Terrore e terrore psicologico: la stampa italiana e un anno di Daish

In genere sono solito prendermela con le testate cattoliche perché in media, a quel che leggo, sono quelle che contengono una maggior dose di contenuti reazionari. Stavolta mi sento in dovere di bacchettare tutta la stampa italiana per questo pessimo scivolone, per quanto la cosa coinvolgerà in maggior parte quelle più esplicite sulla questione. Se non altro per porle come metro di paragone estremo in negativo. Di cosa si stra trattando (a quattro righe di testo è anche lecito domandarselo)? Degli articoli sul tema del primo anno di vita dello Stato Islamico.

Premetto ovviamente che non sono un esperto militare, né un esperto di cultura araba e/o religione islamica, né uno storico, né tanto meno un esperto di comunicazione. Ciò non di meno sono una persona con una discreta memoria e una certa curiosità, e non mi ci vuole molto per ricordare (per quanto non perfettamente) gli stessi articoli di cronaca che queste stesse testate scrissero allora.

Ma partiamo subito con l’articolo di Avvenire, quello più subdolo perché cita unicamente i puri dati dando un’impressione di oggettività:

Era il 29 giugno di un anno fa quando Abu Bakr al-Baghdadi, approfittando del primo giorno di Ramadan (29 giugno 2014) autoproclamatosi emiro dell’Is, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, annunciò con un messaggio audio diffuso su internet la nascita del califfato jihadista nell’Iraq settentrionale e in Siria, con Raqqa come ‘capitale’. […] QUANTI MILIZIANI?
Secondo stime diverse l’Is potrebbe contare su un numero massimo di di 200mila miliziani. Più probabilmente i combattenti sarebbero 40mila-50mila uomini in Siria e in Iraq.

A prescindere dal fatto che ciò sia vero o meno bisogna contare non il numero bensì la composizione, come ci insegna Sun Tzu. Perché è facile spaventare un ignaro lettore con cifre alte ignorando il loro scarso addestramento, la decimazione dei superiori e la loro disomogeneità che porta a vere e proprie faide tra locali e stranieri convinti a suon di propaganda-marketing.

QUALI OBIETTIVI?
L’obiettivo principale dell’Is non sarebbe tanto colpire l’Occidente, anche se la sua propaganda mediatica potrebbe far pensare il contrario, quanto rafforzarsi e mantenere il controllo delle zone conquistate.

Dunque l’allarmismo a che serve? Ma soprattutto: dietro al tono perentorio non si sta per caso ignorando che questa sia un sintomo di dichiarata debolezza?

Ciò porta con sé una minaccia alla sopravvivenza delle minoranze e delle identità culturali diverse da una rigida ed estremista interpretazione della Sharia (la legge islamica).

QUALI LEGGI?
Il modello di comportamento che l’Is impone nel Califfato, dove si stima che vivano tra le cinque e le sei milioni di persone, è quello dettato dal Profeta Maometto nel settimo secolo.

Mezza bugia e molto vago. Attualmente non si conosce l’affiliazione precisa dello Stato Islamico a una corrente religiosa dell’Islam. Si sa con sicurezza però che è Sunnita. Forse Wahabita ma è un’impotesi. In ogni caso è difficile dire se effettivamente le regole del sunnismo corrispondano a quelle originali maomettane, si può solo ipotizzare l’improbabilità. In ogni caso anche qui è difficile fare una stima precisa della popolazione sotto l’IS, se non altro perché il controllo che hanno del territorio è molto labile [vedremo più in là].

Tra i metodi crudeli applicati dall’Is, spesso in pubblico per ‘dare
l’esempio’, per eliminare chi si oppone al Califfato, o non ne rispetta le regole, vi sono la crocifissione e la lapidazione, l’impiccagione e l’annegamento. La decapitazione è stata spesso strumento di propaganda mediatica, ‘riservata’ agli ostaggi occidentali o a cittadini di Paesi considerati nemici dell’Is, come l’Egitto, ma anche agli uomini di eserciti e governi arabi considerati “traditori”.

