“I centri di detenzione per i migranti in Italia sono crudeli, dicono i gruppi per i diritti umani”: così titola un articolo di Elisabetta Povoledo pubblicato sulla versione online del New York Times (ed il 5 giugno sull’International Herald Tribune). Centri di identificazione e di espulsione per i migranti che non sono prigioni ma dove gli immigrati possono essere detenuti per mesi prima di essere espulsi: per questo pur non essendo delle prigioni la differenza è solo semantica. «Alte recinzioni metalliche separano file di squallidi dormitori che sono chiuse durante la notte quando i cortili di cemento sono illuminati come se fosse giorno. Ci sono telecamere di sicurezza, alcune guardie indossano tenuta antisommossa, i detenuti possono muoversi in aree designate durante il giorno, ma sono costretti a indossare ciabatte o scarpe senza lacci, in modo da non danneggiare se stessi o gli altri. Dopo una rivolta nella sezione maschile, oggetti appuntiti – come penne, matite e pettini – sono stati vietati»: così viene descritta la situazione nei nostri Cie (centri di identificazione ed espulsione). I gruppi per i diritti umani denunciano sempre di più la situazione di questi centri presenti sia in Italia come nel resto d’Europa considerandoli disumani, inefficaci e costosi. Una situazione in cui la violenza, le rivolte ed i tentativi di fuga sono sempre più comuni anche a causa del cambiamento della legge italiana che prevede che possano essere trattenuti sino a 18 mesi coloro che siano trovati a risiedere illegalmente nel territorio italiano. Una situazione talmente tesa che – lo scorso luglio – quando gli attivisti di Medici per i Diritti Umani hanno provato a visitare il Cie di Bari è stato negato loro l’accesso a causa di disordini all’interno: lo stesso centro era stato parzialmente distrutto nell’agosto 2010 da una rivolta interna. Quando gli stessi attivisti hanno potuto visitare il Cie di Torino hanno trovato che 40 detenuti su 120 assumevano sedativi o ansiolitici ed il direttore ha rivelato che c’erano stati ben 156 episodi di autolesionismo nel 2011. Il New York Times sottolinea come i Medici per Diritti Umani riportino in una loro relazione che «nei 15 anni da quando sono stati istituiti i centri hanno dimostrato di essere congenitamente incapaci di garantire dignità e diritti umani fondamentali». Inoltre questo sistema non avrebbe affatto scoraggiato l’immigrazione clandestina: solo il 50 per cento degli immigrati irregolari detenuti nel 2012 (4.015 su 7.944) sono stati effettivamente espulsi e questa è una parte minima dei circa 440.000 immigrati irregolari che – secondo alcune stime – risiederebbero in Italia. Il New York Times ricorda la storia di Karim, un ragazzo egiziano di 24 anni, in Italia da quando aveva sei anni, con due fratelli legalmente residenti nel nostro Paese e convivente con una ragazza italiana il cui figlio – nato da una precedente relazione – lo considera come un padre: pur essendo “di fatto” italiano è stato fermato ad aprile con il permesso di soggiorno scaduto e quindi rinchiuso nel Cie di Ponte Galeria (Roma). «Dal 1998 in poi non sono più tornato in Egitto e non ho nessuno lì. Le persone nel centro mi guardano e mi chiedono cosa faccia qui»: ha detto Karim in una intervista con uno spiccato accento milanese.
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Gli USA non sono un paese così tanto più civile di noi da potersi permettere critiche. Comunque sono daccordo i cpt così come sono ora sono una vera vergogna ma l’idea di fondo secondo me è valida anche perché l’idea che a chiunque arrivi in Italia clandestinamente sia permesso di muoversi sul nostro territorio senza che sia effettuato il minimo controllo per sapere chi è e perché è venuto qui mi fa rabbrividire.
^ Veramente l’autrice è italiana.