Lo ammetto: a differenza di altri blogger di Pontilex raramente mi occupo dei post (definirli articoli sarebbe eccessivo) di Pontifex scritti dal dottor Volpe.
Il massimo del mio sforzo consiste in un sorriso ironico nella lettura di quegli scritti lunghi al massimo qualche decina di righe (per nostra fortuna).
Oggi voglio fare un’eccezione al mio “torpore intellettuale” nei confronti di Pontifex dedicando la mia attenzione a due articoli dedicati (in diversi aspetti) all’omosessualità ed alle donne vittime di violenza.
Il primo post di Volpe è dedicato alla triste vicenda del ragazzo suicida perché ritenuto omosessuale e si intitola “La mamma del bimbo suicida rifletta. E se avesse sbagliato tutto?”.
Pur essendo il ragazzo molto giovane forse definirlo “bimbo” come fa Volpe nel titolo è eccessivo: di sicuro l’età dell’adolescenza era passata da tempo e questo piccolo “indizio” rivela quanto poco Volpe conosca il genere umano anche negli aspetti più elementari.
L’incipit di Volpe mi lascia un po’ perplesso: «So bene che questa parole, crude, costeranno altre polemiche, altre critiche, ma Pontifex non vuole tradire sé stesso e i suoi lettori».
Diciamo la verità. Ogni parola detta da Volpe non può certo creare polemica. La polemica per nascere deve avere due caratteristiche: il contenuto può creare divisioni e, soprattutto, deve venire da una fonte o da una persona che abbia autorevolezza. Gli scritti di Pontifex invece mancano di questa seconda caratteristica e per questo non sono mai presi in considerazione né dai media di area laica né tantomeno da quelli di area cattolica: insomma sono sparate che nascono e muoiono su Pontifex tranne essere ripresi, come alle volte capita, su questo blog.
Infatti non a caso nessun media nazionale né tantomeno locale ha scritto delle presunte (e francamente poco o per nulla credibili) minacce che Volpe scrive di aver ricevuto.
Volpe continua: «Ho ascoltato in una trasmissione televisiva, la mamma del bimbo (sic, ndr) suicida».
Un buon giornalista dovrebbe scrivere in quale trasmissione televisiva avrebbe ascoltato (meglio scrivere “visto” considerato che la tv ci offre – grande invenzione – anche delle immagini) la madre del “bimbo” (sic) suicida: nella rete non c’è traccia di questa fantomatica trasmissione televisiva e quindi c’è il sospetto che questa notizia sia infondata.
Facendo uno sforzo immane leggo: «Ha avuto (la madre, ndr) qualche sprazzo di rigore intellettuale affermando che forse aveva sbagliato tutto, ma ha rivendicato che, in fondo, indossare per un ragazzino pantaloni rosa e laccarsi le unghie sia sintomo di libertà».
Risulta molto difficile se non impossibile che la madre abbia potuto dire qualcosa di simile visto che la madre in una conferenza stampa ha dichiarato, secondo quanto rivela Repubblica (fonte un “poco” più attendibile di Pontifex), questo: «Non avevo dubbi sull’identità sessuale di Andrea: gli piacevano le ragazze, e lui sapeva che a me poteva dire tutto. Era stato cresciuto nella libertà e nella tolleranza. Aveva un astuccio rosa, e allora? Era pieno di fantasia, aperto, a nove anni si era iscritto alla biblioteca comunale e da allora si era letto mille libri. Era un passo avanti gli altri, mi sembrava grande. I jeans rosa erano il frutto di una lavatrice sbagliata, non li usava da marzo. E lo smalto sulle mani fu una mia iniziativa: si mangiava le unghie e doveva riprendere ad esercitarsi al piano. Ho grandi sensi di colpa, adesso».
Insomma nessun jeans rosa o unghie laccate come simbolo di libertà (sebbene ognuno sia libero di vestirsi come meglio crede) così come scrive Volpe: è la stessa madre a dare la sua versione. Quindi bisogna credere a Volpe o alla madre del ragazzo?
«Se quella mamma avesse per tempo capito l’inclinazione (presunta) del figlio, che covava in lui il malessere della omosessualità, sarebbe intervenuta per tempo con adeguati ausili medici. E invece no. Ha scelto il relativismo: tutto è bello e buono, ciascuno è libero di fare come crede, la libertà è assoluta», così si continua su Pontifex.
