… Ed il revisionar m’è dolce… (*)

(*) Con mille scuse a Giacomo Leopardi

“Tutto quello che fate lo fate perché lo volete, ogni giorno. Perché scegliete i vostri amici con cura. Perché dimenticate gli oppressi e ignorate gli oppressori.  Ma un giorno qualcosa tornerà, sangue e rabbia e steppa, e vi azzannerà alla gola.”

Da “Spiriti”, di Stefano Benni

Buongiorno a tutti.

Pochi giorni fa il nostro FSMosconi mi ha segnalato questo articolo di Avvenire che, sinceramente, è difficile definire non definire “revisionista”.

L’argomento oggetto dell’articolo è il supporto fornito nell’immediato dopoguerra da parte di alcune autorità della Città di Vaticano e della Chiesa Cattolica alla fuga di alcuni gerarchi e criminali di guerra nazisti dall’Europa verso destinazione estere (in particolare paesi del Sud America).

Un argomento tradizionalmente scottante per la Chiesa Cattolica, cosi come quello fra i rapporti fra Santa Sede e Terzo Reich in generale, visto l’atteggiamento ambiguo da sempre tenuto dal Vaticano nei confronti delle dittature di estrema destra (o comunque reazionarie) nel secolo scorso: basti pensare all’agitazione che pervase la Sala Stampa Vaticana qualche anno fa, quando cominciarono a circolare le prime indiscrezioni sulla passata iscrizione del neo-eletto al soglio pontificio Joseph Ratzinger alla Hitlerjugend e la solerzia con cui padre Lombardi si affannò a dichiarare davanti ai giornalisti che no, il Papa non aveva mai fatto nulla di sconveniente quando vestiva la camicia bruna, al  massimo aveva fatto qualche marcetta e cantato qualche canzone patriottica per le strade (seee, come se nel ’45 la Wehrmacht avesse avuto uomini da sprecare in pagliacciate!).

La questione delle c.d. “Ratlines” è tornato in auge da qualche anno, a seguito della de-secretazione di documenti dei servizi di intelligence di alcune delle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale (in massima parte statunitensi) che ha stimolato nuove ricerche da parte degli storici negli ultimi due decenni. A seguito di queste ultime l’esistenza storica delle “Ratlines” è ormai certa, così come il coinvolgimento a vario titolo di esponenti del clero cattolico nella vicenda.

Ciò su cui dibattono gli storici è l’esatta portata del fenomeno, in particolare se si trattò di singole iniziative non coordinate tra di loro oppure di una vera e propria rete di canali diplomatici creata allo scopo di favorire la fuga dei criminali nazisti.

Dibattito non condiviso evidentemente dalla redazione di Avvenire che invece sceglie di negare tutto, pure l’evidenza.

In realtà l’intento dell’articolista di Avvenire appare,  sin dal titolo dell’articolo-intervista che è “NAZISTI IN FUGA? NON GRAZIE ALLA CHIESA“, più auto-assolutorio e propagandistico che autenticamente storico-critico, come avremo modo di vedere più avanti. Ma procediamo con ordine.

“La Chiesa e il Vaticano non aiutarono in alcun modo la fuga dei criminali nazisti. Se questi riuscirono a infiltrarsi fra i profughi con documenti falsi o a utilizzare canali diplomatici per raggiungere l’America del Sud o altre nazioni dove potevano contare su valide coperture, non c’è traccia di connivenze di ecclesiastici o organizzazioni cattoliche, impegnate solo in una attività umanitaria. “

Novello Muzio Scevola, l’articolista di Avvenire ci mette la mano sul fuoco, mai nessun aiuto venne da parte della Chiesa Cattolica ai nazisti in fuga, fecero tutto da soli. In realtà già queste prime quattro righe sono piene di inesattezze.

