si baciano non violano il libero arbitrio e la libertà personale di nessuno. Una donna che indossa i pantaloni invece della gonna non viola il libero arbitrio e la libertà personale di nessuno. Una persona che chiede di mettere fine alle proprie sofferenze a causa di una straziante malattia terminale non viola il libero arbitrio di nessuno, poichè sta soltando esercitando il proprio senza costrizioni nei confronti di altri simili. Il seguace di una religione, fosse anche persino “satanista”, non viola il libero arbitrio di nessuno finchè si limita ad azioni che non vanno appunto ad intaccare la libertà altrui.

Dal mio punto di vista tutte le forme di moralità e legge che non tengono presente questo fondamentale diritto del libero arbitrio, sono in sè forme di moralità e legge rischiose che spesso violano esse stesse il diritto fondamentale della invalicabilità del libero arbitrio altrui. Infatti non è un mistero che chi non rispetta questo principio si senta spesso “in dovere legittimo” di imporre il proprio volere sul prossimo in barba a qualsiasi rispetto del libero arbitrio altrui e della libertà individuale.

Una delle prime cose che insegnano in una facoltà di giurispludenza è che le leggi sono nate a causa della necessità di impedire che la libertà di un singolo possa minacciare quella del prossimo…. Quindi, per garantire la libertà di tutti, occorre fare in modo di limitare questa stessa libertà, in modo tale che tali limitazioni garantiscano la libertà di tutti.
Quando questo principio fondamentale viene perso di vista, la legge stessa diventa violazione dell’individuo, e la presunta morale bigotta diventa negazione sofistica di se stessa… In nomine libertatis vincula aedificamus, in nomine veritatis mendacia efferimus. Potremmo fare in tale merito un sacco di esempi sia politici che religiosi.

Ecco perchè la mia posizione è decisamente a favore dell’eutanasia, o della libertà delle persone di ESSERE ciò che sono senza restrizioni di alcun tipo da parte di moralisti o di seguaci di divinità iraconde che odiano il concetto di libero arbitrio (e il “dio” del “cristiano” di un certo tipo è assolutamente un dio contro il libero arbitrio… non conta il fatto che ti dica ipocritamente “sei libero di essere ciò che sei” se poi ti spedisce all’inferno se non ami il suo stesso colore preferito, se non mangi quello che ti dice lui, se non hai la “tessera di appartenenza” al suo partito o alla sua religione o se non sei liberamente ciò che ti senti di essere senza doverti sentire una merda a causa di ciò… il libero arbitrio è quando una persona è libera di essere ciò che vuole senza che il prezzo da pagare per tale libertà sia il rogo in questo mondo o nell’altro dopo la morte).

Il tema dell’aborto invece è una terra di confine molto più ostica e di difficile definizione.
E’ giusto non far nascere una vita?
E’ giusto obbligare una donna a portare avanti una gravidanza non desiderata?
Sono due cose entrambe sbagliate che entrano in conflitto tra loro.

E sebbene la mia posizione sia a favore del diritto della donna di potere decidere della propria vita, comprendo molto bene anche la validità del ragionamento di chi si schiera contro l’aborto.

Purtroppo la questione è talmente spinosa da dover ammettere che forse non è possibile salvare capre e cavoli insieme, ottenendo e definendo una soluzione oggettivamente giusta e senza danno.

Per tale ragione, a ragione o a torto, io lascio l’ultima parola al soggetto del problema, trattandosi in definitiva di un problema di difficile risoluzione oggettiva. Quando il terreno del problema è di così difficile risoluzione, il mio parere è che l’ultima parola tocchi al diretto interessato, anche se sarebbe lecito ammettere che in questo caso i diretti interessati da interpellare sarebbero due, poichè i liberi arbitri in questione sono in realtà due, uno concreto e uno potenziale.

Quindi l’ultima parola dovrebbe spettare alla madre, non potendo interpellare il “bambino” in questione. E spetta ovviamente anche al medico, che ha il diritto di opporre una obiezione di coscienza davanti ad una simile spinosa questione.

E non si dica che il feto voterebbe ovviamente sempre a favore della vita. Io ne so qualcosa, perchè la gravidanza non prevista di mia madre e la sua decisione di portarla avanti hanno comunque segnato la sua vita, e di fatto compromesso anche la qualità della mia.

Molti confondono il concetto di “vita” con il concetto di “esistenza”. Non basta esistere e respirare per poter parlare di qualcosa degno di essere definito “vita”. Un ebreo in un campo di concentramento della Seconda Guerra Mondiale sicuramente “esiste”, ma sarebbe troppo parlare di quella condizione di esistenza definendola “vita”. La “vita” presuppone una certa qualità positiva dell’esistenza. Non si pensi sempre che sparare fuori un bambino dall’utero significhi dargli la vita. La “vita” è solo e unicamente la dignità di tale esistenza che noi dobbiamo preoccuparci di offrirgli. Non sempre mettere al mondo una “vita” è un gradito regalo che noi facciamo.
Non si pensi sempre scontatamente e banalmente che la vita è sempre il “regalo” migliore. Non si ragioni in base ad una morale kantiana de “il giusto è SEMPRE giusto, e ciò che per definizione aprioristica è sbagliato è SEMPRE sbagliato”… Come in un altro principio fondamentale della giurispludenza moderna, ogni caso specifico non può essere giudicato rigidamente, ma in base al contesto (si pensi per esempio alla necessità di giudicare un omicidio… la casualità o l’intenzione, o il contesto di legittima difesa impongono la necessità di non giudicare tutti i casi nello stesso identico modo aprioristico e con la stessa risoluzione di condanna)… Nel caso di un aborto o di qualcos’altro di simile, non si dovrebbe parlare sparando sentenze aprioristicamente moralistiche, ma guardare i fatti nel loro contesto concreto. Soprattutto non dovrebbero ergersi a sapienti sull’argomento preti e sacerdoti celibi come il Papa, che non possono concretamente comprendere niente di cosa comportino fenomeni come il diventare genitori o il portare avanti una gravidanza. Non dovrebbero dare lezioni sul sesso, sul matrimonio o sulla corretta vita di coppia chi in realtà è del tutto inesperto in materia, se non nella solita sterile teoria dell’astratta morale aprioristica.

Questi preti e queste suore che parlano sempre con troppa leggerezza di “vita”… dovrebbero riflettere maggiormente su come mettere al mondo una nuova vita non sia cosa da prendere alla leggera e come richieda un impegno che, se non si è disposti ad assumerlo con maturità e responsabilità, è meglio non prendere. Mettere al mondo una vita è facile, fin troppo facile, lo sanno fare persino le persone mentalmente menomate. Garantire la qualità e soprattutto la DIGNITA’ della vita è invece una questione di tutt’altra portata.

Quindi io dico l’esatto opposto del Papa e della Chiesa: invece di sfornare come conigli un sacco di figli con leggerezza per adempiere ai “dettami di Dio”, si pensi piuttosto ad essere in grado di potere offrire il meglio della vera dignità di vivere felici e sicuri a quei pochi figli che siamo SICURI (ARCISICURI!) di potere crescere dignitosamente in questo mondo oggi così difficile e con sempre meno spazio a disposizione dell’uomo.

Non viviamo in un mondo fatato senza limiti di necessità, risorse e spazio. Prima di fantasticare sui propositi di Dio, forse dovremmo fare prima i conti con i limiti e problemi concreti di questo mondo. Se un qualche Dio ci ha posti in questo mondo, è assai probabile che l’idea del “fate tranquillamente dieci figli a testa, i quali a loro volta faranno dieci figli a testa in onore del nostro Creatore” sia leggermente da rivedere nel 2010, a meno che Dio non ci dia improvvisamente il dono di terraformare altri pianeti e di potere colonizzare lo spazio, possibilmente entro mooooolto breve.

Riguardo l’uso poi dei contraccettivi, quando si parla senza cognizione di causa, la confusione è sempre di casa.
Si pensi per esempio alle veramente stupide posizioni della Chiesa sul profilattico. “Il profilattico uccide la vita”. Quale, di grazia?
Posso capire il discorso sull’aborto o sulla pillola del “giorno dopo”, ma parlare in questi termini dei contraccettivi denota molta ignoranza. Del resto non chiederei mai ad un prete o ad una suora di essere competenti in materia… ma dovrebbero anche saper tacere su un argomento che non compete loro affatto…. a ciò che sono e possono capirne. I contraccettivi impediscono il concepimento… niente concepimento, niente vita e niente presunto “omicidio”. A meno che Volpe e CdP non intendano per omicidio persino il mancato virtuale concepimento. In tale ottica sarebbero quindi “colpevoli” tutte le giovani donne che rifiutano di avere un rapporto sessuale con il sottoscritto… caspita! provate ad immaginare di quanti potenziali bambini sono il mancato padre!

