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194: una legge di serie B

C’è una legge più maltratta, meno rispettata della 194? Una legge in cui lo Stato sembra credere di meno? Il numero dei medici e operatori sanitari che rifiutano per motivi personali di garantire alle donne che lo vogliono l’interruzione di gravidanza rende la legge 194 una legge zoppa, una legge della carta, non della realtà.

Credo che il punto sia solo questo. Difendere la legge 194 come una legge necessaria, civile, umana, non significa appoggiare il “partito della morte”, non significa nemmeno essere abortisti. Significa semmai pensare che certe scelte che riguardano il nostro corpo, la nostra idea della salute e della vita, purtroppo o per fortuna, sono solo nostre e a tutti deve essere garantito il diritto di portarle avanti in maniera dignitosa e sicura.

Comunque la pensiamo a riguardo (in certe condizioni abortirei? non abortirei?), comunque la pensiamo, sulla legge 194 non si può tornare indietro. Cosa vorrebbero i vari movimenti antiabortisti cattolici e la Chiesa stessa? Vorrebbero riportare le donne nell’illegalità o vorrebbero sequestrare loro il corpo e piazzargli le guardie svizzere fuori dalla porta per nove mesi, come diceva il grande Guzzanti-padre Pizzarro? Perché alla fine è solo questo il punto. Ci sono donne che arrivano alla decisione di abortire. E questo avviene, come sappiamo, sia che esista una legge che consenta loro di farlo in sicurezza in un ospedale da un medico, o che invece siano costrette a farlo illegalmente da una mammana in qualche scannatoio.  
La contrapposizione imposta dai cattolici e dai vari movimenti antibortisti tra il partito della vita e quello della morte mi sembra assolutamente fittizia. Difendere la legge 194 e chiederne una giusta applicazione non significa essere abortisti o non esserlo. Significa solo riconoscere un diritto.  

Tutto ha inizio e succede nel corpo delle donne. Comunque la pensiamo a riguardo, la decisione spetta solo a loro. La legge 194 garantisce, fissando limiti e modalità molto precisi, fino a che punto le donne abbiano diritto a decidere e debbano essere garantite nella decisione che prendono. Solo questo è il punto.

 

Piccole uccrazzate crescono: studenti delle scuole private più preparati ed educati

Il finanziamento alle scuole private è sempre stato un chiodo fisso per i cattolici e non sono da meno gli uccreazionari del blog Uccr (Unione Cristiani Cattolici Razionali). Nel tentativo “irrazionale” di sostenere il finanziamento alle scuole private gli uccrociati ci regalano una colossale uccrazzata con un articolo dal titolo “Nuovo studio: studenti delle scuole private più preparati ed educati”. La tesi dell’articolo – come si evince dal titolo – è molto semplice: chi frequenta le scuole private religiose sarebbe più preparato ed educato.
Così scrivono gli uccreazionari: «Addirittura negli USA arrivano proposte per finanziare anche le scuole private “pure” (non solo quelle paritarie), in quanto si risparmierebbe e si guadagnerebbe in qualità dell’istruzione e di educazione comportamentale. Lo ha dimostrato una una recente meta-analisi, pubblicata dalla rivista “Peabody Journal of Education”, e condotta da William Jeynes, docente di Education presso la California State University su 90 studi che mettono a confronto le scuole religiose private, le scuole pubbliche tradizionali e le charter schools, mostrando che gli studenti danno il meglio, dal punto di vista accademico (rendimento scolastico) e comportamentale, quando frequentano le scuole private religiose». Perciò, secondo gli uccrociati, «gli studenti che frequentano le scuole private religiose raggiungono gli adeguati livelli di istruzione circa dodici mesi prima di coloro che frequentano regolarmente le scuole pubbliche. Inoltre, gli studenti delle scuole religiose sono esposti a meno problemi comportamentali (confrontati per status socio-economico, razza e sesso), minor atti di bullismo, più bassi livelli di abuso di droga e una maggiore armonia razziale rispetto agli studenti delle scuole pubbliche». Continua a leggere

Rondoni: “L’embrione è un figlio ed ha tutti i diritti”. E se questo embrione fosse gay?

