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Nel pieno della notte Clemente trova Giordano Bruno sveglio nella sua cella, seduto al tavolo nudo.
Non un libro, non una carta, non un appunto. Bruno è assorto. Come al solito.
«Non tornerete indietro, vero?»
«Mi è impossibile, vostra Santità.»
Silenzio. Tutto tace nel grande palazzo. Le guardie sono rimaste fuori. Non dietro la porta serrata, ma in fondo al corridorio. Nessuno può udirli. E’ con loro soltanto la memoria storica della filosofia ermetica, il ricordo che passa impalpabile per bocca-orecchio attraverso il salto dei secoli.
«Sapete perchè sono venuto?»
«Posso immaginarlo e posso anche dire che sono indifferente. Non perchè sia disinteressato alla vostra persona, di voi mi importa come qualsiasi altra creatura, ma perchè ormai fatico sempre più ad articolare suoni, a comunicare, a dialogare»
«Questo è il punto. Mi hanno riferito di quando siete stato sottoposto alle cure della ruota e mi hanno detto che avevate la stessa lontananza che si presume appartenga ai saggi.”
«Ero lontano.»
«Come fate?»
Silenzio. Bruno è impietosito da quelle domande. Chi gli sta di fronte è lontano dalla saggezza come un naufrago, in mezzo all’oceano, dalla terra. Nulla potrà, per ora, avvicinarlo all’approdo. Ma quella del papa non è curiosità, è davvero voglia di sapere. Anche per questo è difficile per il filosofo comunicare. Lo stato in cui si trova non ha desideri, ombre, voluttà, aspirazioni. E’ una dimensione pressocchè pura. Non spiegabile.
«Santità. guardate dentro di voi. Vedrete che, nel cuore del vostro io, c’è uno spazio interiore. I saggi dei secoli passati lo definivano “interiorità errante”. Avevano ragione. E’ senza limite, è limpido, senza aria, senza bramosie. Lucido e lucente. E’ interiorità e basta. E’ separato esso stesso per se stesso.»
«Capisco.»
“No, Santità, no. Voi non potete capire ora. Forse lavorando giorno e notte senza entrare mai in contraddizione con voi stesso sentirete che pulsa. Allora sarete, allora saprete. Perchè la conoscenza della realtà, e la vostra interiorità è la realtà, si identifica con il mondo.”
Il papa è assorto, ascolta, non batte neppure un ciglio. Allora Bruno continua.
«La conoscenza del reale è assimilabile, diciamo così, con un atteggiamento interiore di purificazione e di distacco ispirato.»
«Ma quando siete in questo modo, non state solo?»
Il filosofo annuisce. Per l’attuale stato di comprensione di Clemente VIII non è possibile dire di più. Ma ugualmente continua.
«Non sono solo in questa dimensione perchè tutto il mondo, fuori dell’apparire, è nella sua verità un sistema di interiori centri, di individuate tendenze che vogliono un congiungimento che deve invece rimanere inappagato. Sono brame disumanate che nell’essere mancanza e struggimento trovano la loro realtà dionisiaca solitaria. E pure sanno, queste interiorità, queste brame disumanate, che al di fuori di esse ne esistono altre a loro affini, altre interiorità, parimenti isolate e parimenti struggentesi nella loro ineliminabile individuazione. E verso di queste tendono eroticamente, essendo tutte avvinte le une con le altre da reciproco desiderio, ma che pure non è desiderio. E tutte coesistono in tale struttura metafisica che non patisce mutamenti. Sono un mosaico di musica più alta dell’udibile.»
Il pontefice annuisce e poi scuote la testa: «capisco senza capire e nello stesso tempo comprendo che per la Chiesa tutto questo è pericoloso»
«Per la Chiesa come forza temporale e politica, sì. Per la Chiesa come entità spirituale, mi esprimo così per farvi capire, assolutamente no. Io infatti sono in contatto con gli immortali centri di altri uomini già vissuti, o viventi o che dovranno vivere.»
In questo preciso momento un cielo di stelle si affaccia nella testa di Clemente. Non è una notte stellata, ma somiglia ad essa. E’ molto di più. E’ la parte intima dell’universo. Intangibile, intoccabile, incorruttibile, insopprimibile.
Per un milionesimo di secondo avverte una musica inespressa. Poi erompe in un tuono, una risata sardonica che sprigiona dalla parte più animalesca e grottesca dell’io del papa. E’ troppo legato al mondo, alla funzione che ricopre sulla Terra come “capo della Chiesa di Roma”, per poter continuare su questa vibrazione. Quindi la notte stellata sparisce.
«Avete ragione», afferma Clemente, «per il clero tutto questo può essere pericoloso, molto pericoloso.»
«Per questo non posso abiurare. Mi è impossibile scendere al vostro livello di non-sapere. Ma prima che ve ne andiate voglio concludere dicendo che la saggezza è un moto affettivo dell’anima: è una sua passione disumanata.»
Il Santo Padre chiude gli occhi in segno affermativo, ma non ha capito. Almeno non a livello razionale. Quindi si volta e bussa alla porta.
Adesso la storia di Bruno da Nola è davvero finita.
E’ il 21 dicembre del 1599. Dopo pochi giorni il papa promulga un “Giubileo eccezionale”. Vuole avvicinare le anime di tutti gli uomini e vuole che la Chiesa parli non con i corpi ma con lo spirito degli uomini.
Forse in questo c’è stata la mano metafisica del sapiente condannato per eresia. Ma è ancora un’altra storia e interessa soltanto il papa. Quel papa.
Giordano Bruno invece deve aspettare l’8 febbraio. Quando gli viene letta pubblicamente la sentenza che condanna lui al rogo unitamente alle sue opere. Inoltre i suoi scritti sono messi all’Indice.
Il 17 febbraio Giordano è prelevato dalla sua cella e portato in piazza Campo di Fiori.
Gli oltranzisti, i torturatori, i sadici, l’hanno avuta vinta su tutti e su tutto. Sono persino riusciti ad imporre la “mordacchia” al condannato. Uno strumento di sevizie che blocca la lingua del sapiente per non fargli dire nulla durante il tragitto verso il palo pronto per il falò. Una crudeltà inutile semplicemente perchè Bruno è già nel firmamento stellato delle interiorità. In compagnia degli altri saggi. Soltanto quando è legato, con le fiamme che già ardono, quando vede la massa dei suoi giustizieri, Giordano si commuove. Prova pietà per loro. Subito però le lacrime sono seccate dal calore struggente.
Così svanisce nel cielo il corpo corruttibile di Giordano Bruno, da Nola.
Ma soltanto le membra e nulla di più.
Così termina anche la nostra storia.
Ma soltanto le pagine e nulla di più.
Tratto dal romanzo “Giordano Bruno”, di Gabriele La Porta
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Ch’io cadrò morto a terra, ben m’accorgo
ma qual vita pareggia al morir mio?
Giordano Bruno, De gli eroici furori