I giornali esteri sono sempre stati attenti al fenomeno della criminalità in Italia e sulle implicazioni sulla politica e gli affari.
In passato il Washington Post aveva messo in luce gli interessi della mafia siciliana sul business delle energie rinnovabili mentre dall’Inghilterra avevano visto l’elezione di Rosario Crocetta a governatore della Regione Sicilia come la risposta del miglior Sud alla cosche di Cosa Nostra. L’agenzia Reuters aveva realizzato un’inchiesta sugli interessi della ‘ndrangheta sulla cocaina e sul calcio mentre, sempre a proposito della criminalità calabrese, il britannico Telegraph giustificava l’euroscetticismo oltremanica proprio a causa delle “‘ndrine” calabresi. L’Independent , l’Economist ed il New York Times invece si erano soffermati ad analizzare gli interessi della criminalità nel business degli appalti pubblici.
Più recentemente Tom Kington con un articolo sul Guardian si concentra su quello che è il latitante numero uno in Italia: Matteo Messina Denaro. Un mafioso atipico con centinaia di pagine facebook in suo onore che ne esaltano il coraggio. In una di queste pagine si può leggere: «Cosa Nostra agisce per i poveri e gli oppressi cercando, a suo modo, di riparare ai torti».
Un mafioso atipico secondo Kington che crede di operare nel giusto e vede sé stesso come un filosofo, un eroe popolare ed un seduttore.
Un latitante ben diverso da altri ex latitanti famosi come Bernardo Provenzano o Totò Riina secondo Teresa Principato, il magistrato che da anni lo insegue: «Matteo Messina Denaro è particolare perché rappresenta sia la vecchia che la nuova mafia. Come i vecchi mafiosi vede la mafia come uno Stato superiore, che coinvolge pochi eletti che sono degni di onore. Confida solo in coloro che sono vicini a lui. Ma è anche moderno, non è Bernardo Provenzano. Messina Denaro non vive in campagna mangiando cicoria. Il suo è uno stile di vita dorato. Lui è avido, spietato, imprenditore impegnato in qualsiasi attività commerciale che possa portare profitti».
Dalla Gran Bretagna l’attenzione sulla mafia italiana passa in Germania che si era accorta della presenza della criminalità italiana dai tempi della strage di Duisburg del 2007 in cui vennero uccise sei persone legate alla ‘ndrina calabrese Pelle-Vottari di San Luca. Le cosche calabresi e siciliane sono da tempo presenti in Germania e Jörg Diehl sullo Spiegel dedica un articolo a come Cosa Nostra si sia infiltrata con le sua attività imprenditoriali. Secondo uno studio della Landeskriminalamt (la direzione investigativa federale contro la criminalità) nelle regioni del Reno e della Ruhr opererebbero diverse società di costruzioni fittizie che hanno il solo scopo di riciclare denaro proveniente da attività illecite: a gestire tali società sarebbero uomini del Sud Italia con legami con Cosa Nostra.
La domanda che si pone Diehl è semplice: una parte dell’economia tedesca è nella morsa della mafia? Secondo un’inchiesta dell’emittente pubblica Westdeutscher Rundfunk e di Spiegel ci sono forti connessioni tra il settore delle costruzioni e la criminalità organizzata italiana: una valutazione – sottolinea Diehl – condivisa dalle autorità investigative in molti Stati tedeschi. Le cifre sarebbero notevoli: secondo le stime degli investigatori lo Stato perderebbe circa un miliardo e mezzo di euro per mancate tasse e circa due miliardi di contributi previdenziali non pagati.
Secondo una relazione della Landeskriminalamt (Lka) di Düsseldorf le conseguenze per l’economia locale sono disastrose e le attività della mafia sono la causa del declino di un settore importante in Germania come quello delle costruzioni. Imprenditori onesti non possono competere a lungo termine con i prezzi delle aziende che utilizzano manodopera illegale e sebbene il problema sia noto da molto tempo non c’è ancora un sistema efficace per controllarlo.