Scherzi a parte, è seriamente ridicolo.
Ancora più ridicola è la brutale concezione, ancora una volta sparata da questi “emeriti” e sostenuta dai loro fan cattotalebani, che il sesso si limiti solo e soltanto al fine della riproduzione e della perpetuazione della specie. Nemmeno Sigmund Freud potrebbe essere meno romantico di così: la presunta “religione dell’amore” che riduce il sesso ad un semplice dovere di perpetuazione della specie, e nient’altro Ogni connotazione sentimentale mi sembra ovviamente esclusa da questa ottica. Ma non solo viene escluso il romanticismo e il sentimento, ma anche il senso stesso della realtà. La logica del “ad ogni rapporto sessuale ben venga un altro figlio!” è una logica che poteva andare bene nel 2000 a.C. quando di tanti figli era già molto che ne sopravvivessero un paio, e questo discorso andava bene fino a non molti secoli fa. Ma oggi, con il pianeta Terra che già fa molta fatica a contenere e a “sopportare” 6 miliardi (in espansione) di esseri umani, predicare ancora l’idea del rapporto sessuale finalizzato SEMPRE al concepimento significa vivere completamente avulsi dalla realtà. Ma del resto viviamo in un mondo che continua a bruciare nell’aria combustibili non rinnovabili in esaurimento senza quasi porsi per niente il problema di cosa accadrà quando 6 miliardi di persone si troveranno senza fonti di energia rinnovabili… l’intelligenza è una cosa molto poco diffusa tra gli esseri umani, ancor meno possiamo pretenderne da gente che non ha coscienza dei problemi concreti e reali del mondo, e gioca ancora con il suo vecchio libro di favole a pensare che viviamo su una fatata sfera magica con il sole e la luna che gli girano intorno per compiacere gli occhietti meravigliati degli esseri umani, “fondamentali” e indiscussi protagonisti di tutto l’universo.

I seguaci delle religioni hanno spesso il brutto vizio di volere applicare vecchi dettami culturali (culturali, NON religiosi come erroneamente viene creduto) a contesti nuovi completamente diversi.
Questo vale non solo per l’idea datata del “figliate a più non posso, gonfiate le mura domestiche di centinaia di figli dei vostri lombi”, ma anche per esempio per il tema del “non si possono avere rapporti sessuali prima del matrimonio”… una cosa SENSATISSIMA secoli e secoli fa, ma NON oggi, non almeno nella nostra società. Quella regola era una buona regola quando la gente si sposava già quasi sicuramente a 16 o a 17 anni, massimo 20, come avveniva secoli e secoli fa. Oggi, con gente che arriva a sposarsi per la prima volta magari persino a quasi 40 anni, cadiamo nel ridicolo, con gente che in teoria dovrebbe rimanere vergine per mezza vita. L’uomo non è solo spirito, ma anche macchina biologica, che deve rispettare i propri ritmi e “imput di programmazione”. A 20 anni è normale avere voglia di esprimere anche la realtà del sesso. Ma i moralisti vivono nel loro mondo artificiale di pura fantasia e astrazione concettuale. “Tu devi fare questo e quello”, sparato così, senza tenere presente nessuna realtà concreta e il vero funzionamento delle cose (che certo non cambierà la propria natura solo perchè lo pretendono i moralisti).

Per non parlare di quanto tutto questo sia davvero così poco romantico! E infatti parliamo di concezioni e ideologie riproposte e ancora perpetuate oggi, ma vecchie e superate da migliaia di anni fa, cioè poco distanti dal periodo ancora più addietro, quando (ovviamente scherziamo) il massimo del romanticismo dell’uomo di Neanderthal consisteva nel dare la clava in testa alla donna, caricarsela in spalla e portarla dentro la propria grotta per “compiere il proprio dovere di procreazione nei confronti di Dio”. Non stupisce che tale mentalità sia accolta con tanta gioia da tutti i devoti maschietti che, come Carlo Di Pietro, considerano la donna niente più che serva dell’uomo finalizzata all’atto sessuale riproduttivo. Dov’è “l’amore” e il “romanticismo” in questo presunto “piano di Dio” secondo il quale il sesso è solo finalizzato all’atto riproduttivo? Personalmente sono più incline a vedere amore tra due omosessuali che vedono nell’atto sessuale un momento per scambiarsi amore, piuttosto che a trovare “poesia” in un paio di eterosessuali che considerano l’atto sessuale poco più che un “formale” dovere di riproduzione nei confronti del proprio Creatore”. Chi è più “animale”? Chi considera il sesso anche come momento di amore, e non per forza di riproduzione, o chi vede nel sesso solo un dovere etico e morale di propagazione della specie? Anche gli animali sono in grado di accoppiarsi e di riprodursi, l’amore in teoria dovrebbe essere prerogativa umana. Quindi chi riduce il sesso soltanto alla sua nuda e cruda funzione biologica, per quanto lo faccia in nome di un “dio”, mi chiedo cosa cambi molto dall’essere semplice animale.

La vera “virtù” dell’essere umano non consiste nell’essere una creatura “secondo natura”. La più grande “virtù”  dell’uomo è invece proprio il fatto di essere una creatura completamente CONTRO natura. L’uomo non è per niente una creatura “secondo natura”, omosessuale o eterosessuale che sia.

La natura non richiede alle sue creature nulla di più del semplice mangiare, dormire e del riprodursi. La natura non è interessata al pensiero, o all’amore: sono concetti aggiuntivi alla quale non è interessata.

L’uomo non è un essere “naturale”: egli non si adatta alla natura, ma la modifica secondo altre esigenze non previste dalla natura. Egli ha la possibilità di immaginare e creare cose che la natura non è in grado nemmeno di concepire. La natura non conosce poesia e amore, ma solo la necessità e la sopravvivenza. L’uomo può amare, immaginare e pensare, e questo riflette e trasfigura ogni aspetto della sua vita. Quindi il sesso, secondo natura, servirà anche solo al fine di un meccanico riprodursi (ma anche no, basta saper guardare meglio come il sesso abbia anche in natura altri scopi sociali), ma nell’essere umano anche il sesso trasfigura di significato. Le sue mani non servono solo ad afferrare la preda per divorarla, ma anche per costruire, scrivere, dipingere e creare. La bocca dell’uomo non serve solo a mangiare o a produrre suoni inarticolati, ma anche per esprimere complessi concetti, cantare, descrivere, ecc. Lo stesso vale anche per il sesso… esso non serve solo per riprodurre la specie, ma è anche la dimensione intima tra due persone che si amano e che si comunicano appunto amore attraverso questo. Questo non può ovviamente, sensatamente, significare che ad ogni momento di intimità amorosa possa e debba corrispondere sempre una rispettiva gravidanza, a meno che ovviamente non vogliano farsi carico di questa “gioia” anche i pii e devoti (devoti perchè a loro non costa nulla) maschietti cristiani (o di altra simile religione), così convinti della necessità di dovere ingravidare la propria donna dieci, venti o anche trenta volte. Al maschietto questo non costa che un secondo di estasi, ma forse muterebbero la loro egoista, “religiosa” e devota opinione se dovessero provare in prima persona l’esperienza della gravidanza e del parto. E non riprendo in mano l’altro importante argomento, ovvero di come non sia sempre un grande segno di maturità e responsabilità essere così prolifici, soprattutto oggi nel 2010.

Nella malata e perversa logica bigotto-religiosa, l’omosessuale è “il mostro” che non adempie alla santa missione della riproduzione della specie. Se il fine ultimo della coppia non è l’amore, ma lo sfornare figli all’infinito, chiaramente l’omosessuale diventa un mostro. Persino più mostro del nazista o del camorrista, che abbiamo scoperto che su Pontifex godono di maggiore stima rispetto al “crudele e mostruoso” omosessuale.

Negli ultimi articoli i pontifessi ci illuminano anche sulla via del perdono per l’omosessuale: vivano il resto della loro vita portando la croce della loro colpa, sentendosi delle “merdacce” (Fantozzi docet).