Che l’omosessualità sia un “malessere” è ovviamente un’opinione non per nulla condivisibile solo di Volpe ed è perfino inutile sprecare parole a commentare come è inutile commentare quali “adeguati ausili medici” avrebbe dovuto ricevere un ragazzo normalissimo come Andrea.
Rimanendo al caso specifico è la stessa mamma a smentire che suo figlio fosse gay e quindi Volpe fa la figura – a distanza di giorni – di una persona quantomeno poco informata.
Continua: «Si arriva anche all’assurdo di sostenere che un Pm dovrebbe avviare una inchiesta per scoprire l’autore di certe scritte offensive. Come se i Magistrati non avessero nulla da fare».
Il Pm che ha aperto l’inchiesta per istigazione al suicidio esiste: è il sostituto procuratore Pierfilippo Laviani che ha agito per il semplicissimo fatto che il reato di istigazione al suicidio (articolo 580 Codice penale) è un reato per cui si procede d’ufficio, ossia non è necessario che ci sia una denuncia di parte. Forse Volpe lo ignorava.
Ancora si legge: «La parola “frocio” (scusate la volgarità) è entrata nel gergo comune e se dovessimo fare un processo ad ogni parolaccia, i tribunali scoppierebbero».
Anche la parola “stronzata” è entrata nel gergo comune ed è la parola che descrive meglio certi scritti di stampo cattolico che si possono leggere sul web. Ad ogni modo la parola “frocio” è comprensibile a tutti ma di certo non appartiene al linguaggio delle persone educate e civili. Restando al caso specifico nel momento in cui questa parola istiga una persona al suicidio si commette un reato e si procede per i suddetti motivi: è evidente.
L’ultima frase è sconcertante: «In quanto alla mamma del bimbo, rifletta, mediti. Ha la nostra piena solidarietà, ma avrebbe dovuto agire prima e non dopo. Nella tragedia e involontariamente, potrebbe avere delle colpe».
Devo fare un grande sforzo per commentare queste parole e credo che il silenzio sia la migliore cosa visto che si commentano da sé.
Credo che la madre non sappia cosa farsene delle parole di solidarietà né tantomeno dell’invito a riflettere da parte Volpe che più che altro dovrebbe domandarsi se le frasi omofobe (anche di molti prelati) come quelle che si leggono su Pontifex non contribuiscano a creare quel clima di odio nei confronti degli omosessuali: clima che ha ucciso Andrea. Francamente non credo che Pontifex con i suoi autori sia responsabile del clima di discriminazione che si respira nella società essendo una fonte che ha un pubblico molto limitato e non viene mai ripreso da serie fonti d’informazione. Mediti Volpe, mediti su ciò che scrive invece a pensare a quelle altrui.
Il secondo post sempre a firma di Volpe (e sempre più comico) si intitola “Femminicidi e vittimismo gay. vanno di pari passo col libertinaggio?”
Leggiamo le parole di Volpe: «Siamo sommersi e francamente non se ne può più, da questa ondata di retorica sul femminicidio, come fosse il vero e solo problema italiano».
Partiamo da una precisazione. In ogni Paese i problemi sono tanti (disoccupazione, criminalità, salute, etc.). Spesso davanti ad un tema si sentono ripetere luoghi comuni del tipo “Ci sono problemi più importanti da risolvere.
Possiamo attribuire tante colpe alla nostra politica ma non la capacità almeno a livello organizzativo di risolvere problemi diversi allo stesso tempo. Un qualsiasi esecutivo è diviso in ministeri e quindi il ministro che dovrà affrontare la situazione delle violenze in famiglia (Ministero delle politiche sociali, Interno o Giustizia) non sarà di certo la persona che si occuperà delle misure a sostegno dell’occupazione. Per lo stesso motivo il lavoro del Parlamento è diviso in dodici commissioni permanenti ciascuna delle quali è di competenza di un’area specifica. In questo modo il Parlamento potrebbe votare lo stesso giorno leggi diverse – ad esempio – sui matrimoni gay, sulle violenze in famiglia e sul rilancio dell’economia senza che nessuna di queste abbia mai rallentato l’altra legge. Faccio la scoperta dell’acqua calda ma forse per Volpe questo elemento è importante.