Per gli inquirenti della Polizia giudiziaria federale (Bka) i clan hanno guadagnato circa 123 milioni di euro negli ultimi 10 anni e di questi solo otto sarebbero stati confiscati: un’impotenza che spiega il perché i criminali italiani stiano così bene in Germania. Secondo la Bka in Germania vivrebbero circa 460 affiliati alla mafia la maggior parte dei quali tra gli Stati di Baden -Württemberg, Nord Reno-Westfalia, Baviera e Assia.
«Per la mafia , la Germania è allo stesso tempo un luogo di riposo e di attività», dice il presidente della Bka per il Baden -Württemberg di Stoccarda, Dieter Schneider. «Rimane un luogo dove nascondersi dalle autorità, ma anche un luogo in cui vengono pianificati e commessi i reati. L’obiettivo dei criminali italiani, però , è di passare il più possibile inosservati», aggiunge Schneider secondo cui la strage di Duisburg del 2007 dovrebbe essere considerato solo «un incidente sul lavoro» mentre l’obiettivo principale dei clan è di entrare nell’economia legale e nelle alte sfere della società.
Non solo mafia in Germania ma anche camorra che opera nel commercio degli articoli contraffatti e la ‘ndrangheta che invece preferisce il mercato della droga.
Proprio sul ruolo della ‘ndrangheta si concentra un articolo dell’Economist. La criminalità calabrese dai modesti inizi ha ormai assunto un piano di “leadership” con un fatturato solo nel 2013 di circa 50 miliardi di euro. Ma la domanda che si pone l’Economist è molto interessante: chi controlla la ‘ndrangheta? Secondo il pubblico ministero Giuseppe Lombardo non esisterebbe un leader supremo ma il comando apparterrebbe ad un “livello invisibile” da individuare nella classe media. Nelle intercettazioni un sindacalista successivamente condannato, Sebastiano Altomonte, spiegava alla moglie che la ‘ndrangheta era divisa tra un piano visibile ed uno invisibile. Queste dichiarazioni hanno aperto un nuovo scenario e l’esistenza di un livello nascosto sarebbe sconosciuto anche ad alcuni appartenenti alla stessa organizzazione criminale. Insomma sarebbe una ‘ndrangheta che cambia faccia e che si ristruttura: una trasformazione di cui sarebbero consapevoli gli stessi capi storici. Come rivela il Corriere della Sera queste le parole intercettate di Pantaleone Mancuso, boss della cosca Mancuso di Limbadi (VV): «La ‘ndrangheta non esiste più!…. Una volta, a Limbadi, Nicotera, Rosarno c’era la ‘ndrangheta!. Adesso la ‘ndrangheta fa parte della Massoneria, diciamo è sotto la massoneria. Ha però le stesse regole!… La ‘ndrangheta non c’è più è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta!…». Parola di boss.
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Quel piano invisibile della ‘ndrangheta altro non è che il piano istituzionale (politica, polizia, magistratura) che gli permette d’esistere. Non può esistere una “criminalità organizzata” senza una parte dello stato che invece dei combatterla, appunto gli permette di essere organizzata.
politica, polizia, magistratura: anche ma non solo. Non dimenticherei una parte del mondo imprenditoriale connivente e non vittima della criminalità e soprattutto quella zona grigia della società (in)civile. Insomma non escluderei nessuna parte della società.
Ho detto “politica, polizia, magistratura” perché fanno parte dello Stato: a mia tesi è che senza una parte dello stato connivente non può resistere un “antistato”.