Se l’omosessuale vive il resto della propria vita provando odio per quello che egli è, allora forse il “benevolo” Dio perdonerà la sua disgustosa esistenza.

Questa considerazione generale che il cristiano di un certo tipo ha per gli omosessuali mi apre ad un’altra serie di riflessioni sulla natura inquietante di questo “culto del dolore” che è il cristianesimo di un certo tipo.

Non si tratta infatti solo del caso degli omosessuali, ma della concezione che il fedele ha praticamente di tutto il creato. Sembra quasi che il dolore e i sensi di colpa siano l’unico modo per potere piacere al Dio cristiano.

L’omosessuale deve vivere nel disprezzo di sè e nel senso di colpa. Ma anche la donna deve vivere nel disprezzo di sè e nel senso di colpa, poichè è fatta ad immagine e somiglianza di quella “tr..a” di Eva che ha mangiato il frutto proibito. Anche il devoto e virile maschietto cattolico deve però vivere nel disprezzo di sè e nel senso di colpa, perchè in fondo tutto il genere umano è condannato ad essere peccatore e colpevole agli occhi di Dio fin dalla nascita.

E’ in definitiva il culto della croce, il culto del patibolo e del patire. La croce diventa più importante anche di Cristo e del suo amore. L’uomo è una creatura tanto più gradita a Dio nella misura del dolore e del senso di colpa che riesce a provare.

Sembra che Dio non dica mai alla sua creatura: “accettati per quello che sei, pur cercando di dare sempre il meglio di te. Sii felice!”.

La gioia sembra essere una dimensione estranea al cristiano (a questo genere di cristiano).

Strano, penso spesso io: una religione dove Dio si fa uomo e sconfigge la morte dovrebbe essere una religione di gioia e serenità. Ironicamente invece c’è più gioia e serenità per esempio nel buddhismo. Cosa strana, visto che in teoria il buddhismo percorre il sentiero che conduce al “nirvana”, all’estinzione di sè e del desiderio, anche di quello di felicità.

Mi sono sempre chiesto perchè il cristianesimo sia una religione così dannatamente “emo”, concentrata quasi esclusivamente sul dolore e sulla sofferenza, sul vittimismo e sulla colpa. Nemmeno l’ebraismo e l’islam sono religioni così incredibilmente tetre… serie e severe, senza alcuna ombra di dubbio, ma non così perversamente concentrare sul concetto di dolore, fino quasi al punto di celebrare l’estasi e la gioia di tale sofferenza e contrizione.

Il cristianesimo radicale predica continuamente questo mantra:

Soffri, prega, umiliati, sentiti una “merdaccia” (Fantozzi docet) perchè agli occhi di Dio sei solo uno schifoso peccatore, tale per il fatto stesso di esistere. Non gioire, non scherzare, non danzare, non portare fiori troppo vivaci nella casa del Signore, perchè il Signore non ride e non scherza mai: piange, piange e piange sempre per il fatto che tu sei un peccatore senza speranza, brutto, cattivo e vessato dal demonio.

Non c’è tempo per le distrazioni, per i piaceri, per la carne e per il palato.

Mangia solo per nutrire il tuo corpo, vergognati nel provare piacere nel gustare un buon manicaretto.

Fai sesso solo per riprodurti e moltiplicare il gregge della Chiesa, vergognati se nel farlo provi piacere. Il sesso serve solo a procreare, non per godere della tua intimità con chi ami. Amare non è necessario, se non produce prole.

Non ridere e non gioire. Hai mai visto Gesù ridere o scherzare nei vangeli ufficiali della Chiesa?

Ricordati che sei un peccatore, sempre e comunque, come puoi trovare un momento per gioire e scherzare sapendo questo? Sei forse vessato dal demonio?

Non c’è tempo per le distrazioni, come insegnano i preti che su Pontifex finiscono al purgatorio se dopo la messa chiacchierano con gli amici invece di continuare ad “ardere di amore per il corpo mistico di Cristo”.

Che mondo grigio che è questo, che mondo senza calore e sentimento che trasmette questo culto del dolore.

Il dolore diventa una forma di perversione e culto tale da diventare persino un perverso piacere: più soffro e più piacerò al mio Dio. Più la vita mi fa soffrire, e più questo diventa segno dell’amore di Dio verso di me.

Si arriva quasi al punto di desiderare il dolore e la croce perchè… come è possibile compiacere Dio in maniera diversa da quella del dolore, dell’espiazione e della mortificazione? Le vite dei santi sono quasi tutte storie di sofferenza, dolore, mortificazione e astinenza. Sembra che l’unico modo per rendersi graditi a Dio sia nel dolore, nell’umiliazione, nell’astinenza da quante più gioie della vita possibili. Per piacere a Dio bisogna negare la vita. Ovvero, prima si combatte tanto la battaglia per il diritto alla vita anche del più piccolo germe prima del concepimento, e quando finalmente la vita fa ingresso in questo mondo, cosa gli insegniamo, come la cresciamo? Gli insegniamo come la cosa più gradita a Dio sia sputare contro ciò che noi siamo, odiarci, piangere e supplicare in ginocchio perdono per la colpa stessa di esistere tramandata da Adamo ed Eva.

Che ridere… una vera religione, una vera via di sapienza dovrebbe insegnare all’uomo proprio il contrario di ciò che fa Pontifex. La via verso lo spirito dovrebbe insegnarci prima di tutto ad accettarci per quello che siamo, senza conflitti interiori. Il cristianesimo (questo cristianesimo) invece non insegna altro che la via della divisione, del conflitto interiore, del dolore, del volersi male (poi ci stupiamo se tanta gente ha problemi psicologici e di equilibrio emotivo?) Insegna la via verso la “bestia”, che non è tanto quella dell’omosessuale che ama il proprio compagno, quanto piuttosto la via dell’eterosessuale che predica che l’unione sessuale è solo un dovere finalizzato alla procreazione, o che la donna ha solo il compito esistenziale di serva dell’uomo e di incubatrice della sua prole. Prole che dovremmo crescere al solo scopo di insegnarle ad essere a sua volta grigia e piena di sensi di colpa religiosi, con l’unico fine nella vita della procreazione biologica e della preghiera per supplicare Dio di perdonarci di essere merdacce indegne.

Che perversa religione che è il culto del dolore e della colpa. Che razza di individui psicologicamente divisi e disturbati che può solo essere in grado di generare…

Gianfranco Giampietro.

24 pensieri su “Considerazioni personali su aborto ed eutanasia, e sul culto del dolore e della colpa

  1. Andrea ☮ il giullare matto Speaks

    Circa l’eutanasia, bisogna stabilire se il proseguimento delle cure sia configurabile come accanimento terapeutico o no. Nel caso negativo, bisogna accertarsi della volontà del soggetto e della sua capacità di agire, il che è tutt’altro che semplice, per quanto il paziente possa essere cosciente.
    C’è differenza tra chi chiede di morire su un letto d’ospedale e chi, dopo anni di tribolazioni, decida di buttarsi da un ponte? Mi chiedo: perché se vedo uno che si vuole buttare dal ponte o da un balcone, il mio istinto mi porta a fermarlo e farlo desistere, e non dovrei fare lo stesso con chi sta su un letto d’ospedale?
    Non credo che far morire una persona di stenti (fame e/o sete) sia un modo civile di rispettare il libero arbitrio altrui, così come la volontà espressa qualche mese prima, non può essere fatta valere su chi, pare, non sia più cosciente… Il tema è spinoso e molto complesso, in quanto esistono una marea di casi a sé, diversi l’uno dall’altro…

    Quanto all’aborto, il nocciolo sta nel quando, secondo noi, la vita abbia inizio.
    Se per me essa incomincia dal concepimento, l’aborto rappresenta un omicidio sempre e comunque, tranne nei casi di interruzione spontanea o di certezza che, senza l’IVG, morirebbero sia madre che figlio.
    Secondo la dottrina cattolica, nel caso in cui la madre debba prendere delle medicine, anche vitali, che possano nuocere al nascituro, deve sospendere le cure. L’unica eccezione, come detto, è che, il non intervento, uccida due vite – madre e figlio/a – anziché una se si intervenisse (con l’aborto o con la non sospensione dei trattamenti sanitari).

