Quando tutte le anime ebbero scelto ognuna la propria vita, si presentarono a Lachesi secondo il turno del sorteggio. Essa inviò a custodire e sancire la vita prescelta quel demone che ognuna aveva preso per sé
Platone, Repubblica X, 620 d-e. Oscar Mondadori, pg. 842-3
Passiamo al dunque: la domanda fondamentale che i Nostri pongono è:
Qui si presenta un dilemma. O l’angelo soffre per le nostre prove e quindi non gode una felicità perfetta, o il nostro angelo custode non piange con quelli che piangono, rimane indifferente come un egoista e freddo di fronte ai mali che ci affliggono e quindi gli manca la comprensione e la simpatia.
Invero la domanda sarebbe semplicemente eludibile con l’assunto: non essendo l’angelo materiale e men che meno umano non si può sapere se provi o meno sentimenti umani. Peccato che un’uscita di questa risma sarebbe un duro colpo alla descrizione paternalistica cui sopra. Alla quale i nostri pare siano affezionati. Non vorrei malignare qualche deficit affettivo o similia ma… diamine è possibilissimo!
La soluzione data da San Tommaso a questo problema apparentemente insolubile ci apre profonde prospettive sul mondo degli angeli e sulla vita umana.
Gli angeli – afferma San Tommaso – non provano dolore né dei peccati né delle pene degli uomini. Nel mondo avviene soltanto ciò che è conforme alla divina giustizia e che da lei è tollerato, per cui gli angeli e gli altri beati aderiscono totalmente all’ordine della divina giustizia.
To’, ovvio. E io che speravo in un risposta autonoma. Ma va be’, è già qualcosa.
Un po’ incoerente coll’inizio, sempre che quello non sia l’antitesi e non la tesi. Speriamo bene…
Ma perché allora Dio permette il male?
Perché non può(?: Dannato paradosso dell’Onnipotenza) fare altrimenti?
Certamente no. Egli è onnipotente. Gli basterebbe un nonnulla per prevenire il delitto di un assassino o le persecuzioni di un tiranno o per abbattere un prepotente dittatore ecc. Se Dio tollera un male è sempre e unicamente per ricavarne un bene, a breve o a lunga scadenza.
E come la mettiamo che così gli uomini non sarebbero del tutto liberi nell’arbitrio delle loro facoltà ma di contro, come minimo, fortemente influenzati?
Tralasciamo poi che questa visione è più vicina al Taoismo che non al Cattolicesimo…
San Tommaso spiega questo stile divino con un esempio molto semplice: il comportamento di un navigante il cui battello, carico di merci, rischia di affondare in mezzo al mare in burrasca. Il navigante non vuole gettare in mare la mercanzia, ma lo vuole nell’imminenza di un grave pericolo di morte.
Questa perdita si risolve per lui in un guadagno. Ha la vita salva! Da un male ricava un bene. Sacrifica il meno, la mercanzia, e salva il più, la vita. Agisce saggiamente.
Quindi per quel dio secondo cui ogni vita può essere salvata e per cui la stessa vita è sacra… la stessa vita (altrui! Dopo per altro essersi suicidato proprio per l’altrui vita!) è sacrificabile!! Qualcosa non torna, ma al livello macroscopico. Proprio non va. Na na: per nente.
Ostinandosi a voler salvare la sua merce, perderebbe il battello e la vita. Così agisce Dio, quando tollera le malattie e le epidemie, i terremoti e le inondazioni, i delitti e le guerre, le colpe morali, i sacrilegi, le apostasie degli individui e dei popoli: se non impedisce questi mali – e lo potrebbe fare facilmente – è perché la sua sapienza e la sua potenza ne ricaveranno un giorno o l’altro dei beni più grandi. Dagli oscuri abissi della miseria umana, la misericordia di Dio sa trarre tesori imprevedibili.
Ma visto che è onnipotente perché fare tutto questo quando gli basterebbe uno schiocco di dita?
Forse che l’onnipotenza si scordi a comodo pur di adattare Dio al mondo invece di constatare l’adattamento del mondo a Dio, se ciò fosse vero a prescindere da eventuali discorsi in merito?
Questo lo sanno bene gli angeli, perciò non si affliggono delle nostre pene. Non è dunque affatto per indifferenza che gli angeli non si rattristano davanti alle disgrazie e alle colpe dei loro protetti, ma in ragione di una conoscenza più penetrante di questi mali. La loro serenità non deriva da ignoranza, ma da una scienza superiore.
Quindi, fammi capire, quando un angelo vede un mutilato in guerra sta lì a pensare ma guardalo questo poveretto: non sa che la sua morte potrebbe aiutare altri alla conversione e si lamenta. Che crudeltà. Piuttosto cinica come cosa. Che nella conoscenza divina sia incluso un Humor Nero da far accapponare la pelle?