Le Brigate Rosse fallirono e furono smantellate perché (grazie al cielo, dico io), non ebbero mai un consistente seguito popolare: le varie mafie, fin dall’inizio della storia di Italia, intesa come Nazione unitaria, invece, costituirono al Sud, una specie di welfare, per una popolazione ignorata e bistrattata da uno Stato centrale ottuso e prepotente, per questo ha goduto e gode del favore di larghi strati di quelle popolazioni: le connivenze, le infiltrazioni nella politica e nell’economia delle mafie è storia successiva. Questo è un’altro dei peccati originali che si trascina dietro il nostro Paese e che abbiamo pure esportato, con successo, in altri Paesi, sempre per lo stesso motivo: basta pensare a come venivano trattati gli immigrati italiani, fino a pochi decenni fa, nei civilissimi USA; no, non faccio della demagogia spicciola: io penso che, anche in paesi come l’Argentina, Brasile e Australia, sono emigrati milioni di nostri connazionali, eppure non mi risulta che la mala pianta mafiosa (quella italiana), abbia attecchito e messo radici solide in quei paesi, come mai?
Non vi sarà la mala italiana, ma ce n’è comunque uno autoctona. Quello della mafia non era “una specie di welfare” ma banale atteggiamento di clan dove chi è dentro la cerchia beneficia del favori e del benessere che il clan è in grado di dare ai suoi appartenenti, però a discapito degli altri (perché a malavita è sempre parassitaria e mai produttiva).
Remo, ti ho dato in qualche maniera, l’impressione di essere connivente o ben disposto verso il fenomeno mafioso? Io lo ribadisco: la mafia ha origini antiche ed nata e si è potuta radicare ed infine prosperare, solo per la miopia e la prepotenza del nascente Stato Italiano; in parole più semplici: giustizia sociale, che per il sud, è solo stata sempre una bella intenzione, mai messa in pratica, di qui l’appeal dei mafiosi, da quelle parti; io ho origini meridionali, fidati che è così; il resto sono pippe mentali delle centomila commissioni antimafia che ci siamo inventati: questa è la storia, ti piaccia o meno.
L’argomento è interessante, tuttora la storiografia tende a slegare il fenomeno mafioso dall’immigrazione tout court che diventerebbe quindi uno fra vari fattori; la causa principale della nascita delle mafie sarebbe invece un rapido trapasso ad un economia moderna di mercato senza che lo stato riesca a tutelare efficacemente i suoi cittadini.
Ad esempio negli anni ’20 e ’30 la mafia era abbondantemente presente in Argentina, ma a causa di situazoni economiche sfavorevoli non riuscì ad attecchire nel lungo periodo, al contrario invece che a NY.
Comunque, ad essere precisi in Australia ancora adesso la ‘ndrangheta è ben presente.
Le cose si fanno molto intricate, quando si parla di mafia, Paolo, io non ho capito il passaggio: “situazioni economiche sfavorevoli” del tuo commento: sfavorevoli a cosa? Negative per tutti in assoluto o solo per gli interessi mafiosi? Per esempio, le mafie, negli USA ebbero un prodigioso sviluppo, proprio negli anni della Grande depressione, complici quegli idioti puritani che ad un certo punto, visto che le cose andavano così bene, si inventarono il “proibizionismo”, in un Paese abituato a bere come una spugna; Al Capone tanto per citarne uno, iniziò la sua “carriera” come contrabbandiere di Whiskey. Quindi, sono molteplici i fattori che contribuiscono a rendere la mafia così invadente e potente, ma il principale sta nell’inettitudine di chi dovrebbe combatterla, a tutti i livelli; di strumenti legislativi adatti a tagliar l’erba sotto i piedi ai mafiosi se ne possono concepire molti, ma bisognerebbe avere il coraggio di vararli, oltre che la volontà politica, che, a parole, non manca a nessuno. Per tornare al tuo intervento: è vero che le ‘ndrine calabresi, insieme ai malavitosi locali, controllano molti affari illeciti e criminosi in Australia, ma la loro rilevanza, in un paese governato decentemente è piuttosto marginale, specialmente se raffrontiamo la situazione australiana con la nostra o a quella degli USA.
“sfavorevoli a cosa? Negative per tutti in assoluto o solo per gli interessi mafiosi?”
Ovviamente la seconda.