Su Agenzia informazione religiosa (e poi ripreso da Uccr) il poeta e scrittore Davide Rondoni interviene sul tema dell’aborto e lo fa da un punto di vista molto interessante: il rifiuto della parola “embrione” ed il riappropriarsi della parola “figlio” ossia quella che per Riondoni è «la prima parola con cui noi esseri umani veniamo indicati da chi ci ha concepito. Prima ancora del nome proprio. La prima parola. La parola dell’inizio umano».
Per Rondoni negare all’embrione lo status di figlio sarebbe non solo «una spaventosa dimenticanza di qualcosa, anzi, di qualcuno che già c’è, che già entra in scena, ma una amputazione di futuro» e quindi «nel negare diritto di esistenza all’inizio, si compie una negazione di ogni diritto successivo» e quindi il «diritto all’inizio è l’inizio dei diritti». Rondoni è del parere che «la violenza, come insegna la storia, inizia nelle parole» ed allarga il suo parere anche ad altre categorie: «Se lo chiamiamo ebreo o negro o zingaro invece di Joseph, Amin o Ruben è più facile trattarlo a parole o nei fatti in modo brutale o violento. Se lo chiamiamo embrione è più facile dire che non ha diritti». Perciò il poeta e scrittore rifiuta il concetto di “embrione” per riappropriarsi di quello di figlio perché «in questa parola dolce e tremenda, come primo nido tremante dell’esistere, nascono tutti i diritti». Rondoni si spinge anche oltre ed in uno dirompente discorso scrive che «A un figlio – addirittura – siamo disposti a riconoscere più diritti del necessario, di solito» perché «l’affermazione che è uno di noi è linfa vitale per ogni vera passione per tutti i reali diritti». Continua a leggere

Numero di preti e suore: tutta crisi e Chiesa. Anni di Chiese chiuse.

Chiese chiuseIl quotidiano britannico Telegraph dedica un articolo alla crisi di vocazioni all’interno della Chiesa cattolica. I numeri non sono per niente incoraggianti: oggi ci sono circa 300mila preti e suore in meno rispetto a 40 anni fa con una diminuzione più marcata in Europa, Stati Uniti ed Oceania.
Nonostante il numero complessivo dei preti sia cresciuto nell’ultimo anno passando dai 412.236 del 2011 ai 413.418 del 2012 (+0,3 per cento) in alcuni ordini religiosi la crisi è sensibile. Proprio l’ordine di papa Francesco – quello dei Gesuiti – sembra risentire di più: dal 1973 al 2012 il numero dei suoi componenti è passato da 30.860 a 17.287 (-43 pe cento). Nello stesso periodo il numero delle suore è passato da un milione a 710.000 (-29 per cento) mentre l’ordine delle clarisse ha subito un calo del 23 per cento passando dalle 20.423 del 1973 alle 15.573 del 2012.
Il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi – egli stesso un gesuita – ha minimizzato la situazione dicendo che non è una novità: «Questo sta accadendo da 40 anni. Siamo pienamente consapevoli della situazione e nei gesuiti abbiamo riflettuto le ragioni culturali, sociali e spirituali molte volte. Si tratta di questioni ben note che sono state oggetto di riflessione per decenni. C’è stato un calo da qualche tempo e non è cominciato due giorni fa».
Nonostante la Chiesa cattolica sia in profonda crisi in Occidente, è in significativa crescita nel Terzo Mondo: negli ultimi dieci anni il numero di uomini negli ordini religiosi è cresciuto in Asia del 44,9 per cento e del 18,5 per cento in Africa. In ogni caso questi incrementi non sono stati sufficienti a compensare la diminuzione avvenuta in Europa e Stati Uniti.

Pew Research Center: per tre italiani su quattro l’omosessualità deve essere accettata dalla società.

In molti Stati è presente il dibattito sul matrimonio per le coppie dello stesso sesso: recentemente in Europa è stato introdotto in Francia mentre la Gran Bretagna di David Cameron è sul punto di farlo.
Nel corso del tempo è cambiata l’opinione della società nei confronti dell’omosessualità considerata da sempre più persone come un comportamento del tutto normale.
L’istituto privato di studi politici, economici e sociali americano Pew Research Center ha condotto una ricerca in 39 Paesi con lo scopo di verificare quale fosse il livello di accettazione dell’omosessualità: ne emerge che maggiormente i Paesi sono secolarizzati e minore è l’omofobia.
Paesi dove l’omosessualità è largamente accettata sono quelli del Nord America, dell’Unione Europea e dell’America Latina mentre le condizioni non sono facili nei Paesi islamici, in Africa, in gran parte dell’Asia ed in Russia. L’opinione pubblica si divide in Israele, Polonia e Bolivia.
Nel Nord America l’80 per cento dei canadesi pensa che l’omosessualità debba essere accettata mentre questa opinione è condivisa solo dal 60 per cento degli statunitensi.
In Europa i maggiori Paesi “gay-friendly” sono la Spagna dove l’88 per cento pensa che l’omosessualità sia normale, la Germania (87 per cento), la Repubblica Ceca (80 per cento), la Francia (77 per cento), la Gran Bretagna (76) e – nonostante le posizioni della Chiesa Cattolica e di parte della classe politica – l’Italia (74 per cento). Posizioni più basse nell’ortodossa Grecia dove solo il 53 per cento dell’opinione pubblica pensa che l’omosessualità sia normale, la Polonia (solo il 42) mentre la situazione è veramente difficile in Russia dove addirittura il 74 per cento dell’opinione pubblica pensa che l’omosessualità debba essere respinta. Continua a leggere