    Se invece per me la vita inizia, per esempio, dal terzo mese, tollererò l’IVG entro i 90gg.

    In Italia, la 194, per la parte relativa all’IvG, è ambigua, in quanto pone il termine di un trimestre se il feto è sano, di oltre la dodicesima settimana se la madre corra serio rischio di vita o se il feto presenti gravi patologie. Dico ambigua, perché da una parte stabilisce 3 mesi come limite, oltre il quale, se non ci sono anomalie, non si possa più intervenire (e questo, pertanto, fa pensare che il feto venga già visto più come un essere umano in divenire); dall’altra, dice che, se il feto presenta malformazioni, si può abortire entro il sesto mese.
    Il limite del terzo mese non è posto, come qualcuno pensa, per tutelare la salute della madre, quanto perché, all’incirca alla fine del terzo mese, il feto diventa fisicamente in grado di provare le stesse emozioni della madre per il costituirsi del sistema nervoso. Questo implica che, a fine terzo mese, il feto sia nella fase, potenziale, di divenire essere umano (prima di tale termine, passa dalla fase cellulare a quella anfibia).
    Se il potenziale essere umano “sano” è tutelato giuridicamente a partire dal primo giorno seguente la dodicesima settimana di gravidanza, perché quello “malato” non è tutelato alla stessa maniera?
    Mi si dirà: le malformazioni si vedono verso il quarto-quinto mese. Ma, il quesito che pongo è proprio di natura giuridica: se tollero il termine di sei mesi per un feto malato, perché non tollerarlo anche se sano? Non c’è discriminazione?

    Quanto poi alla crescita ed educazione di un figlio, certamente molti genitori se ne lavano le mani. Quando si fa un figlio, bisogna metterlo nelle condizioni di vivere, per quanto possibile, serenamente.
    Ma se io genitore non mi ritengo pronto, questo mi autorizza ad abortire?
    Dipende sempre dal quesito posto innanzi: quando, per noi, incomincia la vita?
    Per me inizia dal concepimento.

    I cc.dd. “pro life” non sono solo ferventi e bigotti cattolici: ricordiamoci di persone come Gandhi o strenui difensori della laicità come Pasolini e Bobbio…

    Rispondi
    1. Gianfranco Giampietro Autore articolo

      “I cc.dd. pro life non sono solo ferventi e bigotti cattolici: ricordiamoci di persone come Gandhi o strenui difensori della laicità come Pasolini e Bobbio…”

      No, certamente no, ma mi riferivo soprattutto a questi ultimi, i bigotti e ferventi, perchè non condivido diciamo “lo spirito alla base” delle loro posizioni pro vita.

      Se qualcuno mi parla di difesa della vita in termini come da te esposti è un discorso sul quale si può discutere. Se per esempio mi dici che, allo stesso modo di come ti viene spontaneo fermare qualcuno che si vuole buttare da un ponte, lo stesso discorso ti viene spontaneo per l’uomo ricoverato in ospedale, ci troviamo su un terreno di dialogo razionale.

      Quando invece gli argomenti sono “no a priori, sempre e comunque all’eutanasia perchè è omicidio” e “non ci si può togliere la vita perchè essa appartiene a Dio”, ci troviamo di fronte ad argomenti che io trov discutibili. Nel primo caso perchè ci troviamo davanti ad una affermazione sparata a priori senza minima presa in considerazione di TUTTI gli spiacevoli casi possibili… nel secondo caso invece perchè si vuole adattare la visione del proprio mondo (il mio Dio esiste solo nel mondo di chi lo immagina e sono io che lo rendo reale ritenendolo tale… il mondo ci appare soltanto così come noi lo concepiamo e immaginiamo) a quella di un’altra persona, che avrebbe diritto di potere ragionare e vivere secondo le regole ed i principi del proprio mondo, e non di quello di un altro.

      Tornando al paragone dell’uomo che si vuole buttare da un ponte, comprendo il punto di vista. Ma diciamo che il sottoscritto ovviamente cercherebbe di dialogare con la persona in questione. E’ assolutamente naturale volere fermare chi vuole porre termine alla propria vita. Ma sono dell’idea personale (sottolineo che è solo una mia idea personale) che, accertata la lucidità e le ragionevoli motivazioni della persona, si dovrebbe lasciare la libertà anche di questa scelta. Forse la differenza di opinione deriva dal fatto che in occidente il suicidio e la morte assistita sono gesti generalmente considerati disonorevoli, vigliacchi e senza senso. Secondo altre culture, ed io condivido tale modo di vedere le cose, invece questi gesti possono anche avere una profonda dignità e un senso ragionevole, che deve anche poter essere accettato e rispettato. Può essere scoraggiato, ma non vi è il diritto, secondo me, di impedirlo. Chiaramente tutto dipende dal contesto, e lo sottolineo. Non parliamo di gesti che accadono e che hanno senso di accadere tutti i giorni. Facendo ancora l’esempio del soldato sicuramente in punto di morte perchè una trave di ferro gli attraversa mezzo corpo (esempio tra i più estremi), vi sono sicuramente casi in cui la morte assistita e il suicidio hanno assolutamente senso. Questo secondo me vale anche nel caso di malattie terminali (senza speranza di guarigione) che provocano una sofferenza immensa che nemmeno le iniezioni più massicce di morfina riescono più ad acquietare.

      “Non credo che far morire una persona di stenti (fame e/o sete) sia un modo civile di rispettare il libero arbitrio altrui, così come la volontà espressa qualche mese prima, non può essere fatta valere su chi, pare, non sia più cosciente”

      Umh, non credo di essere d’accordo. Riguardo al fatto che non si può far morire qualcuno di stenti, concordo, perchè la morte assistita secondo me dovrebbe essere assolutamente “chirurgica”, istantanea o indolore. E’ assurdo infliggere sofferenza a qualcuno che desidera cessare di soffrire: l’obiettivo è aiutare le persone che lo chiedono a morire in modo indolore e per quanto possibile “dolce”. Stiamo ovviamente parlando di “richieste” definibili come sensate, a tutti gli effetti, e quindi parliamo anche sempre di casi limitati e decisamente straordinari ed estremi.

      Riguardo al fatto che la volontà espressa mesi prima da chi non è più cosciente non sia da ritenersi valida, non concordo. Su questa base non dovremmo allora nemmeno considerare validi i testamenti dei defunti (chissà che nel frattempo non abbiano cambiato idea nell’aldilà e non possano comunicarcelo!). Scherzi a parte, salvo casi ambigui, se una persona esprime esplicitamente cosa vorrebbe nel caso in cui rimanesse forse per sempre incosciente in un letto di ospedale, io credo valga eccome questa sua volontà, e che andrebbe rispettata. Se io ti dico che in caso di decorso terminale di Alzheimer vorrei che si ponesse fine alla mia penosa esistenza, in caso di tale decorso nel quale io non abbia più il cervello o la facoltà comunicativa di esprimere e ribadire tale volontà, io vorrei che tale volontà fosse rispettata. Non importa nemmeno se quel che rimane della mia macchina biologica possa dopo opporsi a questo… dovrebbe valere ciò che io ho chiaramente espresso durante il completo, lucido e razionale possesso di tutte le mie facoltà intellettive. Poichè non mi ritengo più un essere umano se non sono più in possesso della fiamma della mia completa autocoscienza e senza speranza di riacquisirla, io prego e supplico i miei parenti di non tenere il mio spirito imprigionato all’interno di una macchina biologica al quale NON desidero più essere legato, sia per me, sia per non pesare a chi mi sta intorno.

      Anche se anche a me non viene spontaneo ragionare in simili termini crudi riguardo al mio prossimo, resta il fatto che sono spontaneamente portato a ragionare in questi termini quando si tratta di me stesso. E così come ci sono io, ci sono anche altre persone che la pensano come me. Per esempio nella mia famiglia la pensiamo tutti in questo modo, e questa è la volontà di ognuno di noi, espressa l’un l’altro ripetute volte, di modo che non vi siano equivoci in merito. Se ci succedesse qualcosa di simile, porremmo volentieri (volentieri in senso lato, dato che l’augurio è sempre quello della salute e della felicità) fine con le nostre mani alla sofferenza di chi amiamo e sappiamo pensarla in questo modo. Ovvio poi che non ci pronunciamo e non osiamo affatto farlo rispetto a quelle persone di cui ignoriamo quali potrebbero essere le loro volontà. Ma in ogni caso credo che dovrebbe essere rispettata la loro volontà espressa più volte in vita, qualunque essa sia.

