Siamo pronti a reinserire pedofili, assassini e stupratori?

  Tempo fa in un post qui su Pontilex, ancorché su un tema molto diverso, anticipai una riflessione che avevo in animo da tempo, salvo poi lasciarla appesa: è giunto il momento di riproporvela, tanto il tempo è quello che è e sicuramente non sarete a mare.

 In sostanza, come accennavo anche nel mio ultimo post, l’ordinamento italiano e la religione cattolica hanno un punto in comune: il reinserimento di chi commette errori. È vero, in Italia chi commette delitti, quindi chi sbaglia violando le regole che ci siamo dati, va in galera e viene sanzionato. Ma la sanzione è finalizzata al reinserimento, non alla vendetta.

 Orbene se un certo sentimento di vendetta è comprensibile ancorché non giustificabile in toto in chi ha perso un proprio caro, ragion per cui a decidere è un giudice terzo ed imparziale (cioè non deve avere nessun coinvolgimento personale nella causa proprio per evitare le vendette), ebbene la collettività (cioè tutti noi) come si comporta dinanzi al reinserimento di un condannato?

  Dinanzi ad alcuni casi, nevvero, c’è maggiore comprensione: dinanzi a chi, ad esempio, ha mostrato in ogni caso di aver intrapreso una strada legale e pacifica. Penso a Renato Curcio – che incontrai quando ero in pratica ragazzino – e che ha sempre mostrato forti perplessità circa la possibilità di uccidere o anche ad Adriano Sofri che, va detto, si è sempre addossato solo una corresponsabilità morale e mai concreta per l’omicidio Calabresi.

 Ma chiedo a me e a voi: qual è il diritto di reinserimento di chi commette materialmente e direttamente delitti gravi?

 Scattone e Ferraro, condannati in via definitiva per l’omicidio di Marta Russo, hanno diritto a proseguire la loro carriera accademica dopo aver scontato la loro pena? In caso di risposta negativa, cosa distingue questo atteggiamento dalla vendetta? Ed Annamaria Franzoni? Erika e Omar hanno diritto di vivere la loro vita trovandosi un lavoro? E il Capitano Schettino?

 Più in generale: siamo collettivamente pronti ad accettare che un pedofilo, uno stupratore, un serial killer o un assassino si reinseriscano dopo aver scontato adeguatamente la loro pena e dimostrato che intendano cambiare?

25 pensieri su “Siamo pronti a reinserire pedofili, assassini e stupratori?

  1. Caffe

    La risposta è no, caro Sandro, non collettivamente almeno: la risposta te la dai tu anche se involontariamente, nello stesso momento nel quale fai la domanda quando scrivi: “siamo collettivamente pronti ad accettare che un pedofilo, uno stupratore, un serial killer o un assassino si reinseriscano dopo aver scontato adeguatamente la loro pena e dimostrato che intendano cambiare?”: il modo interrogativo usato, già indica un tuo preciso dubbio su un principio posto alla base di tutto l’edificio della Giustizia, ma, proseguendo, stando a quella frase, sembra che tu stesso consideri ancora pedofilo stupratore ed assassino, colui che fu riconosciuto tale e condannato per quei reati scontandone la relativa pena; dico questo, perché è esattamente quello che hai scritto: a meno che tu non sia incorso in uno svarione grammaticale: quella frase significa che, come accennavo, non riconosci o hai dei seri dubbi su uno dei cardini sui quali poggia la nostra civiltà; cioè, la funzione rieducativa e riabilitativa che la pena, in un paese civile, dovrebbe avere. Insomma il marchio dell’infamia non si lava nemmeno con una lunga e dura detenzione: ma chi può dire di essere la stessa persona che era, poniamo, solo dieci anni fa anche senza essere passato per le patrie ed estere galere? Io, no di certo. Probabilmente il tuo è stato solo un lapsus e volevi esprimere ben altro; resta il fatto che i veri sentimenti verso Caino che tutti noi, chi più chi meno, pur sciacquandoci la bocca con la parola Stato di Diritto, proviamo, non sono certo commendevoli, anche se non toccano i toni belluini e ributtanti dei leghisti e dei fascisti a cui stanno cominciando a fare compagnia, quelli dell’allegra brigata dei seguaci di un noto comico genovese. Quando mi obiettano: “ma se fosse capitato a te o ad un tuo caro?”; io rispondo che ai principi, senza i quali, non ha senso che uno Stato che ne garantisca il rispetto esista, lo stesso Stato non deve rinunciare mai, ad ogni costo: il far west non è una risposta, altrimenti tanto vale armarsi di clava e tornare ad abitare nelle caverne; agli albori della civiltà, gli uomini si sono riuniti in comunità sempre più numerose, per gli evidenti vantaggi che questo comporta, ma stare insieme implica inevitabilmente, correre dei rischi che non si possono certo eliminare del tutto, tanto meno imprigionando o relegando ai margini della società i capri espiatori di turno; perché oltretutto, in un regime forcaiolo del genere, ci vanno di mezzo sempre e solo i più deboli; un tempo lo erano gli ebrei, adesso sono gli zingari e gli immigrati, o dico una cazzata? Se si deroga sui principi, allora niente ha più un senso, anarchia è la parola, e non la agito certo come uno spauracchio. Se le cose non vanno bene, bisogna intervenire per correggere e non radere al suolo tutto, per ricostruire chissà che cosa, su chissà quali altre fondamenta.