Mentre l’occhio dell’uomo si ferma alla scorza rugosa delle prove, senza discendere nella profondità né considerare l’avvenire, lo sguardo dell’angelo custode attraversa la scorza, entra nell’interno e penetra l’avvenire. Nel seme gettato in terra egli discerne già la spiga.
L’angelo partecipa della scienza di Dio che con un solo sguardo abbraccia tutte le cose, passate, presenti e future.
E allora che bisogno avrebbero d’esistere visto che il loro agire sarebbe comunque insignificante rispetto a ciò che essi stessi vedono senza neanche potersi opporre (dacché è la divina volontà)?
In una pagina magnifica, degna di Sant’Agostino, Pio XII raffronta le vedute limitate degli uomini con la scienza infinita di Dio, della quale partecipano gli angeli:
“Tutti gli uomini sono quasi fanciulli dinanzi a Dio, tutti, anche i più profondi pensatori, i più sperimentati condottieri dei popoli. Essi giudicano gli avvenimenti con la veduta corta del tempo che passa e vola irreparabile. Dio li guarda invece dalle altezze e dal centro immoto della eternità. Essi hanno davanti ai loro occhi l’angusto panorama di pochi anni; Dio invece ha davanti a sé il panorama universale dei secoli. Essi ponderano gli umani eventi dalle loro cause prossime e dai loro effetti immediati; Dio li vede nelle loro cause remote e li misura nei loro effetti lontani. Essi vorrebbero la giustizia immediata e si scandalizzano dinanzi alla potenza effimera dei nemici di Dio, alle sofferenze e alle umiliazioni dei buoni. Ma il Padre celeste che nel lume della sua eternità abbraccia, penetra e domina le vicende dei tempi, al pari della serena pace dei secoli senza fine, continua e continuerà a far sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, a guidare i loro passi di fanciulli, con fermezza e tenerezza. È solo necessario che si lascino condurre da Lui e confidino nella potenza e nella saggezza del Suo amore per loro”.
Il fatto che Pio XII fosse stato pontefice in mezzo a situazioni non certo usuali come l’ascesa del nazismo e del fascismo nonché dello scoppio delle Due Grandi Guerre (e vogliamo parlare del duro colpo subito successivo alla perdita del Potere Temporale cui ancora si sentivano i postumi?) non c’entra niente. Ma no…
Fra Giovanni della Croce è gettato dai suoi fratelli carmelitani in un carcere del convento di Toledo. Gesto esecrabile, dal quale tuttavia Dio saprà ricavarne meraviglie! Fu precisamente nella sua oscura prigione di Toledo che ricevette le grazie di luce e di amore che lo condussero al più alto grado della vita mistica. Dopo la sua liberazione egli parlava dei suoi carcerieri come di benefattori insigni.
la possibilità del delirio per fame e una possibile Sindrome di Stoccolma non son presi in considerazione. In fondo sono solo ipotesi molto più semplici e probabili, che sarà mai…
La sua unione intima con Dio gli permetteva di partecipare in qualche modo a quella visione profonda che gli angeli (sì: delirio per fame. E stress. Perché altrimenti così di punto in bianco?), aderendo ai disegni di Dio, hanno degli avvenimenti e che serve loro per comprendere che se Dio permette un male, non è che per ricavarne un bene maggiore. Immaginiamo Ignazio di Loyola ferito gravemente all’assedio di Pamplona da una pallottola francese che gli spezza una gamba. Cerchiamo di rappresentarci le reazioni dei suoi amici. “Che disgrazia – avranno esclamato alcuni – ecco una brillante carriera interrotta..”.
“Che fortuna – avranno pensato altri – è una liberazione! Toccato dalla grazia il capitano Inigo Lopez (questo era il suo nome) si impegnerà in una carriera incomparabilmente più nobile e più utile agli uomini che il mestiere delle armi!”.
Sì, insomma: una visione piuttosto fragile tenute conto le obiezioni cui sopra. Ma anche senza considerarle: sono io o un esempio è tirato a forza con una velata Petizione di Pirncipio/Post Hoc mentre l’altro si basa su delle congetture. Piuttosto infantili per altro?
Come i nostri angeli custodi, così i santi del cielo e quindi i nostri defunti, liberati dalle fiamme del purgatorio ed entrati nella luce di Dio, conservano la serenità dinanzi al mali temporali e ai peccati degli uomini. Sulle prime questo atteggiamento imperturbabile sembra inumano ed incomprensibile. Si dirà: una madre entrata in paradiso come potrà non rattristarsi delle prove dei figli rimasti sulla terra? Non parteciperebbe alle loro preoccupazioni materiali? Non soffrirebbe per i loro peccati? Non fremerebbe vedendoli sulla via della perdizione?