Continua: «Bisogna considerare da che cosa dipende questa esplosione di violenza. Gli uomini sono diventati davvero dei bruti? Sono impazziti tutti e di colpo? Assolutamente no. Quando avviene un fatto di sangue (che nessuno qui giustifica o avvalora e chiediamo la ferma condanna dei responsabili), un’analisi seria che non sia figlia della sola emotività ci porta ad una domanda: di chi è la colpa?». Condivido: davanti a certi fenomeni bisogna da mettere da parte l’emotività per un’analisi lucida e razionale.
L’analisi di Volpe è la seguente: «Nelle liti le responsabilità sono quasi sempre condivise e, se ci sta un Caino che accoltella, ci sta anche qualche brava signorina che provoca o molesta».
Come prima difficile trovare parole per un simile “pensiero” (se si può definire tale). Cosa leggeremo la prossima volta? Che negli omicidi la colpa è anche dell’ucciso che si è messo davanti la pistola? O che nel caso dei commercianti i cui esercizi sono distrutti dal racket delle estorsioni la colpa è un po’ la loro perché si rifiutano di sottostare al ricatto?
Volpe (in un pensiero parzialmente condivisibile) scrive che la colpa è anche della donna che «non denuncia prontamente situazioni di abuso, oppure che non domanda aiuto al parroco».
Per quanto può valere il mio consiglio mi sento di dire ad una donna di lasciar perdere il parroco e rivolgersi immediatamente e subito ai Carabinieri.
La frase successiva è più “criptica”: «Purtroppo in questo sistema la donna è ultra garantita. Basta che una giovinetta si reputi molestata con un paio di telefonate o una parolina e si reputa sia vittima di chissà quale reato».
Difficile capire quale sia questo “sistema” e queste parole meritano solo un appellativo: parole al vento. Ad ogni modo dovrebbe sapere bene che in Italia esiste il reato di stalking che certamente non consiste nell’offrire qualcosa da bere ad una ragazza ma è qualcosa di ben più serio.
Ad ogni modo se una persona fosse ingiustamente accusato di un reato (magari stalking) che non ha commesso e venisse trovato innocente può tranquillamente denunciare il suo denunciante per il reato di “calunnia”. Nel caso contrario invece si affronta tranquillamente il processo e – come giusto che sia – si va in galera!
La seconda frase mi lascia un po’ perplesso: «Piuttosto: che ci fanno tante ragazzine di notte, spesso svestite o vestiste in modo inadeguato? Provocano, adescano, stuzzicano e se qualche mano lunga (casomai ubriaca o drogata) perde la ragione, la “brava donna” rifletta anche sulle sue colpe».
Ora mi domando solo dove viva Volpe e soprattutto come faccia a vedere «tante ragazzine di notte, spesso svestite o vestiste in modo inadeguato» che «provocano, adescano (e) stuzzicano». Le vede perché anche lui è un “lupo (o meglio volpe) della notte” oppure qualche altra persona gli riferisce cosa avviene durante le ore piccole?
La successiva frase purtroppo è da far trasecolare: «Chi usa violenza mentale e fisica è un mascalzone, al pari di chi fa da agente provocatore».
Quindi nel caso di uno stupro dovrebbero essere condannati – secondo questo perverso ragionamento – sia il violentatore che la violentata per “concorso di colpa”: orribile. L’unico aspetto positivo è che Volpe non sia un magistrato (e neanche avvocato da quanto risulta).
«Questo, tuttavia, è uno Stato che protegge sempre più spesso le immoralità, ma mortifica i padri separati, spesso costretti a vivere in miseria».
Due domande: cosa c’entrerebbe con l’articolo e da quando in qua è compito dello Stato proteggere le presunte “moralità”?
«Prevenire è meglio di reprimere: voi andreste nel Bronx mostrando un Rolex al polso? No. Bene, lo stesso dicasi di bella figliola vestita in modo eccitante o peccaminoso in zone da evitare, ad orari strani e con persone di dubbia moralità», scrive ancora Volpe.
La domanda è sempre la stessa: come è a conoscenza di queste situazioni? Li vede in prima persona? Quali sono questi “orari strani” e le “zone da evitare”? Se Volpe è testimone diretto di tali situazioni vorrebbe dire che anche lui frequenta “zone da evitare” ad “orari strani”.