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    1. Sandro Autore articolo

      Cercherò di spiegarmi meglio, anche perché il tema è delicato. Non intendo mettere in dubbio la funzione rieducativa della pena, nel senso che anche l’autore dei più efferati delitti, una volta scontata la pena, ha il pieno diritto – oltre che il dovere – di reinserirsi e di non delinquere di nuovo. Ed è giusto che sia così: nel senso la vendetta personale non è per un posto civile e lungi da me promuoverla. Anzi.

      Il dubbio, semmai, riguarda alcuni casi particolarmente gravi e riguarda non il reinserimento in sé ma noi come collettività: siamo pronti ad accettare socialmente che i nostri figli si ritrovino Giovanni Scattone o Erika Di Nardo come insegnanti?

      In sintesi: il principio in sé è giusto, ma noi, socialmente, l’abbiamo assimilato in toto?

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      1. diego

        Più che altro: il principio in sé è giusto, ma è applicabile?

        Anche del principio dell’astinenza prima del matrimonio si potrebbe dire che “è giusto”, ma i fatti dimostrano che non è applicabile.

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  2. diego

    Penso che la questione sia posta in modo confuso.

    Innanzitutto non credo esista il diritto al reinserimento perchè lo stato non è tenuto a fornire all’ex-detenuto i mezzi per reinserirsi.
    Esiste il diritto di uguaglianza di fronte alla legge (quindi il girare liberamente, il non venir aggrediti etc. etc.) ma non certo il diritto di venire assunti (a meno dei casi di legge) o altre possibilità non sancite per legge.
    (Certo niente vieta che un ex-detenuto cerchi lavoro, ma a meno dei casi di legge di cui sopra non esiste l’obbligo di assumerlo).

    In secondo luogo non esiste certamente il diritto “di essere accettati” poichè lo stato non è tenuto a far sì che una persona (incensurata o meno) venga accettata da una collettività (dove “accettazione” ed “inclusione” non sono sinonimi, ovvio).

    Per concludere, nulla di fondamentale differenzia questo atteggiamento dalla vendetta.
    Ma la vendetta non è sempre e comunque deprecabile.

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    1. Caffe

      Diego, qui l’unica confusione, è quella che regna nella tua inutilmente grande capoccia: ma ti rileggi quello che scrivi? A parte la pochezza umana che sprizzi da ogni poro, nemmeno se le puntelli con le travi di cemento, le tue argomentazioni stanno in piedi. E’ proprio alle persone in difficoltà, a quelle che non ce la fanno, a quelle che sono costrette a vivere ai margini della società ed agire ai margini della legge spesso proprio e solo per sopravvivere, che uno Stato degno di questo nome, deve tendere una mano e non solo per i già ottimi motivi umanitari, ma anche perché gli e ci conviene: Che senso ha, per i reati comuni più diffusi, nei quali incorrono milioni di persone, sbattere in galera quelle che occasionalmente, vengono colte sul fatto? Solo a spedire queste persone nelle università del crimine che sono diventate le nostre carceri, a fare un corso accelerato, per ritrovarcele poi in strada, più incattivite e smaliziate di prima, costrette a commettere crimini sempre più gravi, semplicemente perché non hanno più scelta, avendo impresso ormai nelle carni, quel marchio d’infamia che le persone come te, attribuiscono a chi può aver sbagliato, ma “è impossibile che si redima e quindi si fottano pure”. Io sono cresciuto in un quartiere “difficile”, figlio di gente povera ma, per fortuna, solo economicamente: forse mancavano nel mio tugurio, acqua corrente e riscaldamento, ma umanità ed educazione, quelle, non mi sono mai mancate; purtroppo non era così per tutti e per molti cresciuti con me, in quelle condizioni, era facile, quasi obbligatorio, intraprendere prima o poi, una “carriera criminale”: qualcuno dei miei compagni di giochi di allora, attualmente, passa di carcere in carcere, qualcun’altro è morto durante una rapina o rinvenuto stecchito, con una siringa conficcata nel braccio, in un lurido parco della sterminata periferia romana. Io ce l’ho fatta ad uscire indenne da quella merda, grazie ai miei, alla tanto bistrattata scuola pubblica e se permetti, anche al sottoscritto; alla fine ho raggiunto con il mio impegno, un soddisfacente livello di sicurezza e disponibilità economica, ma non dimentico da dove vengo e dei dannati che ancora vivono in certe condizioni, quindi, visto che ci siamo, dichiaro quanto segue: mi sono rotto le balle dei benpensanti alla Diego, che non sanno quello che dicono, però lo dicono forte e chiaro: ma che ne sai tu, Diego, di quelli costretti a vivere in una società che, se sei nato dalla parte sbagliata della barricata, ti discrimina e ti condanna al primo sbaglio, senza prendersi la briga di aiutarti a non commettere il secondo? Come tutte le persone con un minimo di buon senso, io penso che le risorse destinate ad aiutare chi non ce la fa, siano risorse ben spese che, alla lunga, porterebbero benefici consistenti in termini di pace sociale e sicurezza; il resto non è altro che rancore e livore coltivati nell’animo da gente piccola piccola, che, oltre che meschina, è pure miope come una talpa.