È necessario ripeterlo: la serenità dei cittadini del cielo dinanzi ai mali che affliggono gli abitanti della terra non è il frutto dell’ignoranza, né dell’indifferenza di chi, divenuto ricco, dimentica la sorte dei suoi compagni di via. È piuttosto il frutto di una scienza più profonda e di un amore più illuminato. Poiché la loro volontà è totalmente unita a quella di Dio, gli eletti entrati nella sua pace non provano né contrarietà né sofferenza alla vista delle vicissitudini degli uomini.
Quindi, dato l’esempio, la madre non è più madre, in quanto l’individuo si scinde dalla sua volontà che lo caratterizza. A questo punto mi chiedo: e Dio che ci fa con questi? Perché li priva proprio della cosa che chiedeva loro (la volontà nell’essere fedeli incondizionatamente)? Perché dovremmo considerare queste anime ancora anime e non estensioni Divine? E quest’ultimo dato non è palesemente Orfico, Pitagorico, Platonico, Krishnairico e Gnostico?
Perché mai? Su, perché?
La loro intelligenza, essendo immersa in quella di Dio, vede nelle prove degli uomini lo svolgimento dei disegni di Dio che sono tutti adorabili(?).
E anche qui ritorniamo al discorso precedente… Sob!
Una mistica inglese, Giuliana da Norwich, preoccupata del problema del male e della sofferenza, comunicava le sue inquietudini a Nostro Signore.
Egli la tranquillizzò, invitandola a confidare nel suo amore e nella sua onnipotenza: “Alla fine vedrai che tutto era bene”. “Alla fine”: ecco la parola chiave che illumina il problema del male. L’angelo vede la fine. L’uomo, che si avvale solo della ragione, ignora questa fine e insorge contro la sofferenza. Il credente, dotato di una fede debole, la sopporta malvolentieri, mentre il cristiano dalla fede viva crede in uno sbocco felice. Più vigorosamente crede, tanto più partecipa – senza mai uguagliarla – alla serenità imperturbabile degli angeli davanti al male. La pace profonda è una caratteristica degli amici di Dio. Essa risiede nell’intimo della loro anima e traspare dal loro viso e dal loro sguardo”.
Una felicità perpetua. Che noia. Privi di libertà di pensiero visto che non si ha nemmeno il gusto (se così si può chiamare) di sbagliare. Che cosa orribile. Non avere volontà propria ma essere schiacciato da quella di una divinità onnipotente. Che cosa lugubre.
È questa la visione a cui loro aspirano manco fosse una specie di droga (forse, citando un tale, meglio sarebbe definirla oppio)? Be’, per conto mio, direi che se così è se lo possono tenere il loro Paradiso: se davvero lo scopo è crescere umanamente a che pro la divinità ti porrebbe nel clou del clou dei buoni solo in cambio della tua incondizionata fiducia e rinuncia di volontà e libertà nei suoi confronti? Ponendola alla Buddhista:
Non è certo disprezzabile quell’attività che, tralasciando ciò che è inferiore, è rivolta all’eccellente; ma con un tal dispendio d’energia i saggi devono conseguire un risultato che non comporti nient’altro. Se invece la sofferenza corpolare in questo mondo è [conforme alla] Legge, il piacere corporale è [di conseguenza] contrario alla Legge: ora, con la Legge in questo modo si dà un frutto che alla Legge è contrario […] se nel dolore è l’intenzione che causa il merito, allora non bisognerà mettere anche l’atto meritorio nel piacere? E se nel piacere l’intelletto non conta, non conterà allo stesso modo anche nel dolore? Così pure per quelli che, per purificarsi dalle proprie azioni, si aspergono d’acqua credendola santa: anche in questo caso la soddisfazione è solo soggettiva perché le acque non possono purificare il malvagio. Infatti, se [è vero che] qualsiasi acqua toccata dai virtuosi è riconosciuta come santa sulla terra, allora io credo sante le virtù; ma l’acqua è indubbiamente solo acqua”
BuddaCarita, VII 25-31; Ashvagosa; Adelphi, pp. 88-9.
Così che l’Inferno e il Paradiso sono solo luoghi o condizioni e mai un punto d’arrivo. Cose che i Nostri ovviamente non considerano.
Ma andiamo un po’ OT e vediamo: da dove spunteranno mai fuori questi angeli? Iniziamo col citare gli Inni Orfici, memori dei Misteri Eleusini pre-socratici (capirete più avanti):
Αστρων ουρανιων ιερων σελας εκπροκαλουμαι ευιεροις φωναισι κικλεσκων δαιμονας αγ[ν]ους
Degli astri celesti il sacro splendore invoco, con religiosi canti chiamando i numi augusti.
