La Chiesa cattolica e il moralismo in economia

Eric Michael Packer Cosmopolis

"Cioè, davvero mi stai dicendo che tutto quello che dovrei fare per non autodistruggermi sarebbe comportarmi a modino?"

“Cioè, davvero mi stai dicendo che tutto quello che dovrei fare per non autodistruggermi sarebbe comportarmi a modino?”

Pare che il mio precedente articolo abbia ricevuto una risposta. E non mi riferisco ai commenti, ma proprio ai quotidiani ufficiali vescovili. Non che siano risposte dirette, non sono così importante né pretendo di esserlo, trattasi bensì di affermazioni che approfondiscono il tema in questione: la chiesa e la sua concezione politica-economica sotto l’attuale pontificato.

Le fonti sono sempre le stesse: le parole papali, il commento su ad esse e il commento politico-economico “in generale” di un articolista di Avvenire (lo stesso della volta precedente: la risposta più diretta tra tutte).

Cominciamo al solito dalle parole papali, stavolta incentrate sul tema del traffico d’armi… apparentemente:

“L’uomo è capace di distruggere tutto quello che Dio ha fatto”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal passo drammatico della Genesi che mostra l’ira di Dio per la malvagità dell’uomo e che prelude al diluvio universale. L’uomo, ha constatato con rammarico, “sembra essere più potente di Dio”, è capace di distruggere le cose buone che Lui ha fatto. […] Nei primi capitoli della Bibbia, ha proseguito, troviamo tanti esempi – da Sodoma e Gomorra, alla Torre di Babele – in cui l’uomo mostra la sua malvagità”.

Insomma il tema del pacifismo, sacrosanto, trattato coi soliti luoghi comuni ecclesiastici. Le guerre non hanno storia ed attori e qui è già tanto se indica una causa interna sui generis al posto di prendersela con Satana o chi per lui… ma fin qui il discorso è anche condivisibile, e fuori tema, quindi non ci faremo caso più di tanto.

“‘Ma padre, non sia tanto negativo!’ qualcuno dirà. Ma questa è la verità. Siamo capaci di distruggere anche la fraternità: Caino e Abele nelle prime pagine della Bibbia. Distrugge la fraternità. E’ l’inizio delle guerre, no. Le gelosie, le invidie, tanta cupidigia di potere, di avere più potere. Sì, questo sembra negativo, ma è realista.

E pressappochista, ma il vero fulcro del discorso parte dopo:

C’è sempre, ha soggiunto, una “voglia di autonomia”: “Io faccio quello che voglio e se io ho voglia di questo, lo faccio! E se per questo voglio fare una guerra, la faccio!:

“Ma perché siamo così? Perché abbiamo questa possibilità di distruzione, questo è il problema.

Sic! Le guerre avverrebbero perché non si cede la propria autonomia (a chi? A Dio?)… poco importa che quelle stesse guerre siano causate-giustificate con motivazioni ipoteticamente autonome come l’economia o la religione! E sin qui si capisce dove voglia andare a parare:

Poi, nelle guerre, nel traffico delle armi… ‘Ma, siamo imprenditori!’ Sì, di che? Di morte? E ci sono i Paesi che vendono le armi a questo, che è in guerra con questo, e le vendono anche a questo, perché così continui la guerra. Capacità di distruzione.

Al solito gli interlocutori non sono i fabbricanti materiali delle armi, non sono i generali che comprano quelle partite o i governi che li sfruttano. Se è vero che questo discorso pare avvicinarsi al tema di Lord of War non potrebbe esserne in realtà più distante: Andrew Niccol infatti connota sempre il contesto, la denuncia della vendita d’armi legale ed illegale gira attorno al fatto che anche se ci fosse una morale pacifista nello scegliere cosa vendere le persone disposte ad armarsi esisterebbero lo stesso, perché non dipende da una morale (alienante ed illusa) ma dalla semplice esistenza del guadagno. Il contesto è proprio ciò che manca al discorso papale:

E questo non viene dal vicino: da noi! ‘Ogni intimo intento del cuore non era altro che male’. Noi abbiamo questo seme dentro, questa possibilità. Ma abbiamo anche lo Spirito Santo che ci salva, eh! [Un’assoluzione… sia mai che i veri trafficanti d’armi si risentano] Ma dobbiamo scegliere, nelle piccole cose”.