Che in quegli anni una fiumana di sfollati, in fuga dalle devastazioni e dalla povertà generati da anni di guerra, guardasse all’Italia come principale “porta” per altri continenti e paesi dove cercare una vita migliore è vero. Ma sostenere che i nazisti si “infiltrarono” fra i profughi è alquanto opinabile: i primi ad essere assistiti nella fuga furono infatti trovati in mezzo ad altri militari tedeschi nei campi per prigionieri di guerra degli Alleati.

In seguito la prima “ratline” vera e propria (che a differenza di quelle successive non passava attraverso l’Italia ma la Spagna) fu predisposta con la collaborazione di diverse persone provenientidall’ambito cattolico: Charles Lescat (membro dell’associazione integralista cattolica e filomonarchica “Action Francaise”), un collaborazionista del regime di Vichy, Pierre Daye, collaborazionista belga che sfruttò i suoi rapporti con funzionari della dittatura (cattolica) franchista ed incontrò Juan Peron alla Casa Rosada, Monsignor Luigi Maglione e l’ex direttore della Society of S.Raphael Anton Weber che fecero pressione sulle autorità consolari argentine per favorire l’ingresso di “immigrati cattolici” nel paese Sudamericano ed il cardinale argentino Antonio Caggiano che ricevette personalmente Lescat e Daye quando utilizzarono loro stessi la “ratline” per mettersi in salvo. Gli stessi Lescat e Daye si occuparono dell’organizzazione delle “Ratlines” dalla parte opposta dell’atlantico.

Anche per quanto riguarda la questione dei documenti falsi e dei canali diplomatici Avvenire non la racconta giusta: vero è che i nazisti in fuga non avevano mai documenti con sé (quando gli eserciti ed i servizi segreti di due superpotenze ed un impero coloniale ti cercano, portarsi dietro nel portafoglio la tessera del Partito Nazista non è esattamente una genialata) oppure possedevano documenti contraffatti alla meno peggio, realizzati alla bisogna da chi aiutava gli ex gerarchi a passare i confini, ma quando si presentavano alle autorità che avrebbero potuto garantirgli un sicuro espatrio palesavano la loro identità, come avvenne ad esempio per Adolf Eichmann (come illustrato nel libro di Hannah Arendt “La banalità del male”) che dopo aver passato il confine fra Italia ed Austria, grazie all’aiuto di alcuni suoi ex commilitoni, ricevette da un prete, perfettamente consapevole della sua identità, un passaporto con cui raggiunse Buenos Aires. Ad altri gerarchi nazisti giunti in Italia, come hanno provato diversi storici e giornalisti (fra cui la già menzionata Anna Arendt, Gitta Sereny, Uki Goni, Mark Aarons, John Loftus, Michael Phayer e Charles R. Allen Jr. solo per citarne alcuni), oltre a denaro e diversi aiuti materiali, venivano forniti “Carte di riconoscimento” (lasciapassare che consentirono loro di partire verso località del Medio Oriente, soprattutto Egitto e Siria) oppure altri documenti falsi (fra cui carte d’identità) che permettevano ai nazisti di ottenere lasciapassare e passaporti della Croce Rossa Internazionale.

Ma facciamo un passo indietro: Su cosa si fondano le (errate) convinzioni dell’articolista di Avvenire? Ecco la risposta:

“Esce in questi giorni Oltre la leggenda nera (Mursia, pagine 430, euro 22,00), a firma di Pier Luigi Guiducci”

Parafransando le parole utilizzate dal nostro FSMosconi nel suo ultimo articolo: “Pubblicità gratuita? Pubblicità gratuita.”

“docente di Storia della Chiesa presso il Centro diocesano di teologia per laici “Ecclesia Mater” della Lateranense, che lo presenterà venerdì alle 17.00 presso la Radio Vaticana (Sala Marconi). “

E già quanto ad imparzialità siam messi maluccio…

“Un lavoro decennale a rovistare negli archivi tedeschi, croati, italiani, argentini, statunitensi per confutare tesi rivelatesi preconcette o romanzate che non hanno retto alla verifica storica.”