Inno Orfici, VII. Ašram Vidya. Pg. 37
Se già qui siete un po’ confusi la nota può aiutare:
v.4 La divinità degli astri sembra essere una delle idee dominanti del pitagorismo più antico […] che passerà poi in Platone, nel panteismo stoico e in Plotino
Ibidem, pg. 224 Nota canto VII
Platone, e sia: controlliamo nel Timeo:
E chi avesse vissuto bene per il tempo a lui assegnato, tornato di nuovo alla sede dell’astro a lui affine (σοννομου αστρου), avrebbe avuto in sorte felice e opportuna
Timeo, 42b. Oscar Mondadori, pg. 49
Quindi, se il mio ragionamento non è errato, significa che, sulla scorta dell’astrologia babilonese, gli astri determinano, sia pur solo come segni, la vita degli uomini. Ma gli astri hanno un demone. E anche gli uomini, perché altrimenti il cielo non potrebbe tangere la vita di quaggiù visto che non è possibile il tocco tra il simile e il dissimile. Quindi, il demone umano e quello celeste sono lo stesso (questo concetto passerò poi con Plotino come sottinteso del cosiddetto corpo astrale).
Ergo: l’angelo è solo uno spirito che muoverebbe il cielo. Alla romana: ‘Namo bbene.
Ma vediamo un po’ che dice Enoch, il cui libro era una lettura d’élite presso gli Esseni, la setta più simile al cristianesimo prima del cristianesimo:
Le guide dei capi di mille che sovraintendono su tutto il creato e su tutte le stelle, comprese le quattro che si aggiungono e [che] non si separano dalla loro sede, secondo tutto il calcolo dell’anno queste (ultime). servono i quattro giorni che non sono calcolati nel calcolo dell’anno. Ma, in riferimento a loro, gli uomini sbagliano poiché queste luci servono con esattezza nella posizione del mondo, una nella prima porta, una nella terza porta, una nella quarta e una nella sesta e si compie, ogni 364 posizioni del mondo, la perfetta armonia del mondo. Gli uomini sbagliano poiché i segni me li mostrò Uriele, l’angelo che il Signore di gloria eterna aveva preposto su tutte le luci del cielo […] affinché il sole, la luna, le stelle e tutte le creature serve che vanno in giro su tutti i loro carri celesti dominassero su tutte le creature sulla faccia del cielo e si vedessero sulla terra e fossero guide al giorno e alla notte.
Apocrifi dell’Antico Testamento, volume I, Libro di Enoc, Parte XIII: Libro di Astronomia, LXXV 1-3. UTET, 2006, a cura di Paolo Sacchi. Pg. 582-3
Come si può notare l’immagine delle stelle sui carri rievoca irrimediabilmente il Mito del Fedro del carro alato. D’altronde è notabile che nello stesso libro si narri di 7 stelle punite da Dio all’incatenamento eterno nelle viscere della terra per non essere sorte durante il tempo prestabilito (sic!) in accordo al passo LXXX del sopraccitato tomo, quindi il collegamento demone-spirito astrale ritorna anche sul piano etico. Da notare inoltre come anche qui si dia nemmeno troppo sotto le righe una validazione all’astrologia.
Sulle quattro guide:
Le guide dei capi dei mille sono i quattro angeli che sono a capo dei punti cardinali. Ai quattro punti del cosmo corrispondono quattro punti fermi all’interno dell’anno, che sono i quattro giorni intercalari, per cui il calendario solare diviso in 30 giorni ciascuno, può pareggiare la durata del corso effettivo del sole. Questi quattro giorni sono posti ai due solstizi e ai due equinozi.
Ibidem, nota [1]
Piuttosto chiaro insomma. E ringrazino i PontifeSSi per non avermi fatto citare il Tirh Yasht (canto a Sirio) ove la Stella Canicola è identificata con uno Yazata al pari della Luna.
Ad ogni modo il dilemma rimane: perché i Nostri son così ostinatamente attaccati a bambinate quali gli Angeli Custodi?
Fonte di quel che m’ha istigato a fare millemila citazioni: http://www.pontifex.roma.it/index.php/opinioni/laici/10838-perche-il-male-ci-perseguita-e-perche-dio-apparentemente-non-interviene-e-gli-angeli-cosa-fanno
FSM sei davvero incredibile… Io avrei liquidato il brano in oggetto in maniera molto, molto più sbrigativa. Il titolo mi suggerisce le classiche domande di Kazzenger… 🙂
menomale che non sono nata angelo custode (a volte la vita é buona e giusta) , pensa te se mi toccava far da balia a Cidippinen…
):D