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      1. diego

        Purtroppo la mente confusa è quella di colui che non è in grado di distinguere il fattuale dal desiderata.

        E i tuoi, purtroppo, sono solo dei desiderata.
        Nobili quanto vuoi (anzi: nobili quanto hai bisogno che siano), ma pur sempre desiderata.

        PS: Nel precedente post non ho riportato argomentazioni ma solo riferito fatti.
        PPS: le qualità umane dell’argomentatore non si riflettono sulla qualità dell’argomento.

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        1. Caffe

          Hai riferito “solo” dei fatti? Cioè del tipo: “non esiste certamente il diritto “di essere accettati” poichè lo stato non è tenuto a far sì che una persona (incensurata o meno) venga accettata da una collettività ” (parole tue e sorvolo sugli altri strafalcioni che sei stato capace di scrivere); questa tua frase non mi sembra che riferisca un fatto, ma tenta di argomentare una tua precisa opinione, se posso dirlo, pure abbastanza ributtante; sia l’opinione che il tentativo di argomentarla. E accipicchia, dico io, se le qualità umane di chi scrive, qualunque cosa scriva, escono fuori da ogni rigo che costui verga, se si sa leggere e credimi, Diego, le tue “qualità” umane, quelle che emergono dalle poche righe squinternate che hai scritto, quelle, non te le invidio proprio.

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          1. diego

            Se per “diritto” intendiamo “possibilità garantita dalla forza economica e militare dello stato” allora è un fatto che “non esiste un diritto ad essere accettato”.

            Se invece per “diritto” intendi qualcosa che NON viene garantito dalla forza economica e militare dello stato, allora non è un fatto che “non esiste un diritto ad essere accettato”.

            Ma, in quest’ultimo caso, è certamente un fatto che ciò che tu intendi con “diritto” è in realtà un desiderata.

            c.v.d.

            PS: repetita iuvant, le qualità umane dell’argomentatore non si riflettono sulla qualità dell’argomento.

  3. Compagno Z

    Credo non sia possibile dare una risposta univoca a questa domanda, per il semplice fatto che ci sono troppe variabili da considerare: quale tipo di delitto e’ stato compiuto, quanto clamore e’ stato montato intorno al caso, come hanno reagito i parenti della vittima, come e’ stata riportata la loro reazione e ai media e come a sua volta ha reagito l’opinione pubblica…
    L’elenco potrebbe virtualmente continuare all’infinito. Al momento non possiamo fare altro che constatare che in tutti questi secoli di evoluzione giuridica e sociale, abbiamo tralasciato proprio questo aspetto del problema ovvero del ritorno in societa’ dell’ex detenuto e del suo impatto sul resto della collettivita’.
    Di sicuro, a mio modesto parere, non aiuta certo a risolvere la questione l’attitudine alla spettacolarizzazione dei delitti da parte dei cronisti di nera italiani…

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    1. Sandro Autore articolo

      Concordo soprattutto sull’ultimo aspetto, ed è il motivo per il quale si parla di diritto all’oblio che, non bastasse, porta con sé ulteriori mille aspetti.