Sono indeciso: Falsa dicotomia, argumentum ad hominem o fallacia dell’ignoranza invincibile? Un po’ tutte e tre direi.

“Guiducci qualche stereotipo lo aveva già demolito con una precedente ricerca, Il Terzo Reich contro Pio XII, e ora – come attesta il gesuita Peter Gumpel, relatore della causa di beatificazione di papa Pacelli nella prefazione – «è stato in grado di dimostrare che le tesi di vari autori esprimono in più casi, solo delle opinioni, delle supposizioni, delle convinzioni personali non confermate da documenti storici, non attente ai dati divulgati dopo l’apertura di diversi archivi statali».”

Ed eccolo qui l’intento auto-assolutorio di cui parlavo più sopra: chi se ne sbatte della realtà storica (anche quando è supportata da migliaia di fonti, tanto basta insinuare che chi sostiene il contrario non abbia fatto il suo lavoro, no?), l’importante è avere una pezzuola giustificativa con cui passare un colpo di spugna sul passato non proprio limpidissimo di personaggi che la Chiesa ha tutto l’interesse a riutilizzare a fini propagandistici.

“Per cui, conclude padre Gumpel, «sarebbe antistorico voler a tutti i costi presentare una Chiesa asservita ai criminali.”

Cosa che nessuno ha mai fatto. Semmai sono state sottolineate certe… chiamiamole “preferenze ideologiche” nell’assistenza di certi soggetti, và (come fece presente nel rapporto che porta il suo nome il funzionario dell’ambasciata USA Vincent La Porta che descrisse come la Chiesa privilegiasse gli aiuti e la concessione di documenti per l’espatrio a chi si professava cattolico e condivideva idee anti-comuniste).

“Ma sarebbe soprattutto ingiusto relegare nell’oblio quell’alto numero di volontari cattolici che seppero accogliere, sostenere e accompagnare gente crocifissa nel fisico e nell’animo».”

Tipo quelli della Die Stille Hilfe für Kriegsgefangene und Internierte (“assistenza silenziosa per prigionieri di guerra ed internati”, meglio conosciuta semplicemente come Stille Hilfe), associazione, dapprima clandestina e poi pubblicamente nota per i suoi legami con negazionisti della Shoah, fondata dalla fervente cattolica Principessa Helene Isabel Von Isenburg che favorirono la fuga, fra gli altri del già citato Eichmann, di Johann von Leers, Walter Rauff e il dottor Joseph Mengele? Così, giusto per citare i primi che mi vengono in mente.

Ma finita l’introduzione, passiamo all’intervista vera e propria.

L’operazione Odessa, dal nome della località in cui si tenne la riunione segreta per pianificare la fuga divenuta anche un best seller, lei la colloca a metà fra romanzo e storia. Che idea si è fatta?”

Prima domanda, prima figura di merda, senza nemmeno il bisogno di aspettare la risposta. ODESSA viene dall’acronimo in tedesco di  Organisation der Ehemaligen SSAngehörigen (cioè “organizzazione degli ex-membri delle SS”), il nome con cui comunemente si fa riferimento alla rete che permise la fuga dei criminali di guerra nazisti. L’organizzazione in sé non è mai esistita sotto quel nome ma è invece storicamente certo, come abbiamo potuto vedere, che esistesse un intreccio di connivenze atte allo stesso scopo. Quindi la domanda, oltre che riportare un’informazione sbagliata, è pure viziata da una fallacia di evidenza soppressa.

“«A partire dalla testimonianza dello stesso Priebke (fuggito in Argentina), Odessa fu un nome utilizzato per distogliere l’attenzione degli investigatori da altri fatti. Anche molti figli di alti gerarchi nazisti hanno confermato che gli spostamenti furono possibili grazie a conoscenze realizzatesi prima della guerra e negli anni del conflitto. È noto poi che la Germania, prima del 1939, aveva già sue comunità in America del Sud, investimenti, alleanze politiche.”