Compreso tra il morire di fame non vendendo armi e il vivere vendendole. Ma al solito non è questo il punto della questione: come abbiamo già imparato, al pontefice interessa non mutare il sistema, bensì moralizzarlo e basta, al costo di renderlo ancora più alienato:

Il Papa ha dunque messo in guardia dalla chiacchere, da chi sparla del vicino: “anche in parrocchia, nelle associazioni”, quando ci sono “gelosie” e “invidie” e magari si va dal parroco a sparlare. “Questa – ha ammonito – è la malvagità, questa è la capacità di distruggere, che tutti noi abbiamo”.

Esatto: le guerre e il traffico d’armi esistono solo perché tutti spettegolano di tutti!

“è necessaria la meditazione continua, la preghiera, il confronto fra noi, per non cadere in questa malvagità che tutto distrugge”

Una simile puerile tesi viene ulteriormente sviscerata dal cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis:

“Non ci può essere una crescita economica all’infinito. Bisogna che l’etica torni[?] nell’economia”

E già qui è tutto un programma. Concediamogli comunque il perdono per l’infelice scelta delle parole: l’opposto di crescita economica è la recessione, e dubito che intendesse quello. D’altronde usare termini come tendenza storica all’accumulazione avrebbe fatto storcere il naso a sin troppi anticomunisti.

“Se l’economia non è per l’uomo, bisogna avere il coraggio di cambiarla”, dice il card. Oscar Maradiaga nel commentare il libro dei vaticanisti Tornielli e Galeazzi, e ricorda che <“>l’austerità è una virtù cristiana di cui tutti abbiamo bisogno, mentre quelle che chiede la troika sono misure durissime che fanno soffrire soprattutto i più poveri”.

Ripeto: poco importa se storicamente i primi a sostenere la Scuola di Chicago, grande sostenitrice dell’alleggerimento delle finanze statali, sino stati i cattolici in Cile!

Bel coraggio tirarsi fuori così.

Il libro “Questa economia uccide”, edito da Piemme, prende il titolo da una frase contenuta nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” ed è dedicato alla visione economica e sociale di Papa Francesco, come spiega uno degli autori, Andrea Tornielli:

“Oggi[?] viviamo l’assurdità che l’unico[?] criterio per vedere su uno Stato sta bene è lo spread  e non la vita reale dei cittadini e delle persone: se hanno servizi, se hanno lavoro…

E anche qui ci sarebbe un bel da dire sulle anticipazioni di questa giostra dell’astratto/concreto-finanza/produzione-crescita/crisi descritte nei libri del Capitale, delle analisi di Gramsci e della Scuola di Francoforte. ma dubito che a chi è interessato alla Dottrina Sociale della Chiesa questo interessi veramente:

E allora il Papa dice che dobbiamo fermarci da questa cultura dello scarto, facendoci riscoprire pagine della Dottrina sociale della Chiesa che, purtroppo, sono state un po’ dimenticate – questo bisogna dirlo”

Dottrina che difendendo lo status quo con un po’ di pietismo per far digerire la pillola… a ben poco servirebbe. Come se ci si potesse dimenticare del Patto Gentiloni e le faide novecentesche coi cristiano-sociali (o più recentemente colla Teologia della Liberazione)…

Oltre a raccogliere gli interventi e i documenti del Papa su economia, povertà e giustizia sociale, i due autori hanno messo a confronto anche esperti di economia e Dottrina sociale della Chiesa. Ancora Andrea Tornielli:

“Gli esperti che hanno parlato sono un’economista, un banchiere: non ci sono ricette tecniche [ben svegliati fiorellini!]. Il nostro piccolissimo tentativo sarebbe quello di poter aiutare in qualche modo affinché su questo si apra un confronto, perché la Dottrina sociale della Chiesa non è di per sé una ricetta, però ci aiuta a capire che il cattolico, anche agendo nel mondo della politica o in quello della finanza, non può accettare si sottostare alla regola che “business is business”, e dunque tutti fanno affari come tutti gli altri e poi magari se una persona è cristiana fa una parte di carità [come dire: se siete agenti economici fate economia… però non fate economia]. La domanda va anche posta in questa direzione: ovvero, se non sia necessario che intervenga qualcosa prima nel modo in cui una persona affronta e sta sul mercato, facendo l’imprenditore o agendo nel mondo della finanza”.