La macabra lista è più che ovvia, ed in certo senso è lecita. Solo una cosa non torna: la menzione della propaganda mediatica. Infatti non è questo un fargli pubblicità gratuita. Non nel senso che non bisogna parlarne o scriverne, ma nel senso che si ignorano i fatti che rendono la comunicazione del califfato inefficace:

  • L’essersi inimicato d’ovunque coalizioni meglio preparate, numericamente superiori, meglio armate
  • Il non essere riusciti a conquistare una città di confine ma venire sconfitti da un esercito di volontari senza uno Stato riconosciuto (i curdi dello YPG e del PKK) e da altri raggruppamenti di guerriglieri non del tutto addestrati
  • La fuga del califfo dalla seconda città più importante (Mosul) in via di liberazione, con un avamposto già ripreso dalla coalizione (Tikrit)
  • L’essersi fatti decimare più volte le vette di comando nei blitz aerei fino al ferimento dello stesso Al-Baghdadi con conseguenti lotte interne
  • L’accerchiamento capitale Raqqa
  • Il taglio dei rifornimenti (dalla Turchia?) per mano curda

E come in una vera e propria sessione di marketing aziendale, vengono citate SOLO le conquiste ignorando tutto ciò che avete letto finora:

LE CONQUISTE
La forza militare dell’Is sul campo è stata di recente dimostrata con
la conquista di Ramadi, capoluogo della provincia irachena occidentale
di al-Anbar il 18 maggio scorso, e con quella di Palmira

Tutte cose che cadrebbero nel vuoto oppure potrebbero assumere una certa importanza se si sapesse qualcosa se ci degnassero di informarci sulla loro effettiva importanza strategica. Ma guarda un po’ ciò non accade, anzi: continua la farsa:

In questi mesi, lo spettro dell’Is ha continuato inoltre a minacciare due importanti metropoli, Baghdad e Aleppo, sconfinando non di rado nei territori di altri Stati mediorientali, come la Giordania, il Libano e l’Arabia Saudita.

(Ricordiamo che a Baghdad gli uomini di Al-Baghdadi – ironia della sorte vuol dire proprio “Di Baghdad” più o meno come da noi “Da Vinci” vuol dire “Della città di Vinci” – gli uomini di Al-Baghdadi non riuscirono nemmeno a mantenere un campo per profughi di origine palestinese)

FUORI DAI CONFINI
Non meno rilevanti le «conquiste» conseguite dal Califfato al di fuori dei territori siro-iracheni, segno tangibile di una globalizzazione della lotta jihadista. Dal novembre dell’anno scorso a oggi, è stato un susseguirsi di proclamazione di nuove province. La prima “wilaya” extra metropolitana è stata la Penisola del Sinai, nata grazie all’adesione del gruppo Ansar Bayt al-Maqdis (i Partigiani di Gerusalemme) allo Stato islamico. Sono poi nate tre province libiche: Barqa (la Cirenaica), con epicentro a Derna dove era spuntato il primo emirato sul Mediterraneo, la Tripolitania e il Fezzan. Nel suo messaggio del 13 novembre scorso, Baghdadi ha parlato dell’estensione della sua autorità ad altri territori ancora, citando espressamente l’Algeria e lo Yemen, ancora una volta grazie all’adesione al Califfato (ma meglio parlare di vere e proprie scissioni) di gruppi già legati ad al-Qaeda.

E qui si confonde bellamente gruppo alleato a-/gruppo affiliato a- con tutta la baracca. Che è come pretendere che in un plotone le guide locali siano soldati regolari o ancora è come pretendere che un imitatore, spariamo a caso, Balotelli sia un membro della squadra in cui gioca Balotelli. Anche qui poi si ignora che in Libia i sedicienti membri dell’ISIS si ritrovino due governi contro più alleati e che certo il loro territorio è talmente misero da fare quasi tenerezza.

Il resto continua la lista dimenticando per altro che in Siria lo sponsor principale ha persino contro il suo primo competitor: Al-Qaeda.