E qui una domanda sorge spontanea: Perché lo stragista delle Fosse Ardeatine Priebke è attendibile quando, intervistato da Guiducci, nega l’esistenza di ODESSA ed il coinvolgimento del Vaticano in essa, ma non lo é quando sostenne il contrario, intervistato per Repubblica da Emanuela Audisio nel 1994? Perché sono “attendibili” le ricerche di Guiducci, ma non la testimonianza del comandante del campo di Treblinka, Franz Strangl, quando disse a Gitta Sereny di essere stato aiutati dal Vescovo Alois Hudal (di cui avremo modo di parlare ancora più avanti)? Oppure le lettere di Horst Wagner alla sua amante, Gisela Heidenreich, in cui descriveva come, dopo essere fuggito da Norimberga, avesse ricevuto “l’amichevole aiuto” della Chiesa Cattolica che lo nascose in diversi monasteri ed edifici di proprietà di ordini religiosi finché, giunto a Roma, ricevette da Hudal un passaporto che utilizzò per imbarcarsi a Genova?

“I nazisti furono accolti perfino nelle fila dell’intelligence alleata in funzione anticomunista (su queste vicende i documenti sono desecretati)».”

In pratica l’argomentazione si appiattisce sul brocardo craxiano “tutti ladri, nessun ladro”.

Come si arrivò a ipotizzare il coinvolgimento della Santa Sede – da Pio XII fino al sostituto della segreteria di Stato Montini – nell’operazione?

«Alcuni autori sono partiti da un input ideologico, senza descrivere prima l’esatto percorso storico di ricerca. L’azione vaticana, con le sue diramazioni, mirata a non chiudere canali d’informazione e assistenza, è stata capziosamente letta come connivenza con ricercati. Un autore come Goñi non si è fatto problema a usare il termine “criminale” verso ecclesiastici fin dalle prime pagine del suo libro, però – in allegato – non ho trovato riprodotto alcun documento-chiave, si tace su elementi fondamentali di quel periodo, si dà spazio a digressioni inutili (le preferenze di Perón verso minorenni). Si è sostenuto che gli organismi assistenziali cattolici (collegati a Pio XII e a Montini) coprivano certe fughe.”

Notare l’uso combinato di argomento fantoccio ed evidenza soppressa: prima si insinua che le ricerche altrui siano “ideologicamente viziate”, senza dimostrare in cosa consista l’errore, poi si accusa il giornalista Uki Goni di non aver controllato ed allegato le fonti di quanto scrive. Affermazione falsa perché nei suoi scritti Goni fa numerosi riferimenti sia a documenti dei governi argentino, belga e britannico e del CIC (Counter Intelligence Corps) statunitense di cui faceva parte anche il già citato Vincent La Porta. Inoltre pretendere che Goni riproduca documenti della Città del Vaticano, unico paese fra quelli coinvolti nella vicenda a non aver desceretato alcun documento di quel periodo (e che, di conseguenza, nessuno ha potuto visionare), è semplicemente ridicolo.

In più, per quanto riguarda Montini, oltre a quanto scritto da Goni e da altri giornalisti e ricercatori, c’è la testimonianza dell’ex agente dell’OSS (Office of Strategic Servises, l’antenato della CIA) William Gowen, chiamato a testimoniare in processo davanti alla Corte Federale di San Fransisco contro l’Istituto per le Opere Religiose, l’Ordine Francescano, diverse banche svizzere ed i membri ancora in vita degli Ustasha croati per i furti di proprietà (soprattutto oro e altri beni di valore) a danno di ebrei, serbi, russi ed ucraini. Testimonianza sostenuta da tutta una serie di rapporti ottenuti attraverso altri processi intentati (e vinti) contro le agenzie di intelligence americani, oltre che dalls documentazione bancaria ottenuta dal noto “cacciatori di nazisti” Simon Wiesenthal. Tutte prove acquisite dalla Corte di San Francisco e mai smentite dagli avvocati della controparte, che si sono limitati a chiederne il divieto di pubblicazione.