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      1. Compagno Z

        La questione dal c.d. “diritto all’oblio” sinceramente mi lascia un po’ perplesso: a prescindere dal fatto che non esiste nel nostro ordinamento (e la vedo grigia a riconoscerlo anche come un corollario o un’estensione del diritto alla privacy), siamo sicuri che non rischi di diventare, sul piano etico, una facile scappatoia per chi voglia rifarsi una “verginita’ sociale” senza essersi davvero pentito (magari senza nemmeno essere stato condannato) piuttosto che uno strumento con cui reinserire piu’ facilmente l’ex detenuto riabilitato?

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        1. Sandro Autore articolo

          Il diritto all’oblio difatti nasce per creazione giurisprudenziale e ancora non ha contorni definiti in toto, in questi mesi sta ricevendo da più parti stimolo notevoli (vedi sentenza Google).

          Tu segnali di sicuro un aspetto corretto, una devianza rispetto alla fisiologia: sbagli, paghi, ti rendi conto dell’errore, studi/impari un mestiere e ti reinserisci

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  4. diego

    La pena per chi sbaglia andrebbe superata, bisogna fare in modo che chi commette crimini non possa più farlo, per questo ci vuole durante il periodo di carcerazione percorsi adeguati educativi o terapeutici per fare in modo che il crimine non venga più fatto.

    Rispondi
    1. diego

      L’assunto implicito da cui parti è che la riabilitazione sia sempre e comunque possibile.
      Ma io dubiterei di questo assunto.

      Nel caso non fosse possibile(1) rieducare un criminale, che si fa?
      Sto pensando ai casi in cui il comportamento criminoso è il prodotto di una mente “socialmente pericolosa”(2) la cui pericolosità non possa essere modificata.

      (1) intendo proprio “fisicamente possibile”, “non impossibile per mancanza di risorse”
      (2) espressione volutamente lasciata senza definizione, ma possiamo pensare alla sociopatia come esempio.

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          1. Caffe

            “Ora attendiamo che si scatenino i mastini del buonismo.”; bel’ ossimoro, accostare i termini “mastino” e “buonismo”, cioè una razza canina considerata, a torto, solo feroce ed ottusa, con la definizione di persona sempre pronta ad accettare compromessi e brutture assortite, in nome di presunti buoni sentimenti: due insulti nella stessa frase che la dicono lunga sullo spessore civile di chi li ha formulati.
            Intanto equivochi sul’ atteggiamento di chi tu definisci “buonista”, presumendo che costoro si schierino a difendere Caino solo perché pensano, così facendo, di esibire un lato perbenista fine a se stesso ed incurante dei diritti delle vittime di reati, anche odiosi. Non è così, esistono cose che si chiamano principi e altre che si chiamano conoscenza dei fatti e tu non possiedi ne i primi, ne, tanto meno, le seconde: per i primi, Diego, non posso farci nulla, ma per i secondi, al’ uopo, gioverà citarti l’incipit di un documento non redatto di certo da qualche assatanato radicale, ma da un’autorevole Università britannica:
            http://www.comune.fi.it/materiali/garante_detenuti/…/statistiche_europa.pdf
            “Le carceri italiane sono le più sovraffollate d’Europa, record anche per i detenuti in attesa di giudizio
            Nelle carceri italiane in 100 posti‐branda sono ammassate 152 persone, soltanto in Bulgaria il tasso di affollamento delle carceri è maggiore (155), mentre la media europea è 107 detenuti ogni 100 posti.
            Un recente studio realizzato dell’International Centre for Prison Studies, King’s College, University of London, dal quale abbiamo tratto le statistiche allegate, aiuta a comprendere meglio le ragioni del sovraffollamento degli Istituti di pena nel nostro Paese.
            L’Italia detiene in “record” delle custodie cautelari
            Al 30 giugno 2010 il 42,5% dei detenuti era in attesa di giudizio e la metà di loro è destinato ad essere assolto: circa 15.000 persone, che scontano da innocenti mesi e a volte anni di “pena anticipata” e contribuiscono a rendere gremite le celle. La media europea dei detenuti in carcerazione preventiva è del 24%, ma scende rispettivamente al 15,2% e al 14,9 in Germania e in Inghilterra. In Polonia, addirittura il 90% dei detenuti ha una sentenza definitiva.
            Questa cosa, concludo io, dovrebbe essere considerata scandalosa per chiunque tenga a definirsi persona civile: con un sistema giudiziario come il nostro, che si attira addosso quasi quotidianamente la condanna (e le multe) della Comunità Internazionale ed Europea, noi dovremmo rinunciare a denunciare questo stato di cose? Buonista a chi ? Ma fammi il piacere!