IlGiornale è più sfacciatamente allarmista e, manco a farlo a posta, super-interventista (più di così?) e quasi dichiaratamente razzista:

Ecco le cinque ragioni per cui l’Occidente perde contro il Califfo

Risposta militare inadeguata, isolamento della Russia, alleanze inaffidabili, sconfitta mediatica e spauracchio della “islamofobia”

E già qui avete concentrati tutti gli stereotipi dell’estrema destra da un anno a questa parte: il putinismo-zarismo, l’intolleranza religiosa, il militarismo (finora solo mediatico) e così via. Un buon inizio: quantomeno non è subdolo.

Successe il 29 giugno di un anno fa, ma sembra un secolo. Nella Mosul appena conquistata, nel lembo d’Iraq appena piegato alla legge dello Stato Islamico, sul pulpito della moschea dove Abu Baqr Al Baghdadi si proclamò Califfo. Da allora il tempo è scandito dal rotolar di teste, da corpi dissacrati, da massacri senza più numeri e vergogna. Un annus horribilis , lungo un secolo, durante il quale lo Stato Islamico ha ridisegnato i confini del Medioriente e noi abbiamo assistito inerti alla sua avanzata. Incapaci non solo di fermarlo, ma persino di comprendere le cinque fondamentali ragioni che rischiano di condannarci alla sconfitta.

E con una perfetta giravolta delle parti eccoci ritrovati a giocare il ruolo di quegli stessi propagandisti che si mettono a cantare litanie in arabo sull’invincibilità del’autoproclamato califfato. Ottimo lavoro articolo!

La mancata risposta

Prima di reagire abbiamo assistito per due mesi alle stragi di cristiani, yazidi e sciiti.

Anche fosse: ben consapevole che questi boia hanno contro almeno quattro diverse armate variamente composte (due eserciti regolari, della Siria e dell’Iraq, e due formazioni di guerriglieri, l’Esercito Siriano Libero e i curdi dello YPG-PKK). Ora, a meno che non si voglia tornare al razzismo borghese per cui  alcune popolazioni sono incapaci di compiere alcune azioni in autonomia a me questo presunto o reale lassismo che sia pare anche comprensibile.

I raid aerei lanciati l’8 agosto 2014 da Washington, senza la presenza di truppe sul terreno, si sono rivelati inadeguati a fermare una formazione abituata a muoversi in piccoli gruppi utilizzando mezzi e armamenti il cui costo è inferiore a quello degli ordigni usati per distruggerli.

Da un giornale che si schiera schiettamente per il padronato non dovevamo aspettarci che un ragionamento tipico del padronato. Come se i mezzi si guidassero da soli o fossero l’unica cosa necessaria a vincere una guerra! Ciò che l’articolo ignora è che se è vero che costano poco anzitutto vuol dire che non sono di ottima qualità. Il che fuori dal gergo mercantilistico vuol dire che gli jihadisti sono mal equipaggiati. E all’improvviso tutto assume un’altra colorazione.

Oggi, nonostante gli oltre 2.900 milioni di dollari spesi da Washington per colpire oltre 7600 obbiettivi, lo Stato Islamico è più che raddoppiato e controlla oltre 250mila kmq di territori (50mila in meno dell’Italia) estesi su un terzo dell’Iraq e metà della Siria. Senza contare le città di Derna e Sirte conquistate dalla sua succursale libica.

E ha il nemico alle porte della capitale. Ma questo non lo diciamo perché sennò non siete contenti.

Il nemico sbagliato

Un anno dopo Stati Uniti ed Europa continuano a privilegiare lo scontro con il nemico sbagliato, ovvero con quella Russia di Vladimir Putin che potrebbe rivelarsi il miglior alleato.

E qui si raggiunge il limite del ridicolo, lo si supera, si mette la retromarcia e si ritorna sulla Terra per annunciare al mondo cotanta dabbenaggine:

Oltre alla lunga esperienza acquisita combattendo i terroristi ceceni, la Russia dispone di sistemi e informazioni d’intelligence alternative e complementari a quelli occidentali. Senza contare i costi affrontati per sostenere l’indipendenza ucraina e le successive sanzioni che avrebbero potuto esser investiti nella lotta allo Stato Islamico.