Dei lavoratori, di chi può vendere solo il proprio lavoro nessuna menzione. Stesso tenore il discorso Luigino Bruni, che si degna di ammettere esplicitamente i destinatari del suo discorso: le classi dominanti:

Molte imprese e organizzazioni nascono per cogliere un’opportunità di mercato, per rispondere a un bisogno, per erogare un servizio. Altre, invece, sono l’emanazione della personalità, delle passioni, degli ideali di una o più persone, che in quella loro organizzazione mettono e incarnano le parole più alte e i progetti più grandi della loro vita.

Discorso alienante: con le parole ed i progetti non si vive. Certo, si può scommettere sui titoli di possesso dei valori futuri eventualmente prodotti da un ramo della produzione materiale di merci (per gli umani: la speculazione finanziaria ed i titoli finanziari in genere), ma al momento di ritirare se non si ha merce e denaro è la Crisi del ’29. Qui si parte direttamente dall’ultima catena del sistema: la giustificazione ideologica,e la si pone come base limitandosi ad una sola classe.

Queste realtà, se vogliono durare oltre la vita del fondatore, hanno un bisogno vitale di membri creativi e innovativi. Ma una volta che queste organizzazioni e comunità crescono e si sviluppano, chi le ha generate finisce per dar vita a strutture di governo che impediscono l’emergere di nuova creatività, e così danno vita al loro declino.

Banale discorso già sufficientemente sviscerato dalle scienze sociali. Di cui viene ignorata ogni motivazione pratica alla buona (coerenza tra diretti e dirigenti e scopi condivisi…).

È questa una legge fondamentale di movimento della storia [e poi dicono tanto del reale o presunto storicismo marxista]: la prima creatività che genera organizzazioni e comunità a un certo punto inizia a produrre al suo interno gli anticorpi per proteggersi da nuove creatività e innovazioni che sarebbero essenziali per farle continuare a vivere[?!]. Una grave malattia auto-immune che colpisce molte organizzazioni e comunità. La sua radice sta nella cattiva gestione della paura di perdere l’originalità e l’identità specifica del “carisma” del fondatore.

Manco fossimo nel medioevo dove la retorica dei grandi uomini era particolarmente efficace…

I sintomi di questa malattia sono molti. Quello più visibile è l’emergere di una generale incapacità di attrarre nuove persone generative e di qualità. Quello più profondo è una carestia di eros, di passione e di desiderio, che si manifesta in una accidia organizzativa collettiva.

Sic! Con tutta la buona pace del lavoro normato, delle ore-lavoro contate, dell’efficienza, della produttività… si fa apparire il capitalismo come un’economia di Arti e di Botteghe!

Se i desideri e le passioni dei nuovi membri vengono orientati verso le forme storiche nelle quali il fondatore ha incarnato i suoi desideri e le sue passioni, si finisce per desiderare i frutti dell’albero, non l’albero che li ha generati.

Cosa particolarmente fastidiosa per lor signori capitalisti. Quando un impiegato o un addetto alla catena di montaggio pretende di spartirsi la sua fetta di guadagno effettivo si sta attentando ad una sua prerogativa.

Chi governa un’organizzazione e vuole che essa continui nel tempo, dovrebbe dire alle sue persone creative e giovani: «Non desiderare soltanto i frutti generati ieri che ti stanno affascinando oggi. Sii nuovo albero».

Discorso ancora più alienante: la metafora naturalistica nasconde il fatto che l’attuale società non è sempre esistita. Inoltre bel coraggio da parte di chi è ancora in capo pretendere uno sforzo del genere quando nel momento presente è lui e solo lui che ci guadagna!