      Questo riguardo all’eutanasia.

      Riguardo all’aborto, come ho già detto è un tema ancora più difficile e spinoso. Per me vale il principio della scelta che spetta alla madre (solo alla madre, il padre dal mio punto di vista non può concorrere in questo), anche se le variabili in ballo sono talmente tante che non è possibile definire qualcosa di universalmente giusto o valido. In teoria concordo con la definizione comune di ciò che viene definito “inizio della vita” intesa come vita di un essere umano.

      Altra cosa verso il quale mi sento portato, mi si perdoni la franchezza, è l’idea che la madre sia più importante del bambino. So che la madre può soffrirne terribilmente, ma sono sempre stato dell’idea che, se la madre e il bambino sono a rischio, sia più importante salvare la madre, l’individuo costituito. Forse parlo così in quanto maschio, ma per me la vita di un essere ancora a venire non può mai superare in importanza quella della persona che amo, della mia compagna. Un altro figlio si può sempre fare, ma nulla può sostituire la vita della persona che amiamo. E se come la penso io può non piacere, ci si consoli con il fatto che tanto non potrei avere voce in capitolo… infatti per me conta solo la decisione della diretta interessata, che è l’unica ad avere diritto di decidere, anche di decidere che tra lei e il bambino venga prima la nascita e la vita del bambino, anche a costo della sua (anche se non so se questo possa venire permesso). Anche se non sarei d’accordo, rimango dell’idea che solo la madre ha il diritto di decidere, anche contro la mia volontà.

      Anche riguardo alla faccenda dei tre o sei mesi… credo di essere d’accordo.
      La ragione di questa “discriminazione” è dovuto al fatto che la madre potrebbe anche decidere di non far nascere il bambino malato. Dipende ovviamente da cosa si tratta, ma rientra nel discorso che avevo fatto: non sempre far nascere qualcuno è a priori il miglior regalo che si possa fargli. Mettiamo davvero per assurdo che un bambino possa nascere senza entrambe le braccia e gambe, o semi-acefalo… non sono dell’idea che farlo nascere sarebbe davvero il più bel regalo nei suoi confronti. Ancora una volta per me torna la distinzione tra “esistere” e “vivere”, e come la prima delle due non garantisca scontatamente la seconda. Non diamo per scontato che il far nascere una vita equivalga sempre ad offrirgli una vera vita. Ovviamente ci troviamo di nuovo di fronte ad una scelta difficile, ma che dovremmo lasciare il diritto di poter prendere ai diretti interessati che si fanno carico di tale cosa.

      Rispondi
  2. DiegoPig

    Complimenti per il bellissimo articolo, Gianfranco.

    Mi permetto di dare i mei 2 cents sull’argomento aggiungendo una puntualizzazione che non ho visto.

    Tu hai trattato le due questioni fondamentali, eutanasia ed aborto, dal punto di vista “morale”.

    Io vorrei aggiungere che va considerato anche il punto di vista pragmatico, cioè il fatto che sia aborto che eutanasia avvengono anche se sono illegali.

    Leggo dalle FAQ sull’eutanasia del ministero degli esteri olandese (http://www.minbuza.nl/dsresource?objectid=buzabeheer:213342&type=org):

    “Domanda 1: Perchè legiferare sull’eutanasia?”

    “Risposta: (omissis) Il governo olandese non vuole fingere che l’eutanasia non venga praticata già ora. (omissis) Lo scopo principale della politica implementata in questo caso è quello di portare la questione alla luce, di applicare criteri uniformi per valutare ogni singolo caso in cui un medico termina una vita e di conseguenza assicurare che venga esercitata la massima cura in questi casi eccezionali”.

    Personalmente ho sempre trovato sensato considerare, nelle discussioni su eutanasia e soprattutto aborto, il fatto che comunque esiste un “mercato” per queste pratiche e che, anche tali pratiche fossero illegali, vi sarebbero comunque persone che vi ricorrerebbero.

    In quest’ottica la questione non diventa più “se è giusto o meno legalizzarle”, ma “a quali condizioni e con quali obiettivi legalizzarle”.

    La proibizione, infatti, non necessariamente è una soluzione (come hanno dimostrato, appunto, i proibizionismi su alcool, tabacco e droghe).

    Il paragone con il proibizionismo può sembrare esagerato, poichè da una parte abbiamo alcool e dall’altra abbiamo “una vita”.

    Ma consideriamo questi due esempi:

    1) Uccido una persona con un’arma da fuoco non per legittima difesa.
    2) Uccido una persona investendola con l’auto a causa di un errore di guida.

    Nel primo caso quasi sicuramente finisco in galera, mentre nel secondo caso vengo condannato alla reclusione solamente se ho commesso gravi infrazioni.

    Eppure il danno è lo stesso.

    Quello che differenzia le due situazioni è, appunto, il costo sociale che si avrebbe a condannare con la reclusione tutti i casi di omicidio colposo.

    Io penso che lo stesso criterio vada considerato appunto nel caso dell’eutanasia e, ancora di più, per l’aborto: se dovessimo condannare tutte le persone che ricorrono a queste pratiche avremmo le carceri piene.

    Sicuramente si dirà, totalmente a ragione, che un comportamento non diventa “moralmente giusto” solo perchè lo fanno in tanti.

    Ma le leggi dello stato non hanno lo scopo di affermare principi morali.

    Le leggi dello stato hanno lo scopo di regolare il funzionamento della società con il miglior compromesso possibile.

    E’ per questo che è l’omicidio non è condannato con la reclusione qualora sia colposo oppure avvenga per legittima difesa oppure venga commesso da un tutore dell’ordine durante lo svolgimento delle sue funzioni: perchè la legge non dice “uccidere è giusto” ma dice che “uccidere in queste situazioni è accettabile dal punto di vista del funzionamento della società”.

    Non a caso giustiziare le spie in tempo di guerra è accettabile.

    Altri due cents.

    Nel tuo articolo sottolinei giustamente che l’essere umano non è un essere “naturale”.

    Io vorrei aggiungere qualcosa indirizzato proprio a coloro che parlano (o meglio, straparlano) di “natura” quale criterio di valutazione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

    Un esempio è che l’omosessualità è sbagliata perchè “contro natura”. (tralasciamo il dettaglio che l’omosessualità è diffusa ANCHE tra gli animali).

    I miei due cents sono questi: siamo sicuri di volere una società basata sulla natura?

    Perchè in natura i deboli vengono sopraffatti dai forti, quindi niente uguaglianza di diritti e di fronte alla legge.
    In natura i malati e i deformi vengono lasciati al loro destino. In natura, ad esempio, papa Ratzinger sarebbe polvere già da un pezzo.

    In natura v’è disparità fra i sessi.

    In natura non ci sono il diritto di parola nè il diritto di voto.

    Rispondi
  3. diegopig

    COMUNICAZIONE DI SERVIZIO PER ADMIN

    Chiedo scusa per usare questo spazio, ma non riesco ad inviare messaggi privati.

    Ottengo sempre You have exceeded the limit of mailbox. Please delete some messages before sending another.

    Rispondi
  4. admin

    Purtroppo la struttura del nostro sito (un blog) non aiuta la discussione su temi così interessanti. Ci sono diversi articoli che affrontano da diversi punti di vista l’argomento. Ed è giusto che tutti abbiano spazio in questa discussione. Per completezza aggiungo i link a tutti gli articoli.

    http://pontilex.org/2010/11/considerazioni-personali-su-aborto-ed-eutanasia-e-sul-culto-del-dolore-e-della-colpa/
    http://pontilex.org/2010/11/stato-italiano-e-chiesa-cattolica/
    http://pontilex.org/2010/11/e-considerata-licenza-duccidere-leutanasia/

    Tre opinioni molto diverse tra loro, tre discussioni interessanti sullo stesso argomento. Tre prospettive che possiamo condividere, discutere, criticare o solo leggere.

    Io -ovviamente- mi asterrò d’ora in poi da qualsiasi commento. La varietà delle posizioni proposte e la completezza dei ragionamenti mi sembra tale da giustificare tutta la vostra attenzione.

    Rispondi
  5. diegopig

    Vorrei aggiungere qualcosa che scrissi tempo fa.
    E’ relativo all’aborto, ma molte delle considerazioni potrebbero tranquillamente essere applicate all’eutanasia.