Allo stesso modo come riconosce le “persone di dubbia moralità”.
Conclude Volpe: «La tragedia del ragazzino presunto gay suicidato: se fosse stato curato prima da sua madre, forse ora non piangeremmo una vita. Ma questo mondo relativista, immorale e tollerante anche verso certi siti cloaca che danno del nazista a chi dice le cose come stanno, favorisce la cultura del diversamente eterosessuale come fosse normale ed invece siamo nell’anormalità, tale veniva considerata dalla medicina fino al 1975 e tale è ancora considerata nei casi di egodistonia».
Primo elemento: non si capisce perché Volpe torni sull’argomento avendo già dedicato (purtroppo) attenzione.
Secondo elemento: cosa c’era da curare nel ragazzo? Da curare dovrebbe essere chi eventualmente lo prendeva in giro.
Terzo (e più impegnativo elemento): omosessualità egodistonica. La World Health Organization (meglio conosciuta come Organizzazione mondiale della salute) offre questa definizione (F66.1) di “omosessualità egodistonica”. Leggiamola in inglese: «The gender identity or sexual preference (heterosexual, homosexual, bisexual, or prepubertal) is not in doubt, but the individual wishes it were different because of associated psychological and behavioural disorders, and may seek treatment in order to change it».
Questa è la traduzione: «L’identità di genere o orientamento sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o prepuberale) non è in dubbio, ma l’individuo desidera che sia diversa a causa di di associati disturbi psicologici e comportamentali, e può cercare un trattamento per cambiarla».
Coerentemente il ministero della Salute riporta che «L’orientamento sessuale egodistonico, secondo l’Oms, si ha quando l’identità di genere o la preferenza sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o prepuberale) non è in dubbio, ma l’individuo desidererebbe che fosse diversa a causa di disordini psicologici e del comportamento associati. E’ quindi del tutto evidente che non esiste alcuna classificazione come patologia di qualsivoglia orientamento sessuale: ogni affermazione in questo senso è totalmente infondata».
Alla fine riportare le notizie corrette non è difficile: basta essere in buona fede.
Preferisco reprimermi e non dire ciò che la lettura dell’articolo in questione mi ha suscitato…. Salvo ricordare che le “terapie riparative” sono state da tempo sconfessate e che dei gruppi religiosi “cura gay” non comprendo utilità ed efficacia, oltre al dubbio che mi sorge: sono qualificati,dei gruppi di sacerdoti e laici per praticare delle “terapie” sia pur vincolate dalla preghiera?
Aggiungo infine che il mio (eterosessualissimo) fidanzato si trucca tutti gli anni, per Halloween (smalto incluso) amando travestirsi da Brandon Lee ne “Il Corvo” e si depila anche (ceretta)… Eppure ehm anche sabato ho sperimento quanto sia etero (spero che Volpe non legga qui, se no si turba sapendo che una coppia non sposata fa le cosacce e talora convive pur nel weekend col beneplacito dei genitori!!!) …
Aggiungo ancora che le donne uccise generalmente hanno “provocato” quando hanno rotto relazioni con partner violenti, o addirittura si sono rifatte una vita o hanno detto di star troppo male per andare ad aprire il negozio di famiglia (Barbara Cicioni, incinta di 8 mesi massacrata di botte, presa a calci sulla pancia e infine strangolata dal marito, forse sotto gli occhi dei figli) o hanno chiesto al padre del nascituro di assumersi le sue responsabilità (Jennifer Zacconi, percossa, seviziata e sepolta viva in una buca alla vigilia del parto) o sono andate in palestra per allenarsi per una gara di ginnastica (Yara Gambirasio, molestata sessualmente, percossa, accoltellata e lasciata a morire dissanguata in un campo) o hanno semplicemente rifiutato avances (Elisa Claps, scannata dopo un tentativo di stupro e lasciata a marcire per quasi 20 anni nel sottotetto di una chiesa)….
Disgustoso: non c’è altro modo di definire questa accozzaglia di idiozie.