Sic! A voi ulteriori commenti.

Gli alleati infidi

Il Qatar e la Turchia sono sospettati di aver contribuito alla nascita e all’espansione territoriale dello Stato Islamico. Dal Qatar sono arrivati finanziamenti e grosse partite di armi. La Turchia oltre ad armare l’Isis, come dimostrano i filmati messi in rete da alcuni media turchi, offrono ospitalità e santuari ai combattenti dello Stato Islamico. Per non parlare del libero transito garantito a 4000 volontari europei diretti in Siria.

E qui le accuse sono troppo perentorie: anzitutto gli Emirati Arabi (Qatar compreso) hanno smesso di finanziare l’IS da un paio di mesi buoni, ma poi non è un dato assodato, per quanto probabile, l’ignavia della Turchia. Inoltre si sta facendo confusione: se il Qatar può finanziare l’ISIL per ragioni ideologiche, non così la Turchia, che lo sfrutta più in funzione anti-curda e anti-Assad. In ogni caso questi sono i classici segreti di Pulcinella.

La sconfitta mediatica

Da un anno siamo incapaci di rispondere all’offensiva mediatica dell’Isis. Grazie ai suoi video – tanto terribili quanto sofisticati – l’Isis infonde terrore misto ad impotenza nelle nostre opinioni pubbliche.

Altra pubblicità gratuità all’IS. Strano no? Ma il peggio arriva dopo:

Gli stessi video attraggono migliaia di giovani volontari islamici convinti che la spietata determinazione dell’Isis sia l’arma migliore per sconfiggere un Occidente fiaccato moralmente ed ormai incapace di far valere la propria superiorità culturale, militare e tecnologica.

Come se in guerra contasse la morale e non il fucile e la pagnotta. Per altro sento puzza di suprematismo, o mi sbaglio?

La sottomissione ideologica

Non pago di aver arretrato le linee di difesa rinunciando a combattere lo Stato Islamico sul proprio terreno, ovvero in Siria, Iraq e Libia, l’Occidente si ritrova a far i conti con lupi solitari, reduci siriani e cellule dormienti mimetizzati in quel sottobosco garantito dalla sottomissione ideologica di politici e opinione pubblica. L’esempio più lampante lo offre il presidente francese Hollande che definisce «attacco di natura terroristica» – senza aggiungerci «islamista» – l’attentato con testa mozzata di Isère. Fedele alla vague multiculturale Hollande rifiuta, al pari di tanti politici, giornalisti e intellettuali, di riconoscere l’esistenza di fette della società islamica conniventi con i terroristi.

Questo NON merita commenti.

RaiNews è meno apertamente schierata, ma comunque esplicita, e pare dimenticare che le dichiarazioni possono anche non corrispondere o essere contrarie ai fatti. Dopo un elenco simile a quelli precedenti infatti cita:

In questi dodici mesi le promesse di seminare il terrore in tutto l’Occidente si sono susseguite con l’obiettivo di estendere i confini del “Califfato” per raggiugnere la Mecca, il Cairo, il Marocco: in pratica tutti gli Stati che affacciano sul Mediterraneo, per poi puntare anche a Roma.

Ignorando che minacce e video gore sono una comoda maschera per nascondere le sue inadeguatezze. Puro e semplice delirio d’onnipotenza. O si vorrà credere alla bufala dei missili libici [e sulla Libia vedi sopra]?

Con le mire espansionistiche oltre che la forza militare, in un anno è cresciuta esponenzialmente anche la forza mediatica: i seguaci di al-Baghdadi inondano la Rete e i media con video, manuali e messaggi di ogni genere che hanno un doppio obiettivo: terrorizzare gli infedeli ma soprattuto richiamare alla Guerra Santa i tanti arabi che vivono nel mondo occidentale.

Ora, non so che video abbia guardato il giornalista, ma a me risulta che la qualità sia drasticamente calata col calare delle risorse. Risorse inoltre in buona parte distrutte dai raid aerei (un copia in gesso di una statua non la puoi vendere due volte, non la stessa).