    Se pensate che non c’entri nulla, cancellate pure.

    Aborto, tra principi e compromessi

    Fin da quando entrò in vigore la legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza, lo scontro sull’aborto ha dato origine a incomprensioni e prese di posizioni assolutiste che hanno minato il dibattito sull’argomento.
    La prima, di queste incomprensioni, è la convinzione che esistano due fronti: i contrari all’aborto e i favorevoli all’aborto.

    Niente potrebbe essere più sbagliato: praticamente chiunque si sia interessato dell’argomento è concorde nel ritenere l’interruzione di gravidanza come una tragedia, un dramma che se possibile va evitato.
    E’ un dramma per la donna che vi si sottopone oppure, a volte, lo subisce per imposizione. E’ un dramma per il padre, anche se alcuni ci dipingono, noi maschi, come totalmente indifferenti.
    Ed è un dramma per il feto, che potrebbe diventare persona ed invece non lo diventerà.
    No, nessuno è “a favore” dell’aborto. Nemmeno gli atei, che nonostante non credano nell’esistenza dell’anima (e, quindi, del fatto che il feto sia una persona), non possono non dispiacersi per le potenzialità irrealizzate.

    Lo scontro non è “sull’aborto”. Lo scontro è sulla legalizzazione dell’aborto.

    Lo scontro è tra coloro i cui principi non sono negoziabili e coloro per cui la nostra è una realtà di compromessi, in cui a volte si devono fare scelte difficili.
    E’ lo scontro tra chi parla di Dio e di anima e chi, invece, parla di persone, di statistiche, di costi e benefici.

    Chiediamoci, ad esempio, in quali di questi casi riteniamo “accettabile” l’aborto:
    1) In caso la vita della donna sia in pericolo in caso di continuazione della gravidanza;
    2) In caso di stupro
    3) In caso di incesto
    4) In caso di stupro/incesto pedofilo, cioè quando una bambina di nove anni viene violentata ed ingravidata dal patrigno.

    Fortunatamente questi sono casi estremi, ma sono interessanti perchè ci permettono di chiederci: ci sono situazioni in cui riteniamo l’aborto un costo accettabile?
    Se fossimo tra coloro i cui “principi non sono negoziabili” dovremmo rispondere che mai, in nessun caso, nemmeno questi casi, l’aborto è accettabile; in nessuno di questi casi il diritto del feto a vivere viene meno.
    Dovremmo allora concludere che sì, il Cardinale José Cardoso Sobrinho agì correttamente nello scomunicare i medici che fecero abortire la bambina brasiliana di nove anni violentata ed ingravidata dal patrigno.

    Se, invece, fossimo tra coloro che pensano in termini di costi e benefici, ci potremmo trovare a dover ammettere che, almeno in alcuni casi, il ricorso all’aborto è quantomeno comprensibile.

    Ecco perchè lo scontro è sulla legalizzazione dell’aborto, piuttosto che sull’aborto in sè.
    Perchè è uno scontro tra coloro per cui mai, in nessun caso, deve essere permesso l’aborto e coloro che, invece, ritengono che in alcune situazioni le donne non rinunceranno ad abortire e che, quindi, è meglio che l’intervento avvenga in un ambiente medico con personale addestrato.

    Alcuni affermano, a ragione, che è stupido arrivare ad abortire in un’epoca in cui i contraccettivi sono prontamente disponibili a chiunque.
    Questi alcuni hanno ragione: è stupido. Ma siamo esseri umani e facciamo continuamente cose stupide.
    Fumiamo, mangiamo schifezze, non rispettiamo i limiti di velocità, parliamo al cellulare mentre guidiamo. E facciamo sesso senza protezione.
    La realtà è che, semplicemente, non sappiamo valutare correttamente i rischi.

    I produttori di auto hanno capito da tempo che i guidatori sono degli incapaci. Ecco perchè inseriscono l’ABS, gli airbag, le cinture, l’ESP e tutti gli altri controlli di sicurezza.
    Perchè sanno che non sappiamo valutare il rischio e che, prima o poi, finiremo nei guai.
    Non ci fanno la paternale. Non vengono a dirci “potevi stare attento”.
    Loro sanno che non possono farci niente, che nonostante tutte le raccomandazioni finiremo per fare qualcosa di stupido. E fanno di tutto per limitare i danni, quando questo accade.

    Perchè dovrebbe essere diverso per l’aborto?
    Una coppia fa sesso non protetto perchè fa una cosa stupida.
    Lei rimane incinta.
    Decidono di abortire, perchè fanno una cosa stupida.
    Renderemo forse più “intelligente” questa coppia rendendo illegale l’aborto?
    Ovviamente no. Essendo una coppia stupida, ricorrerà all’aborto illegale, perchè è stupida e non valuta correttamente i rischi dell’aborto illegale.

    Il mio continuo ricorrere all’aggettivo “stupido” non vuole essere offensivo.
    Avrei dovuto usare l’espressione “fare un errore” invece di “essere stupidi”, ma la sostanza non cambia: facciamo errori e non possiamo farne a meno.

    Può esserci dialogo tra le fazioni pro e contro l’aborto?
    La risposta è ovviamente no, perchè i due gruppi perseguono obiettivi totalmente differenti basati su scale di valori totalmente incompatibili.
    Principio e compromesso non possono convivere ma, fortunatamente, questo non è importante.
    La legge 194 ha superato indenne il referendum abrogativo e ogni tentativo di manomissione si è rivelato un patetico fallimento.
    Se qualcuno ricorda i dibattiti sulla legge 40 (della fecondazione assistita) ricorderà chiaramente quanto coloro a favore della legge fossero espliciti nel dichiarare che la “194 non si tocca”.

    Ma la legge 194 è davvero intoccabile? Non può essere in nessun modo migliorata?
    L’ovvia risposta a quest’ultima domanda è che sì, la legge si può migliorare.
    D’altronde è ridicolo pensare che una legge, qualunque legge, sia perfetta.

    Il problema è che non abbiamo dati, su come migliorarla.

    Il fenomeno sociale dell’interruzione di gravidanza è molto poco studiato. L’istat pubblica le statistiche relative ai numeri di aborti in base all’età, alla regione ed altri parametri.
    Ma nessuno di questi dati ci dice “perchè” una donna sceglie di abortire.

    Questo, credo, sia un caso esemplare di ipocrisia legislativa e sociale. Noi non sappiamo perchè non vogliamo sapere. Perchè il legislatore non ha imposto (a quanto io ne sappia) alcun questionario anonimo in merito.
    Per fare un parallelo, l’ipocrisia di questa scelta è pari solamente alla politica “Don’t ask, don’t tell” (noi non te lo chiediamo, tu non ce lo dici) americana, che permette agli omosessuali di servire nelle forze armate fintanto che la loro omosessualità rimane segreta.

    Cosa ci fa così paura da impedirci di chiedere alle donne: “Perchè abortite?. Aiutateci a capire.”
    Forse qualcuno teme che alcune motivazioni siano “sufficientemente valide”? Che si siano casi in cui i principi vanno messi in secondo piano?
    Che si capisca che le politiche familiari dello stato sono inadeguate?
    Oppure abbiamo paura che non siano abbastanza valide, queste motivazioni? Che davvero le donne abortiscano “per andare alla gita in barca”?
    Noi non sappiamo, e finora pochi se ne sono preoccupati.

    Perciò, come possiamo migliorare la 194?
    Innanzitutto occorre sapere perchè le donne (e le coppie) scelgono di abortire, tramite un questionario anonimo da compilare al momento della richiesta dell’intervento (o altro momento più adatto).
    In secondo luogo è necessario migliorare l’educazione sulla contraccezione, cominciando dall’età in cui i ragazzi cominciano a fare sesso (qualunque sia quest’età).
    Tale educazione dovrà necessariamente tener conto del fatto che un comportamento, quando richiede una scelta consapevole, è solitamente meno praticato.
    Lo sanno bene i produttori d’auto: le persone si allacciano più frequentemente le cinture se c’è un fastidioso cicalino che li avverte della cintura slacciata (piuttosto che lasciare la “scelta” di allacciarla o meno).
    Inoltre si dovrà tenere conto del fatto che non siamo in grado di valutare correttamente i rischi.
    Una coppia ha un rapporto a rischio: i due ricorreranno alla pillola del giorno dopo?
    C’è il fastidio di vestirsi, di uscire, di andare in ospedale, di chiederla, magari trovi il medico obiettore, devi cercare un’altro ospedale… ma sì, non sono proprio proprio i giorni fertili, è difficile restare incinta.
    Non si rendono conto, i due, che non hanno le conoscenze per valutare correttamente il rischio di gravidanza.
    Chi scriverà la politica educativa dovrà sapere che loro non sanno.
    Dovrà sapere che loro potrebbero prendere la decisione sbagliata. Anzi, che probabilmente prenderanno la decisione sbagliata.

