Cassazione: omosessualità non è diritto di cronaca. Pontifex commenta con molta confusione.

Nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza secondo cui è diffamatorio rivelare la presunta omosessualità delle persone senza che queste siano d’accordo. La sentenza della Cassazione è più che giusta ed è coerente con un percorso fatto di norme e codici deontologici iniziato nel 1996.

Il solito Bruno Volpe (da ricordare che è avvocato e giornalista) affronta l’argomento con un articolo dal titolo «Cari gay, e adesso arresterete l’ “omofoba” Cassazione?».
Queste le parole del giornalista: «Nel fracasso della scena occupata giustamente da borse e spread, è passata quasi inosservata una importante decisione della Cassazione. Il motivo del contendere era una banale fattispecie di diffamazione. Ovvero, un Tizio aveva diffuso notizie riservate sul conto di Caio, spettegolando che questi fosse gay. Lo aveva fatto alla presenza di più persone e dunque, in ipotesi diffamatoria».
Difficile capirci qualcosa in questo modo. I fatti sono questi. Un giornale locale aveva riportato la notizia della separazione di due coniugi e – per il giornale – la causa della rottura era una presunta relazione omosessuale del marito. Il giornale non ha riportato i nomi dei coniugi ma erano presenti altri dati che aiutavano ad identificare facilmente i protagonisti della storia come le iniziali, le professioni ed il paese in cui era avvenuto il fatto.
La persona interessata si era sentita diffamata dall’articolo ed aveva denunciato il giornale: il fatto è arrivato in Cassazione che ha dato ragione al denunciante.
Quindi è il caso di diffamazione a mezzo stampa e non di «un Tizio che aveva diffuso notizie riservate sul conto di Caio, spettegolando che questi fosse gay».

Bruno Volpe continua: «Come ha argomentato la Cassazione? Che l’outing relativo all’omosessualità è diffamatorio. La Suprema Corte, prima di tutto, ha rilevato che mettere in piazza le faccende private di persone senza che vi sia un addentellato con la cronaca o esigenze reali di informazione, è diffamatorio. Poi ha anche detto che è diffamatorio comunque rendere nota la tendenza gay della persona. E qui viene il punto. Se rivelare che un soggetto è gay incarna la diffamazione (concetto negativo che implica lesione del diritto soggettivo all’onore e alla reputazione), significa che l’essere gay e omosessuale per il nostro ordinamento e il comune sentire, è cosa deplorevole. In sostanza: se l’outing avesse detto, Tizio è eterosessuale, che offesa ci sarebbe stata? Nessuna. Ma il dire che il soggetto è gay, oltre che non rivestire presupposti di pubblica utilità, è anche offensivo per l’interessato, il quale riceve un danno all’immagine. Il danno all’immagine si subisce per la diffusione di eventi o notizie negative. Pertanto, sia pur indirettamente, la Cassazione ha confermato, con autorevolezza, quanto Pontifex e tante persone di buon senso sostengono. La omosessualità, specie se rivendicata in forma esagerata, è negativa, danneggia l’uomo e addirittura lo ridicolizza, al punto che la legge lo protegge dalle fughe di notizie».
Questa è una interpretazione un po’ “tirata”. Prima di tutto, per commentare una sentenza sarebbe corretto riprendere la stessa in modo da non travisare i fatti.
Bisogna specificare che – dalla legge 675/96 (detta legge sulla privacy) in poi (d.lgs. 196/2003 e d.lgs. 69/2012) – la vita sessuale (omosessualità ma non solo) rientra tra i dati sensibili dell’individuo (art. 22 legge 675/1996) e non possono essere trattati senza il consenso scritto dell’interessato.
Ovviamente si è posto – al tempo – il dubbio se i cosiddetti “dati sensibili” (vita sessuale, stato di salute, convinzioni politiche, origini etniche, etc.) potessero essere oggetto delle inchieste dei giornalisti: in sostanza i giornalisti avevano il diritto di rivelare dati sensibili come la vita sessuale dell’individuo o bisognava proteggere la privacy dell’interessato? La legge 675/1996 ha richiesto (art. 25) al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti di dotarsi di un proprio codice deontologico che è stato presentato al Garante della Privacy nel 1998 (Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica).
Il codice deontologico è molto breve ed è composto solo da tredici articoli.
Uno di questi (art. 11) è veramente attinente al caso specifico. L’art. 11 infatti prevede che «Il giornalista si astiene dalla descrizione di abitudini sessuali riferite ad una determinata persona, identificata o identificabile»: nel caso specifico invece la persona era identificabile facilmente.
Inoltre – sempre all’articolo 11 del Codice deontologico – si prescrive che «la pubblicazione è ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica».
La Cassazione ha stabilito invece che la relazione del negoziante «è una situazione di fatto riconducibile alle scelte di vita privata» della parte lesa, quindi «non ha alcun rilievo sociale (almeno nella attribuzione del fatto a una persona ben individuata o facilmente individuabile) con la conseguenza che l’articolo in questione potrebbe aver violato, ad un tempo, la privacy della persona offesa e – attraverso tale violazione – la reputazione della stessa».
Cosa significa tutto questo in parole povere? Significa che un “comune mortale” (ossia che non riveste una posizione pubblica) ha il diritto a vedere tutelati i propri “dati sensibili”. Tra i dati sensibili le citate leggi includono la vita sessuale in tutte le sue forme. Quindi non è diffamatorio solamente scrivere che il signor X (che non ha una posizione pubblica) è omosessuale ma anche che è eterosessuale, feticista, sadomasochista, etc: non esiste nessun diritto di cronaca nel riportare notizie simili.