“Ma non è stato scritto che i criminali avevano già una falsa identità». “

Falso anche questo: come è già stato detto è abbastanza logico che i nazisti in fuga non utilizzassero il loro vero nome, il punto è che non avevano documenti (oppure ne avevano alcuni talmente tarocchi che non sarebbero sfuggiti ad un controllo attento) per rendere credibile quelle false identità. Documenti che però una volta passati per Roma, guardacaso, si materializzavano magicamente nelle loro mani…

“La cosiddetta “via dei conventi”, quindi, fu un’opera umanitaria verso i profughi. Mentre i gerarchi avevano mezzi e canali per fare da soli.
«I conventi, o le parrocchie, gli istituti religiosi, aprirono le porte ai profughi. Mentre, attraverso la stampa del tempo che ricorda anche arresti di nazisti avvenuti ad esempio in Sud Tirolo, si è potuto costruire una mappa di rifugi di altro tipo usati da chi conservava disponibilità di risorse e connivenze. Seguendo poi i documenti d’identità conservati in più archivi non è stato difficile individuare i Comuni che rilasciarono documenti falsi».”

A parte il fatto che se si vuole falsificare un documento non c’è bisogno di farlo attraverso il canale attraverso cui vengono rilasciati i documenti ufficiali (e quindi nel ragionamento c’è un evidente errore di logica), qui si sta cercando apertamente di fare confusione, sostenendo che chi parla dell’esistenza delle “Ratlines” voglia dimostrare che l’assistenza ai profughi fu fatta solo per mascherare la complicità del Vaticano nella fuga dei gerarchi quando in realtà si è dimostrato esattamente l’inverso e cioè che in mezzo alla (più che legittima) assistenza ai profughi erano stati creati dei “canali privilegiati” per chi aveva un determinato background ideologico: in questo senso è illuminante il suddetto Rapporto di La Vista in cui oltre, alla descrizione del funzionamento di circa 22 di queste vie di fuga, sono indicati tutta una serie di nominativi, indirizzi e persino numeri telefonici di persone coinvolte, di cui almeno 26 fanno capo a religiosi (non solo semplici sacerdoti ma anche Vescovi e Monsignori).

È possibile che di quest’opera umanitaria abbia potuto beneficiare anche qualche criminale?

«I criminali nazisti arrivavano in Italia come figure anonime, con documenti falsi. Vestivano senza ricercatezza. Potevano pagare i più diversi interlocutori. Non avevano accanto commilitoni. Si presentavano, a volte con moglie e figli piccoli, come profughi, senza che questo chiami in causa la responsabilità di chi effettuava l’opera di assistenza. Si pensi che i nazisti che collaborarono con l’esercito Usa ebbero tutti documenti falsi rilasciati dagli stessi statunitensi. I riscontri sono stati effettuati proprio a Washington».

Evito di ripetere quanto già scritto in precedenza, mi limito a sottolineare che il discorso continua a girare sempre intorno allo stesso punto: “tutti ladri, nessun ladro”.

A Genova è finito nel mirino anche il cardinale Siri, per gli aiuti che avrebbe offerto a dirigenti in fuga del regime croato filo-nazista degli ustascia.
«L’attacco a Siri si è dimostrato privo di riscontri. Dai documenti ritrovati sono emerse perfino due lettere del sacerdote croato Karl Petranovic con lamentele verso Siri per il trattamento avuto a Genova. E non hanno trovato fondamento anche le polemiche su manovre oscure del prete croato don Draganovic. A dire il vero emergono per lui rapporti su tutt’altro versante, il generale Clark gli concedeva una jeep per visitare i campi, l’ambasciatore americano lo riceveva…».