Al nostro volpastro preferito mi permetto solamente di ricordare che quella delle povere pulzelle succintamente vestite ed imprudenti che vengono stuprate di notte nei vicoli bui è un luogo comune: la stragrandissima maggioranza degli stupri avviene in casa propria, da parte di un familiare, un vicino, un conoscente. Lo stupro della donna che cammina da sola di notte purtroppo esiste, ma è una minoranza dei casi, utile principalmente a riempire i distorti sogni erotici di qualche squallido personaggio che poi magari va ad appendere fegati freschi sui citofoni di giovani biologhe.
tu ragioni – come giusto – da razionale. Quelli di volpe sono ragionamenti da osteria.
“Ora mi domando solo dove viva Volpe e soprattutto come faccia a vedere «tante ragazzine di notte, spesso svestite o vestiste in modo inadeguato» che «provocano, adescano (e) stuzzicano». Le vede perché anche lui è un “lupo (o meglio volpe) della notte” oppure qualche altra persona gli riferisce cosa avviene durante le ore piccole?”
Effettivamente questa è una cosa che mi fa riflettere.Devo dire che per un periodo della mia vita (piuttosto lungo , diciamo pure più di una dozzina d’anni) sono stato io stesso un “lupo della notte” , frequentando posti rispettabili ed altri tutt’altro che rispettabili , ho conosciuto tanta gente di tutte le categorie (persone anch’esse rispettabili , altre meno rispettabili ed altre che erano semplicemente delinquenti) , ho visto prostitute di ogni colore , sesso ed età… ma nessuna che potesse essere vagamente definita “ragazzina”. Come d’altronde ho visto molte ragazze vestite in modo decisamente discinto , ma mai nessuna di esse “adescava”.
Il problema di base , che la gente come Volpe non capirà mai , è che se una donna si veste (o si sveste) in modo provocante il coglione di turno non solo non è autorizzato a definirla “puttana” , ma non è neanche autorizzato a importunarla in alcun modo.
Le bestie si comportano così : si accorgono che la femmina è in calore e cercano l’accoppiamento. Certi uomini , che sono in fondo più bestie che altro , SUPPONGONO che la femmina sia in cerca di compagnia quindi si comportano di conseguenza , dando per scontato l’esito positivo della manovra ; quando ricevono invece l’unica cosa scontata , ovvero un netto rifiuto , danno di matto.
Siamo dunque uomini o bestie? Personalmente mi ritengo un uomo , altri sono semplici animali.
Il problema è che, secondo Il teorema di eSSo, uno che sentendosi provocato dagli articoli dei pontifeSSi, andasse – non so – a lasciare teste di mufloni sulla sua cassetta della posta, o lasciasse – chessò – pesci putrescenti sul pianerottolo, o magari scivolare palle di cannone sotto gli usci di d’ingresso di – dico un personaggio a caso – il finanziatore nonché gran cerimoniere del sito, sarebbe a questo punto parzialmente giustificato, proprio dal fatto del sentirsi provocato.
I jeans rosa? Una lavatrice sbagliata!
Lo smalto? Si mangiava le unghie!
Certo. E poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata.
Non l’avevo letta sta cosa ma mi sta facendo spanciare dalle risate. Cosa non direbbe una madre per difendere il proprio figlio dall’ infamante accusa di culattonaggine?!
Si è definita una persona aperta, ma evidentemente nessuno le ha spiegato che esiste anche la falsa tolleranza.
Mi spiace Fulvio ma dissento totalmente.
Prima di tutto non credo che termini come “culattonaggine” siano appropriati.
Inoltre credo che nessuno meglio della madre possa conoscere la situazione e nessuno può sostituirsi a lei altrimenti si arriva ad essere come Volpe compiendo un processo alle intenzioni non su quella che è la realtà ma su quello che vogliamo sia la realtà: personalmente non mi piace.
Poi se tu hai degli elementi precisi e circostanziati sulla situazioni dilli pure altrimenti tra la tua opinione (o quella di Volpe) e quella della madre o dei familiari, scusami ma mi viene più facile credere a quanto dicono questi ultimi per il semplice fatto che loro conoscevano Andrea e noi no.
Allo stesso modo la madre ha lanciato delle accuse molto pesanti alla scuola e quindi di certo non può essere accusata di “falsa tolleranza” né di qualsiasi altra cosa.
Caro Cagliostro, dissento al tuo dissenso. Capisco perfettamente il tuo punto di vista e il tuo “schierarti” dalla parte della madre. In fin dei conti è lei che deve fare i conti con il dolore per la perdita di un figlio. Noi siamo solo spettatori distratti.