Ovviamente questo vale solo per persone che non hanno una rilevanza sociale o pubblica. Se si scoprisse – ad esempio – che un noto politico contrario da sempre ai diritti delle coppie omosessuali ha egli stesso una relazione omosessuale allora questo fatto assume rilievo sociale e quindi ci sarebbe “diritto di cronaca” e si potrebbe riportare il fatto con tanto di nomi e cognomi. La stessa cosa varrebbe per sedicenti giornalisti cattolici integralisti qualora si scoprisse che sono dediti allo stalking.

Volpe conclude con: «Davanti a questa sentenza, i soliti tromboni gay che cosa diranno? Ovviamente, che la Cassazione è retriva ed omofoba, of course». Credo che l’unica cosa che si possa dire è che la Cassazione ha stabilito che l’omosessualità (come qualsiasi altro aspetto che riguardi la vita sessuale) è un fatto esclusivamente privato ed – in assenza di un diritto di cronaca – bisogna tutelare la privacy dell’interessato: una scelta avviata dal legislatore sin dal lontano 1996.
Un avvocato e giornalista forse dovrebbe saperlo…..

Cagliostro
http://alessandrocagliostro.wordpress.com/
@Cagliostro1743

20 pensieri su “Cassazione: omosessualità non è diritto di cronaca. Pontifex commenta con molta confusione.

  1. Questione di cervello

    La Cassazione ha sanzionato l’intento denigratorio, palese, nell’utilizzo dell’orientamento sessuale per qualificare la vittima. Non ha sanzionato l’omosessualità in quanto tale. C’è una bella differenza. Mi rendo conto che per chi dirige Pontifex sia una questione di cervello seria capire la differenza. O meglio, sarebbe una questione di cervello capire che la comunicazione è fatta da tante interazioni e che l’intenzione comunicativa, per loro è a senso unico…Casomai sarebbe interessante valutare come mai a livello sociale l’omosessualità viene configurata come “elemento da denigrare”, forse perchè esistono siti come Pontifex e DentroSalerno che fanno apologetica in tal senso?

    Rispondi
    1. admin

      In passato sia Bruno Volpe che il suo amichetto Carletto Di Pietro si sono rivolti a me indicandomi come un “omosessualista”. Non ho mai capito il perchè di queste loro uscite e non ho mai replicato alle loro affermazioni, perchè dal mio punto di vista il mio operato come admin di questo sito non ha nulla a che vedere con il mio orientamento sessuale. Ma in effetti, ripensando agli eventi del passato, risulta evidente che per questi due figuri l’essere omosessuale viene equiparato ad una offesa. Poveracci. 🙂

      Rispondi
      1. Questione di cervello

        Credo di si, per loro è un’offesa. Ti risparmio i risvolti psicologici che ciò suggerisce, possono essere molti e manifestarsi in tanti altri modi. In ogni caso non hanno capito molto della sentenza, o meglio, hanno capito quello che volevano. Il che non è detto che poi non sia la stessa cosa…

        Rispondi
        1. StevenY2J

          Sono perfettamente d’accordo. La solita superficialità di Pontifex – ormai ben nota – ha letto dalla sentenza in questione solo quello che serviva per tirare acqua al proprio mulino, decontestualizzando il fatto concreto.
          Bisogna fare, peraltro, due osservazioni:
          1. un termine o un gesto sono “diffamatori” soltanto se letti nel contesto concreto. La Cassazione aveva considerato ingiuria (o minaccia, ora non ricordo con precisione) anche il “lei non sa chi sono io”, per com’era stato pronunciato.
          In base alle circostanze, ad esempio, anche essere definito “cattolico” potrebbe essere diffamatorio se, con questo termine, io voglio far passare una persona per bigotta o sempliciotta. Anche “ateo” o anche “eterosessuale”.
          La diffamazione consiste nel ledere la reputazione altrui, anche con termini apparentemente neutri. Quindi, il fatto che dire omosessuale a qualcuno costituisca, nelle circostanze, diffamazione, non é sufficiente per dedurne che l’omosessualità é negativa.
          2. La Corte di Cassazione, come tutta la giurisprudenza, si adatta comunque al sentire sociale. E’ evidente che, in Italia, fare outing comporta, pur sempre, un minimo rischio di emarginazione e derisione per colpa di alcuni ignoranti. Dunque, il termine “gay” può essere diffamatorio quando espone una persona a tale rischio contro la sua volontà.
          Ma questo non significa che la Corte di Cassazione sia omofoba. Semplicemente, prende atto del fatto che, in Italia, i gay sono ancora, spesso, vittime di derisione, scherno ed emarginazione. Non si tratta di un giudizio, ma di un dato di fatto. La colpa? Ovviamente, di tanti ignoranti, cattolici “tradizionalisti” ma ipocriti ed intolleranti che non hanno ancora capito bene cosa sia il rispetto.

