Buono-scuola per gli istituti privati? Buono solo per i Paesi anglosassoni.

Le sovvenzioni alla scuola privata sono sempre state al centro del dibattito politico e recentemente un referendum consultivo nel comune di Bologna ha bocciato il finanziamento pubblico agli asili privati: nel mezzo di queste polemiche i parlamentari del Pdl Maurizio Lupi, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Maurizio Sacconi propongono una moratoria sui temi etici «con particolare riferimento ai principi della tradizione, dalla vita alla famiglia naturale, alla libertà educativa». Nel mondo accademico invece ci si continua ad interrogare sulla bontà dei sussidi statali alle scuole private che sono erogati sotto forma di finanziamenti diretti o contributi alle famiglie denominati “buoni-scuola”.
Sul sito di informazione lavoce.info Giuseppe Bertola – professore di economia politica presso la facoltà di Scienze Politiche dell’università di Torino ed esperto scientifico ed accademico con Fmi, Commissione Europea, Banca d’Italia, analizza – rifacendosi ai risultati di uno studio basato sull’indagine Pisa – il sistema dei buoni scuola giungendo ad una conclusione: i buoni-scuola permettono a studenti bravi ma poveri di frequentare gli istituti migliori solo nei Paesi anglosassoni ma non dove – come in Italia – l’educazione statale è migliore di quella privata. Il test Pisa (acronimo di “Programme for International Student Assessment”) è un’indagine internazionale condotta dall’Ocse per valutare il livello di istruzione degli adolescenti nei principali Paesi industrializzati.
A prescindere da quelli che sono gli orientamenti ideologici, i buoni-scuola, in linea di massima, possono essere considerati una «soluzione non controversa e di buon senso per un classico problema economico». Per Giuseppe Bertola infatti la capacità individuale dell’allievo è complementare alle risorse che mette a disposizione la scuola pubblica per fornire educazione: per questo motivo «gli individui con maggior talento sono disposti a pagare per una educazione migliore rispetto a quella del sistema scolastico pubblico» che invece offre una formazione tarata sullo studente medio. In questo modo «le scuole con finanziamento pubblico lasciano spazio a costose scuole private che, proprio perché sono frequentate da studenti migliori e dispongono di maggiori e migliori risorse per la didattica, offrono un’educazione migliore». Essendo istituti dalla retta elevata escluderebbero automaticamente quegli studenti meritevoli ma dalle risorse economiche limitate e perciò i buoni-scuola potrebbero «migliorare l’uguaglianza delle opportunità e allo stesso tempo rafforzare la produttività delle risorse destinate dalla società all’educazione». Questa situazione è confermate principalmente nei sistemi scolastici degli Stati Uniti, del Regno Unito e di altri Paesi anglosassoni in cui le scuole private attirano principalmente studenti più ricchi e con maggior talento.

Tuttavia Giuseppe Bertola mette in luce che altre spiegazioni sono ammissibili: «gli studenti che si iscrivono alle scuole private potrebbero avere meno talento di quelli che frequentano le più esigenti scuole statali e i loro risultati scolastici possono essere particolarmente scarsi quando le scuole private non sono più costose delle scuole pubbliche, ma usano la loro autonomia per adeguarsi a chi ha difficoltà di apprendimento».
Bertola ha condotto, assieme a Daniele Checchi, uno studio sui test Pisa del 2009 arrivando alla conclusione che non in tutti i Paesi le scuole private sono capaci di offrire migliori risultati.

La figura 1 mostra come nei Paesi anglosassoni (Usa, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda) in cui le rette pagate dai genitori nelle scuole private sono di gran lunga superiori alle tasse pagate nelle scuole pubbliche, la performance degli studenti privati è migliore. In altri Paesi (Italia e Norvegia soprattutto) dove gli scarti sono minimi la performance degli studenti privati è decisamente inferiore rispetto a quelli della scuola pubblica.