    E poi?
    E poi non lo so. Non ho informazioni per fare ulteriori proposte.
    Poi navigheremo a vista, ci prenderemo la responsabilità dei nostri errori e apporteremo le correzioni necessarie.
    Per coloro a cui importa ridurre il ricorso all’aborto senza limitarne l’accesso, questo è un mondo di grigi e di compromessi
    I principi non negoziabili li lasciamo volentieri a chi vede solo il bianco ed il nero.

    Rispondi
    1. admin

      Pontilex è come il porco. Non si butta nulla!
      Non cancelliamo neppure i pareri contrari di CdP. Perchè dovremmo cancellare i tuoi contributi? 😀

      Rispondi
      1. DiegoPig

        Non so se essere contento che il mio commento non sia cancellato oppure essere offeso perchè è stato paragonato a quelli di CDP.

        Ci penso e poi ti faccio sapere… 😀 😀

        Rispondi
        1. admin

          Ahemm tecnicamente non l’ho paragonato. Ho detto che è superiore. Se non elimino quella feccia, perchè dovrei eliminare il tuo contributo (che, quindi, non è feccia) ?? 😀

          Rispondi
  6. Andrea ☮ il giullare matto Speaks

    Aborto ed eutanasia sono temi talmente importanti e a sé che bisognerebbe vedere il singolo caso ed immedesimarsi. Certo, il compito del legislatore è quello della terzietà…
    Sull’eutanasia, diciamo, mi sto pian piano formando un’idea: quindi ho molta strada da percorrere e sondare e approfondire. Pertanto, proprio per questo, magari trovo un po’ puerile il mio dubbio: “Perché se vedo uno che si vuole gettare dal balcone lo fermo sempre e comunque, e non dovrei far desistere chi sta sul letto di un’ospedale”?
    Sull’aborto, invece, a mio avviso, ripeto, è sul decidersi quando inizi la vita: ma, francamente, penso che non si troverà mai un accordo.
    Ho avuto la fortuna di studiare biologia alle superiori e, recentemente, prima di formarmi un’idea compiuta, mi son comprato delle riviste e monografie scientifiche, approfondendo la riproduzione cellulare… C’ho messo un paio di anni (non sono stato costante nella lettura); e, una volta capito nei particolari il come avvenga la riproduzione, ho letto le opinioni a favore e contro.
    Il motivo per cui pendo a favore del concepimento quale incipit di vita è perché, magari sempre puerilmente, mi dico: un giorno, anch’io ero una cellula uovo fecondata.
    Se penso poi che, al terzo mese, mia madre ha avuto una minaccia d’aborto, nell’unica notte in cui mio papà non c’era (in quanto vegliava suo padre morente) e che è arrivata con un certo ritardo in ospedale, mi dico: anch’io sono stato a quello stadio che poteva interrompersi.
    Ho amici che fanno parte dei cc.dd. “movimenti per la vita”: quello che chiedo loro è di organizzare delle conferenze, facendo intervenire giuristi, scienziati e membri della comunità civile. Spero che, un giorno, nella mia città, si facciano anche di queste cose: un tavolo eterogeneo che rappresenti tutteleistanze.
    Ovviamente, ritenendo il concepimento quale inizio della vita, sostengo che lo Stato debba farsi carico di proteggere la vita di un essere umano in divenire, il quale è, non solo giuridicamente, più debole rispetto ai diritti della donna.
    Certamente, lo Stato italiano è in accordo con la teoria scientifica dell’OMS, ossia che la gravidanza non inizi dal concepimento, bensì nel momento in cui l’embrione si impianti nell’endometrio della parete uterina.

    Certo, dico una cosa: non si possono fare mari e monti per salvare concepiti e persone in gravi stati di salute, e poi non sforzarsi nel garantire agli esseri umani – formati e capaci di agire – il diritto ad un’esistenze tranquilla e dignitosa.
    Se non legifero sull’eutanasia ma, allo stesso tempo, taglio i finanziamenti e l’assistenza medica, non è forse un controsenso? Se mi dico “pro-life” e poi non adotto alcuna politica per la famiglia né sociale né fiscale, non è forse un controsenso? Per me non esistono stadi di vita migliori o più tutelabili di altri o più dignitosi.
    Ma la politica è strana….

    Rispondi
  7. Giux

    ciao!
    bell’articolo ma tropppooo lungo mi sono perso leggendolo:)
    Cmq non posso condividere alcune cose.. ma ti faccio solo una domanda.
    Mi definisci la libertà.. ne parli tanto … ma non dici mai cosè!
    Buona serata
    Giuseppe

    Rispondi
    1. Gianfranco Giampietro

      Ciao Giux!

      Eh, lo so, purtroppo mi perdo troppo nelle mie lunghe seghe mentali 😀

      Riguardo alla mia definizione di libertà, è probabile che non mi sia mai soffermato a definirla.
      Il fatto è che per me libero arbitrio, libertà, buon senso e persino il concetto di morale arrivano quasi a coincidere. Ovviamente sono concetti separati, ma molto legati secondo la mia opinione.

      Per me la libertà coincide con il libero arbitrio: l’uomo ha il diritto di decidere tutto ciò che vuole, e di fare tutto ciò che desidera. Il concetto di morale per me subentra in seguito a ciò, ovvero per me è moralmente sbagliato tutto ciò che limita la libertà ed il libero arbitrio altrui.

      Ne consegue il fatto morale che necessariamente la libertà, per potere essere totale e a 360°, deve limitare se stessa per proteggere e tutelare sempre se stessa. Per dirla breve, una libertà totale che sfocia nell’anarchia è la negazione totale della libertà. Se io sono libero di fare qualsiasi cosa, allora sono libero di prendere con la forza la tua casa e la tua donna. Quindi la libertà totale nel quale tutto diventa lecito e permesso diventa una minaccia alla libertà di tutti noi. Oggi io potrei abusare della mia libertà totale a danno tuo, domani qualcun altro potrebbe abusare delle propria libertà senza freni per abusare di me. In un mondo simile non c’è sicurezza per nessuno, non può funzionare perchè saremmo tutti vittime della libertà altrui. Ecco perchè allora nasce la società e la necessità delle leggi, le quali limitando la libertà individuale in realtà la garantiscono e la rendono davvero sicura e TOTALE (grazie alle leggi e ai divieti io divento veramente libero, perchè posso godere della mia libertà senza che qualcun altro possa limitarmi con la sua).

      Personalmente questo è il metro personale che applico a tutte le cose. Tutte le cose veramente sbagliate della vita rientrano nella categoria delle limitazioni della libertà altrui… uccidere, rubare, saccheggiare, violentare, ecc. Tutte queste cose se ben esaminate sono tutti casi di limitazione della libertà e volontà altrui.

      Quando leggi statali e divieti morali ed etici sono finalizzati a questa semplice funzione di sicurezza e protezione, allora secondo me non viviamo in una società perfetta, ma almeno viviamo in una società con un minimo di buon senso, almeno teoricamente.

      Quando invece le leggi e i divieti morali ed etici si arricchiscono di una sovrastruttura diversa da questo semplice fine e scopo, allora non ci siamo, almeno dal mio punto di vista. Perchè 9 volte su 10 questa “sovrastruttura” inutile si traduce proprio in limitazione e violazione della libertà che invece leggi e divieti dovrebbero garantire come diritto inviolabile.

      Questa deforme “sovrastruttura” può dipendere da condizionamenti erronei del tempo, dei costumi, delle tradizioni, delle superstizioni, delle religioni e delle ideologie.