D’altra parte, però trovo alquanto ridicole le sue giustificazioni sui pantaloni rosa o sulle unghie smaltate. Più che altro le vedo anche io come un tentativo postumo di “difendere” il figlio dalla infamante accusa di essere omosessuale. Per estremizzare la cosa, è come se, visto che non lo era, i ragazzi che lo hanno preso in giro e lo hanno portato al suicidio fossero ancora più colpevoli.
Non conosco la verità sulla faccenda (se mai fosse possibile parlare di unica verità in un caso così complesso e pieno di zone grigie), ma la mia sensibilità mi porta a non credere alle parole della madre.
Gentile Pascal, se tu stesso ammetti di non conoscere la verità sulla vicenda (e credo che nessuno possa conoscerla) come possiamo non credere alle parole della madre? Credo che – proprio perché è la madre – sia necessario credere di ciò che dice e non fidarsi della nostra “sensibilità” o del nostro naso.
Poi tutto questo non toglie nulla alla vicenda: pantaloni o meno, il ragazzo era preso in giro perché ritenuto gay (che lo fosse o meno è ininfluente). Anche gli eterosessuali (se non soprattutto in termini numerici) possono essere oggetto di omofobia. Il resto sono solo dettagli.
Ad esempio mia madre ha un’idea completamente distorta di ciò che sono e non la reputo la persona più adatta a rappresentarmi.
Giudica chi dice ad un ragazzino di quindici anni che non deve vestirsi o comportarsi in un certo modo.
Giudica chi accusa una madre sofferente di non essere stata una buona madre e di avere, in questo modo, condannato il proprio figlio.
Le mie sono soltanto critiche, motivate dalla scarsa credibilità di quelle affermazioni. Perchè nessuna madre, io credo, è così sprovvista di buon senso da costringere il proprio figlio maschio a presentarsi a scuola con lo smalto sulle unghie, ben sapendo a quali spiacevoli situazioni potrebbe prevedibilmente andare incontro.
E del resto ogni madre che si rispetti mentirebbe per il bene del proprio figlio. Il problema è che agendo in quel modo non sta facendo il suo bene e probabilmente non se ne rende nemmeno conto. Perchè una cosa è dire che suo figlio non era gay: gay o non gay non cambia assolutamente nulla. Ma una cosa ben diversa è negare persino quello che era il suo modo di essere. E mi spiace, ma questo non è per niente un dettaglio, perchè è proprio da questi atteggiamenti che scaturiscono la diffidenza e il disprezzo per il diverso.
Fra critica e giudizio non c’è molta differenza: chi critica deve per forza di cose giudicare.
Non mi sembra che la madre neghi quale fosse il suo modo di essere: infatti ha descritto bene come fosse il figlio. Poi se la sua descrizione sia veritiera o meno nessuno può saperla: tu conoscevi Andrea direttamente ad esempio? Se non lo conoscevi come fai a dire che la madre stia mentendo. Io neanche lo conoscevo però – mi piaccia o no – devo fidarmi solo di chi lo conosceva e non fidarmi delle prime cose che scrivono i giornali.
Poi tu scrivi di diffidenza e di disprezzo ma mi sembra che sia tu ad essere diffidente verso quanto dica la madre pur non avendo elementi oggettivi che la smentiscono.
Tua madre avrà un’idea distorta di te ma – qualora non ti conoscessi come non ti conosco – se volessi farmi un’idea su di te andrei a chiedere a lei.
Ma questo è un tuo problema. Io se voglio farmi un’idea su una persona cerco di conoscerla e se non posso mi affido all’intuito.
La gente mente, soprattutto quando si tratta di figli. Il fatto che uno non dica peste e corna dei gay non vuol dire che sia una persona tollerante. Esiste un fenomeno molto più subdolo che si chiama falsa tolleranza.
Ricordi Gaber? “In Virginia il signor Brown era l’uomo più antirazzista. Un giorno sua figlia sposò un uomo di colore. Lui disse: ma non era di buonumore.”
Hai ragione: è un mio problema. C’è chi – come Volpe – si fida dell’intuito e chi si fida di quanto viene detto o dei fatti: questione di approccio.