Che le responsabilità del Cardinale Siri non siano ancora del tutto provate è vero ma che Don Draganovic non intrallazzasse per mettere in salvo gli Ustasha (compreso il loro leader, Ante Pavelic) è una bugia bella e buona: diversi rapporti del Dipartimento di Stato statunitense attestano come tra il personale dei corpi diplomatici presso la Santa Sede il transito di Pavelic e di centinaia di altri ex-militanti Ustasha attraverso l’Istituto croato di San Girolamo degli Illirici fosse un segreto di Pulcinella ma che nessuno potesse toccarli perché protetti dall’immunità diplomatica (ad esempio per spostarsi utilizzano auto recanti la targa CD, Corpo Diplomatico, fornite dal Vaticano).

E per quanto riguarda il vescovo austriaco Alois Hudal, tristemente noto per il suo appoggio al regime nazista?
«Anche su Hudal il quadro che emerge è diverso dagli stereotipi, sono stati ritrovati rapporti e lettere ove difende gli ebrei. Non era quindi antisemita. In altre contesta alle autorità del tempo le tristi condizioni di campi di internamento».

Sorprendente come queste “letterine” che ripuliscono il torbido passato di uomini di Chiesa saltino fuori sempre e solo nelle mani di ricercatori cattolici, nevvero?

Il giudizio migliore su Hudal credo lo diano queste parole:

“La guerra degli Alleati contro la Germania non fu una crociata, ma la rivalità tra gruppi economici per la cui vittoria avevano lottato. Il cosiddetto “business” ha usato parole d’ordine come democrazia, razza, libertà religiosa e Cristianità come un’esca per le masse. Tutto ciò è stata la ragione per cui mi sono sentito moralmente obbligato a dedicare dopo il 1945 la mia intera opera caritatevole principalmente agli ex nazisti e fascisti, in particolare ai cosiddetti “criminali di guerra” “.

Frasi che sembrano uscite da un sito terzaposizionista, vero? Indovinate chi le ha scritte: Lo stesso Vescovo Hudal nelle sue memorie, pubblicate postume, le stesse in cui candidamente ametteva di aver fornito aiuto ai gerarchi nazisti per espatriare.

Come ne esce la figura di Pio XII, quali nuovi elementi ha potuto reperire a chiarire il ruolo della Santa Sede in quegli anni bui?
«Pio XII affermò chiaramente che i criminali andavano processati. Con altrettanta chiarezza affermò che ogni persona accusata doveva affrontare regolari processi, che non si potevano accettare tutte quelle condanne a morte decise in modo sommario, sovente con motivazioni non legate al conflitto. Erano ugualmente condannate torture, atti di sadismo, violenze alle popolazioni civili, prigionie che non rispettavano gli accordi di Ginevra. Parallelamente si realizzò un’estesa opera di assistenza cattolica a internati (militari e civili), a famiglie da ricongiungere, malati gravi, infermi mentali, persone senza tutela giuridica, prive di denaro, vestiti, occhiali, supporti per la deambulazione, terapie… I vescovi intervennero per migliorare le condizioni di vita degli internati. Le popolazioni locali offrirono cibo attraverso i cappellani. Si cercarono soluzioni abitative per gli sfollati. La Chiesa fu l’unica a garantire una rete di sostegno a livello centrale e periferico. Ma la copertura dei criminali nazisti in fuga non c’entra». “

Che però ci fu eccome, magari non pensata e pianificata con largo anticipo ma ci fu. E con questa pesante eredità storica prima o poi il Vaticano dovrà farci i conti, nonostante sembri preferire continuare a nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, pur di salvaguardare il suo modo di interagire con il resto del mondo, così riassumibile:
“Governare senza essere governati, giudicare senza poter essere giudicati”.

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Si ringrazia per l’aiuto nella ricerca delle fonti: la nostra Pao

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Per segnalazioni/commenti/richieste/insulti: Compagno Zed

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