Ovviamente sono rilevanti le differenze in base allo specifico Paese ed istituto ed i risultati dei test Pisa permettono di stabilire «se la scuola è specializzata nell’educazione di individui con grandi capacità oppure se è specializzata nel rafforzare i risultati scolastici di studenti deboli». Dall’analisi di tali dati Bertola arriva alla conclusione che «la scuola gestita da privati non è necessariamente scelta da studenti che, sulla base del livello culturale delle loro famiglie e dei risultati nei test, appaiono maggiormente capaci di rispondere a un contesto di apprendimento esigente».
Dipendentemente dal sistema scolastico del singolo Paese, l’istruzione può essere orientata verso gli studenti con alte o basse capacità «lasciando così nicchie di mercato diverse alle scuole private». Per questo motivo – sostiene Bertola – la situazione attuale «indica che gli elettori e i politici non dovrebbero dare per scontato che “le scuole private sono migliori”». Ovviamente sono migliori per gli studenti che le frequentano: infatti sono migliori nei Paesi anglosassoni perché offrono quell’istruzione più esigente che le scuole pubbliche non riescono ad offrire. Ma – dal punto di vista dello studente e della sua famiglia – sono “migliori” gli istituti privati di Paesi come Italia e Norvegia per chi è «alla ricerca di un insegnamento “di riparazione” perché la scuola pubblica è esigente».
Perciò i buoni-scuola hanno motivo di esistere solo in quei contesti dove lo Stato riesce a fornire un’educazione di base e «le scuole private possono occupare la nicchia di mercato dell’alta qualità». Al contrario è sconsigliabile adottare questo sistema di sussidi laddove «le scuole statali di alta qualità attraggono il segmento più brillante degli studenti»: i buoni-scuola andrebbero solo a vantaggio di quegli studenti «che non sono abbastanza ricchi o stupidi da acquistare una educazione “di riparazione” non sussidiata». Ovviamente senza nessun vantaggio per la collettività.
Bisogna sottolineare che – nonostante esponenti del mondo cattolico e del centrodestra richiamino la necessità della “libertà educativa” – l’Italia è ai primi posti come possibilità di scelta tra scuola pubblica e privata. Non meravigliano neanche le conclusioni di Giuseppe Bertola secondo cui molti studenti privati potrebbero essere alla ricerca di un insegnamento di “riparazione”: anche secondo il Miur e la Banca d’Italia le scuole paritarie sono composte principalmente da studenti bocciati e dai redditi alti. Per quanto riguarda il livello delle scuole italiane, la Fondazione Agnelli è arrivata alla conclusione che quelle private sono nettamente inferiori rispetto a quelle pubbliche.
I deficit della scuola privata italiana sono tanti: secondo Istat nel 2008 i dipendenti irregolari (ossia con contratti in nero) nel settore istruzione erano 17.200 mentre nel 2009 si è passati a 19.000 (+10,5 per cento in un solo anno): ovviamente questo dato riguarda solo le scuole private, visto che quelle pubbliche non possono avvalersi di insegnanti “irregolari”.
Inoltre una ricerca del Miur ha rilevato come gli istituti privati italiani abbiano meno dotazioni tecnologiche rispetto alle scuole pubbliche: perciò è difficile che possano offrire un’istruzione “di qualità” come invece accade nei Paesi anglosassoni.
Per quanto riguarda la performance degli studenti italiani, l’Ocse nello studio “Education at a glance 2011″ rileva che gli studenti quindicenni della scuola pubblica superano di gran lunga quelli della privata e, sempre secondo l’Ocse, il clima disciplinare nelle scuole private è peggiore di quelle pubbliche.

All’interno del mondo accademico Massimo Giannini (Professore ordinario di economia politica dell’università di Tor Vergata e membro del Centro di Ricerca Interuniversitario sullo Stato Sociale) ritiene che «un sistema privato rischia quindi di lasciare i cavalli buoni al palo, con una perdita di efficienza per l’intera economia» e che «non vi è alcuna prova o evidenza certa che un sistema di scuola privata aumenti il grado di efficienza dell’economia».
Anche Daniele Checchi (ordinario di economia del lavoro all’università Statale di Milano.) e Tullio Jappelli (professore di economia politica presso l’università di Napoli Federico II) ritengono che non esistono ragioni di efficienza che suggeriscono di investire nella scuola privata.

Perciò nonostante si proponga una “moratoria” sulla libertà educativa – in tempi di “spending review” – sarebbe il caso di interrogarsi seriamente sull’opportunità e l’utilità dei buoni-scuola.

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