  5. Caffe

    Diego, ma che stai a dì? Mi sembri Grillo in uno dei suoi spettacoli o comizi che poi sono la stessa cosa; solo che lui lo fa apposta, a far ridere la gente: per curiosità, hai studiato al CEPU o sei autodidatta? Nel primo caso, fatti rimborsare, nel secondo, ricomincia tutto daccapo: tanto per cominciare, (ma non preoccuparti, rilassati, che sarò breve), tralasciando il piccolo dettaglio che io non riesco proprio a capire cosa cavolo dici, tu hai costruito la tua incomprensibile replica sul termine “diritto” dando ad intendere l’abbia tirato in ballo io, in qualche momento di questa surreale discussione; solo che io non ho usato mai questo termine, nemmeno di striscio, nei miei interventi su questo specifico post e questo dimostra che tu non leggi nemmeno quello che scrive il tuo interlocutore, come ai tori, a te basta sventolarti un drappo rosso davanti al muso e tu parti in quarta, farfugliando concetti incomprensibili o comprensibili a te solo, rimediando così, solo solenni figure di palta. E poi scusa, ma devo chiedertelo: c.v.d. ovvero, come volevasi dimostrare, (il tuo stile è da sms, te ne sei accorto?) e cosa avresti dimostrato, di grazia? E ancora: PS, ovvero post scriptum: se fossi in te, prima di aggiungere grappoli di post scriptum, penserei a rendere più comprensibile almeno lo scriptum. Dulcis in fundo: quel “repetita iuvant”: anche qui, dammi retta, lascia stare il latinorum che già con l’italiano, hai dei problemi seri e poi, quel termine, usato da te, in questo contesto, è il tipico esempio di comicità involontaria, perché quello che ripete le cose come un pappagallo, senza nemmeno capire cosa sta dicendo, sei tu, ed il ripetere ossessivamente la stessa cantilena, in tutti i casi, non ha mai aiutato nessuno.

    Rispondi
      1. Caffe

        Tutto qui, Diego? Non mi dici nemmeno: “cosa volevasi dimostrare”? Dall’ sms passi direttamente al telegramma; avrai pensato: più corto il testo, meno rischio di incorrere in svarioni lessicali o grammaticali; ma, nonostante il tuo accorgimento, riesci lo stesso a commettere un errore in una riga sola: un po’ di impegno metticelo, per sputtanarmi e che diamine! Quel piccolo errore, così evidente, significa solo una cosa: non si tratta necessariamente di ignoranza da parte tua: uno o più refusi e lievi errori ortografici, sono quasi inevitabili, se si scrive un lungo testo, ma è del tutto inaccettabile, se si verificano in una sola, misera riga; questo fatto, cioè, il non rileggere accuratamente quel che si scrive, prima di renderlo di pubblico dominio, denota scarso rispetto per gli interlocutori ma soprattutto, per se stessi: la forma è anche sostanza, trascurare la forma con la quale si propone se stessi, dice molte cose su chi siamo veramente, molto oltre il senso letterale delle parole usate: si chiama leggere tra le righe ed in te, a parte le astrusità che scrivi, leggo solo sciatteria e superficialità. Cresci un po’, poi ne riparliamo.

        Rispondi
  6. Faggot

    Per definizione il pedofilo è un soggetto che prova attrazione sessuale e/o affettiva nei confronti dei minori prepuberi. Qui non è contemplato neppure il crimine, cosa ci sarebbe da reinserire?

    Rispondi
    1. diego

      Poiché la questione tratta di ex detenuti è quantomeno ipotizzabile che in questo contesto il termine “pedofilo” si riferisca ad un reo di abusi sessuali su minori.

      Rispondi
  7. diego

    “siamo collettivamente pronti ad accettare che un pedofilo, uno stupratore, un serial killer o un assassino si reinseriscano dopo aver scontato adeguatamente la loro pena e dimostrato che intendano cambiare?”

    E’ esattamente lo stesso che chiedersi: “Siamo pronti ad accettare che un maestro d’asilo pedofilo(1) torni a fare il maestro d’asilo?”.

    La risposta dipende dalla validità percepita della dimostrazione dell’avvenuto cambiamento.
    Se la validità percepita di tale dimostrazione è debole la risposta (ad entrambe le domande) è ovviamente no.

    Tutto, in sostanza, si riduce alla fiducia che si ha nella correttezza del comportamento futuro dell’ex detenuto.

    (1) reo confesso di abusi sessuali su minori, condannato in via definitiva (che sia mai a qualcuno non sia chiaro cosa si intende).

    Rispondi

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