      Sono facili da identificare, basta porsi sempre la domanda: questa cosa che è proibita dalla società, dallo Stato e dalla religione, è proibita e condannata perchè fa del male a qualcuno? danneggia qualcosa? Se la risposta è “no”, allora ci troviamo davanti ad una inutile e dannosa “sovrastruttura”. Il classico esempio è l’omosessuale, il quale non danneggia e fa male a nessuno, che viene in certi paesi condannato e punito. Quando limitiamo la libertà di un assassino, di un pedofilo o di uno stupratore, lo facciamo perchè il libero esercizio della libertà di questi individui limita la libertà altrui e arreca danno e male concreto agli altri. La libertà dell’assassino limita e danneggia quelle povere persone che volevano continuare a vivere. La libertà dello stupratore o del pedofilo limita e danneggia la donna o il minore che non vogliono essere violati nella loro intimità contro il loro consenso e desiderio. L’omosessuale è un tipico esempio di persona che esercita il proprio libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui. Le sue pratiche e abitudini possono piacere o non piacere, possono essere condivise, capite o meno, ma è innegabile che quello che fa sono fatti suoi (mentre ciò che fa l’assassino sono anche fatti nostri!), egli non danneggia e limita nessuno, ergo nessuno dovrebbe danneggiare e limitare lui.

      Quando una società arriva ad arrestare, multare e persino ad impiccare o a mandare in un campo di concentramento qualcuno che con il suo stile di vita non fa male a nessuno e non danneggia nessuno, allora quella è una società ottusa e stupida, la sua morale, la sua eventuale religione e le sue leggi sono una minaccia alla giustizia e alla libertà, invece di esserne la garanzia.

      Quando un uomo come Volpe, Mussolini, Hitler o un talebano, arriva a teorizzare che Tizio o Caio merita di essere censurato, sanzionato, arrestato o manganellato ( “in fondo un paio di manganellate non hanno mai fatto male a nessuno” dice Volpe) perchè quel qualcuno vive liberamente la sua vita senza nuocere a nessuno in un modo che non piace a loro (a Volpe e simili) o alla tal società o morale religiosa, quelle persone che la pensano in questo modo, che pensano che gli altri debbano essere obbligati per forza a seguire ciò che vogliono loro, sono gli unici veri criminali che andrebbero arrestati (ovviamente quando la loro minaccia da teorica diventa concreta).

      Questa è la mia idea di libertà… in generale. Ovviamente poi ci sono tutti i casi specifici che meritano una discussione meno generale a parte.

      Rispondi
      1. admin

        Attenti perchè aveva detto: “Per dirla breve” …
        Ecco qui è stato breve 😉

        GG tranquillo, stò scherzando… Sai, senza bisogno che lo scriva tutte le volte, che ho una stima indefinibile ed illimitata per te e per quello che scrivi.

        Grazie!

        Rispondi
        1. Giux

          Ciao!
          Scusa se rispondo in ritardo.
          Non sono completamente d’accordo con la tua definizione di libertà, la trovo abbastanza limitante.
          A mio parere uno è libero quando gli viene data la possibilità di realizzare se stesso senza costrizioni e imposizioni.
          Per esempio, se io amo la matematica, e desidero vivere la mia vita in un determinato modo, sono libero se mi viene data la possibilità di conoscere la matematica e vivere la vita nel modo in cui mi realizzo maggiormente.
          Quindi non è semplicemente che uno viene lasciato libero di fare quel che vuole, ma uno viene messo in condizioni di realizzarsi completamente come persona.
          In questo modo di concepire la libertà, la società non è solo un ente passivo che si limita a porre dei limiti, ma un ente attivo che contribuisce costruttivamente al raggiungimento della libertà dei suoi cittadini.
          Quindi per esempio ponendo dei limiti alle persone, per esempio, non fai autolesionismo, (che so.. non ti droghi… non ti suicidi… non ti alcolizzi), in realtà aiuta la persona a realizzarsi pienamente e compiere così la propria libertà.
          Quindi difficilmente vista in questo modo la libertà di un individuo va a cozzare contro la libertà di altri individui.
          Che ne pensi?
          Giuseppe

          Rispondi
          1. Gianfranco Giampietro

            Ciao Giux!

            Personalmente ho l’impressione che quanto da te detto completi quanto da me espresso. Non credo che i nostri punti di vista siano in contrapposizione, almeno se ho capito bene.

            Forse non l’ho specificato, dandolo per scontato, ma anche io ovviamente penso che la società non solo deve lasciare gli individui liberi di fare ciò che vogliono, ma anche metterli in condizione di poterlo realizzare e, facendolo, realizzare se stessi.

            E’ una condizione che io do per scontata, allo stesso modo di come do per scontato che una coppia, decidendo di mettere al mondo un figlio, si preoccupi non solo di farlo venire al mondo, ma anche di offrirgli tutto ciò che occorre per poter vivere degnamente e compiutamente quando verrà al mondo.

            Ciò che occorre comunque specificare è che deve essere l’individuo a scegliere cosa desidera fare. La società deve solo limitarsi a garantire la libertà e le condizioni per realizzarlo (se ci si ragiona, in non garantire le condizioni sarebbe già di suo una violazione della libertà personale)

            Se per esempio ami la matematica e ritieni che essa ti faccia realizzare nel senso che ritieni più opportuno, allora è giusto (e dovrebbe essere un dovere e un impegno) che la società ti aiuti in questo senso.

            Non sarebbe invece giusto per la società stabilire per te cosa sia giusto, per esempio stabilendo che tu debba realizzarti attraverso lo studio e l’esercizio della matematica, anche se non è ciò che tu reputi migliore per te.

            Quando la società cerca di stabilire cosa è “giusto”, e di imporlo, la libertà dell’individuo è a rischio.

            Sicuramente quando tu pensi al concetto di “società che decide e promuove ciò che è più positivo per l’essere umano”, pensi ad un modello di società probabilmente condivisibile da molti di noi.

            Ma non dimentichiamo che la pretesa da parte di una società di stabilire cosa sia “giusto” implica la possibilità di grossi errori.

            Mettiamo il caso per esempio che una società rintenga giusto e “positivo” che l’uomo salvi la propria anima per mezzo della religione giusta, e che ritenga che solo la giusta religione aiuti l’uomo a realizzarsi pienamente.

            Oppure supponiamo che una società ritenga giusto e “positivo” che l’integrità razziale venga preservata ad ogni costo. Oppure che l’omosessualità sia una condizione che non possa essere positivamente tollerata e che debba essere corretta in appositi istituti di detenzione.

            Come puoi intuire dalle conseguenze che società come queste ipotizzate comporterebbero sulla libertà (nel primo caso abbiamo una società teocratica come quella del cristianesimo nel medioevo o dei paesi odierni in cui vige un regime islamico… nel secondo caso il ben noto regime nazista), puoi facilmente intuire come sia pericoloso per una società cercare di dedicere “oggettivamente” per tutti cosa sia giusto o sbagliato.

            Per questo sostengo l’idea che i valori debbano essere tramandati dalle numerose tradizioni, filosofie, religioni e ideologie… che ogni individuo possa decidere solo per sè cosa sia giusto o sbagliato, senza imporlo e stabilirlo per gli altri… e infine che società e Stato debbano solo fare da garanti NEUTRALI della possibilità di poterlo realizzare senza interferenze da parte propria o di terzi.

            Che ne pensi?

          2. giux

            ciao!
            Ci devo pensare bene poi potrò risponderti:)
            Per il momento ti ringrazio e ti auguro buona notte
            Giuseppe

      2. giux

        ok capito il tuo pensiero a grandi linee… è lunghissimo ancora:)
        Io la vedo un poco diversamente… domani appena ho tempo ti rispondo!
        Ciao e buon sabato sera
        Giuseppe

        Rispondi
  8. ssp54

    Se gli omosessuali sono mostri perché non procreano, cosa sono preti e suore che non procreano per loro scelta. A rigor di logica dovrebbero essere mostri della peggior specie in quanto “non adempiono alla santa missione della riproduzione della specie” per scelta consapevole.

    Rispondi
    1. Giux

      … bisognerebbe capire come uno può permettersi di dare del mostro a un altra persona e pretendere di mantenere il proprio diritto di parola.
      Purtroppo in italia a certa gentaglia non si proibisce di parlare! … anzi si dice… devono parlare perchè ci dev’essere un confronto!
      Ma quale confronto!!!! il confronto si basa sul rispetto reciproco, quando questo manca non cè spazio per nessun tipo di discussione.
      Giuseppe

      Rispondi

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