Le fonti più perdonabili sono Askanews, il Fatto a HP. Se non altro per la loro densità di dettagli da cui si può ricavare quanto sopra. Askanwes fa solo un comodo elenco e tenta così di mantenersi neutrale, e in un certo limite ci riesce. Ciò che non cita solo al solito le sconfitte clamorose.

Il Fatto compie degli scivoloni imbarazzanti nelle seguenti sezioni:

“Isis si è sviluppato tantissimo dalla sua fondazione, nel 2004, – spiega l’analista – ma è cresciuto anche dalla proclamazione del califfato. È difficile parlare di momenti più alti e momenti più bassi. La conquista di Kobane o quella di Ramadi sono stati degli indubbi successi, soprattutto dal punto di vista simbolico

Ci si dimentica che Kobane NON è mai stata conquistata, e anzi è stato proprio vero il contrario: Kobane è stata la prima vera e propria sconfitta del Daesh, per altro ammessa dagli stessi miliziani.

Giustamente l’intervistato tira le mani avanti e ammette di potersi essere lasciato ingannare – come tutti – dagli ultimi eventi:

bisognerebbe capire quanto questi momenti di gloria o difficoltà siano stati effettivamente reali o, invece, nostre semplici percezioni dettate anche da una forte influenza mediatica”.

Huffinghton Post invece scivola su altre questioni:

Una cosa è certa: oggi, il “Califfato” non dipende per la sua sopravvivenza dall’estero. I soldi da fuori arrivano ma non sono vitali. Insomma si autofinanzia. E si rafforza. Un anno dopo, tra tanti Stati falliti nel Grande Medio Oriente, ce ne è uno che invece rafforza le sue schiere e conquista nuovi territori. È lo Stato islamico.

Non starà qui a ripetere ancora le medesime cose. Ormai avrete capito l’andazzo.

Ma perché questi panegirici, come se si trattasse di qualcosa di davvero universale e vicino? La mia ipotesi è che quello che a questo punto non mi vergognerei a chiamare terrorismo psicologico – per assurdo perfettamente in linea con uno stato di guerriglieri terroristi – non serva che ad esacerbare gli animi. Non più e non meno di come si è costruito mediaticamente prima Grillo e poi Salvini nel redivivo gioco DC-MSI. Cavalca l’onda con i cadaveri freschi di cui abbiamo più o meno tutti sentito, visto o letto in queste ore e tutto, come da copione, per vendere copie. Solo io chiedo: ne vale davvero la pena?

Fonti nell’ordine in cui sono citate:

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/un-anno-di-califfato-islamico.aspx

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ecco-cinque-ragioni-cui-loccidente-perde-contro-califfo-1146025.html

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Un-anno-fa-nasceva-il-Califfato-51fcd9f8-312c-47c5-9e25-c5548dace5ac.html?refresh_ce

http://www.askanews.it/minaccia-isis/un-anno-di-califfato-dell-isis-in-siria-e-in-iraq–scheda_711546480.htm

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/29/isis-un-anno-dopo-come-e-cambiato-il-califfato-dal-discorso-al-baghdadi-ad-oggi/1826211/

http://www.huffingtonpost.it/2015/06/29/isis-un-anno-di-stato-islamico_n_7687596.html

4 pensieri su “Terrore e terrore psicologico: la stampa italiana e un anno di Daish

  1. Compagno Z

    Bellissimo riassunto FSMosconi, ti faccio solo un paio di osservazioni:

    A) che quelli dell’Isis siano wahabiti c’é poco da dubitarne visto che sono stati sostenuti finanziariamente e filosoficamente dall’Arabia Saudita;

    B) che il “Fatto” abbia scritto meno inesattezze degli altri avrei qualche dubbio: vedi ad esempio l’articolo in cui sostengono che l’Isis non attacca la Sicilia “perché ha paura del boss Messina Denaro”!

    Se sei alla ricerca di un punto di partenza per approfondire le tue conoscenze su Medio Oriente ed Islam ti consiglio “Storia dei popoli arabi” di Albert Hourani (Mondadori).

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