L’unica vera possibilità perché un albero che ha portato buoni frutti (l’OMI, cioè un’organizzazione a movente ideale [cioè una cosa destinata a rimanere nell’ideale]) possa continuare a vivere e a fruttificare è diventare frutteto, bosco, foresta. Esporsi al vento, e accogliere tra i suoi rami le api che spargano i suoi semi e i suoi pollini nel terreno generando nuova vita.

E però una crescita infinita non può esserci. Eppure l’antifona qui pare proprio andare nel senso opposto.

San Francesco vive ancora dopo secoli perché il suo carisma è stato generativo di centinaia, migliaia di nuove comunità francescane, tutte uguali e tutte diverse, tutte di Francesco e tutte espressioni del genio dei tanti riformatori e riformatrici che con la loro creatività hanno fatto di quel primo albero un bosco fecondo.

Trasformando quel sovversivo anti-borghese in un simbolo come un’altro di un movimento ecclesiale come un altro che in quanto tale ben si guarda bene dal castigare i borghesi. In proposito di decadenza e ideali.

Una OMI può morire per sterilità, ma può morire anche diventando qualcosa che non ha più nulla del DNA e degli ideali del fondatore

E qui si entra in aperta contraddizione con la premessa. Sintomatico come venga identificato in modo molto calvinista un’intrapresa capitalista con un ordine religioso:

come sta avvenendo, per esempio, in troppe opere di ordini religiosi rilevate da imprese il cui unico scopo è il lucro o la rendita, senza più alcun rapporto col primo DNA carismatico.

(Sottinteso: che se ce l’avessero come nell’Opus Dei o CL andrebbe benissimo)

 All’origine della malattia auto-immune si ritrova quasi sempre l’errore dei dirigenti di utilizzare i membri più innovativi solo per funzioni e compiti esecutivi e funzionali, non consentendo loro di fiorire e di coltivare i propri talenti. […] La saggezza di governo del fondatore e/o dei suoi primi collaboratori sta nel far sì che le persone creative possano svilupparsi nella loro diversità, non trasformandole in ancelle al solo servizio del carisma del leader.

Insomma moralismo d’accatto. Ora in piena contraddizione con le parole di poche righe sopra. E così via fino all’assurdo finale:

Ma il declino non è la loro unica possibilità, perché la malattia organizzativa auto-immune può essere prevenuta, o quantomeno curata, anche se l’unica vera medicina è prenderne coscienza quando il processo è ancora all’inizio. La storia e il presente ci dicono che qualche volta i movimenti fioriscono dopo la morte del fondatore, le comunità risorgono con un passaggio generazionale, l’albero non muore e si moltiplica nel frutteto. Le organizzazioni, come tutta la vita vera, possono vivere più stagioni se muoiono e risorgono molte volte. Ma per imparare a risorgere occorre prima imparare a morire. Chi invece vuol salvare la vita, la perde. È la legge della vita, anche di quella delle organizzazioni che nascono dai nostri ideali più grandi.

Fallite riprendetevi: val bene comunque! Poco importa se la moraletta si riduce alle buone maniere o ad un pietismo pro forma senza alcun riferimento, questo sì, alla vita reale e materiale degli agenti coinvolti!

Nota a margine: curioso comunque in cui tutto questo moralizzare ci siano ancora dubbi sulla commissione papale allo IOR, sulla distinzione tra controllori e controllati e i troppi poteri al super-capitalista Pell.

 

1 pensiero su “La Chiesa cattolica e il moralismo in economia

  1. Compagno Z

    All’articolista di Avvenire che ciancia del traffico di armi mi piacerebbe chiedere cosa ne pensa della (cristianissima) Baronessa Caroline Cox che per fornire armi (tramite l’MI5) alle milizie sud -sudanesi di Salva Kiir (cristianissimo purelui) si e’ inventata i fantomatici Janjaweed, kattiffissimi musulmani a cavallo che schiavizzano i poveri indifesi cristiani: http://mazzetta.iobloggo.com/2440/la-pinocchia-inglese-che-inventa-il-sudan/&cid=312196

    Rispondi

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