          La Corte di Cassazione non é il Parlamento. Prende atto di questo trend italiano e considera che, se una persona viene definita “gay” con intento diffamatorio, é stato commesso un reato. Nello stesso modo, si potrebbe ragionare per il termine “down” o “handicappato”. Possono costituire diffamazione proprio perché esistono tanti ignoranti che non hanno ancora imparato le basi dell’educazione e del rispetto.
          Sinceramente, non capisco perché Bruno Volpe gongoli tanto per questa sentenza. La Corte ha semplicemente detto “dare a qualcuno del gay costituisce un reato perché in Italia esistono tante persone ignoranti e omofobe.”

          Rispondi
          1. Cagliostro Autore articolo

            Steven,
            sono parzialmente d’accordo con te anche se un po’ ti contraddici.
            E’ giustissimo che le sentenze debbano essere considerate nella fattispecie del fatto concreto.
            Quindi – se qualcuno mi chiamasse “papalino” per me sarebbe altamente offensivo mentre per altre persone potrebbe essere un complimento.
            Omosessuale” non è di per sé un insulto. Ovvio che se una persona (anche omosessuale) venisse apostrofata come “frocio”, etc. ci sarebbe il reato di insulto perché quell’epiteto è altamente negativo.
            Però attenti bene che diffamazione ed insulto non sono la stessa cosa: il caso specifico riguarda la diffamazione.
            Però – e su questo non sono d’accordo con te – la diffamazione in questo caso non consiste nell’aver rivelato – a mezzo stampa – di una relazione omosessuale ma di aver rivelato – molto più genericamente – una relazione extraconiugale.
            Prendiamo ad esempio un uomo regolarmente sposato con una relazione extraconiugale decisamente eterosessuale. La moglie lo scopre, chiede il divorzio e la notizia finisce – come in questo caso – sui giornali: anche in questo caso ci sarebbe diffamazione nonostante la relazione sia eterosessuale.
            Quindi la Corte non ha detto – come affermi tu – “dare a qualcuno del gay costituisce un reato perché in Italia esistono tante persone ignoranti e omofobe” ma molto più semplicemente che i fatti privati – etero o omo – devono restare privati a meno che non ci sia un diritto di cronaca: in questo caso non c’era.

          2. StevenY2J

            Certo, quello che dici é giustissimo.
            Il mio discorso era un po’ più generale e prescinde da questa sentenza della Corte (che non ho letto).
            Nel caso di specie, entra in gioco anche la privacy. In generale, però, supponendo che una persona sia veramente gay, in una nazione come l’Italia dove una buona percentuale di persone sono ancora bigotte/ignoranti/ipocrite/cattoliche tradizionaliste/neofasciste… il termine “omosessuale” potrebbe effettivamente ledere ancora la reputazione (almeno per chi non ha fatto outing), esattamente come il termine “handicappato” o “down” o, addirittura, “ateo” (che, in certi contesti, ha una valenza assolutamente negativa). Termini neutri che, però, stigmatizzano una persona.

            Probabilmente, non é il caso di questa sentenza – e qui sta la solita superficialità di Pontifex – però é emblematica la differenza fra l’Italia, dove due omosessuali devono quasi nascondersi e – ad esempio – l’Olanda dove posso circolare tranquillamente mano nella mano o baciarsi nei ristoranti senza timore di essere massacrati di botte.

            La giurisprudenza non esprime apprezzamenti o giudizi di valore ma si limita a raccogliere i dati della realtà. Se io insulto una persona per la strada e la chiamo “handicappato” commetto il reato di ingiuria.

            Nello stesso modo, divulgare l’orientamento (omo)sessuale di una persona, al di la della privacy, in uno Stato come l’Italia può causare seri problemi a livello lavorativo, famigliare e sociale e, quindi, toccare anche la reputazione. In tal senso, il “coming out” dev’essere spontaneo (e non subito) perché comporta pur sempre un rischio di emarginazione/derisione. Il tutto a causa della mentalità italiana ancora retrograda rispetto ad altri Paesi.

            Quello che non capisco é per quale ragione questa sentenza (o qualunque altra) dovrebbe, in qualche modo, avvalorare le tesi omofobe di Pontifex.
            Il fatto che in Italia termini neutri come “omosessuale”, “handicappato”,”ateo” o simili siano utilizzati come insulti e possano compromettere la reputazione, dovrebbe essere motivo di vergogna, non certo di vanto.

          3. StevenY2J

            In pratica il ragionamento (superficiale) di Bruno Volpe é il seguente:
            1. la Cassazione dice che il termine “omosessuale” é diffamatorio
            2. dunque, l’omosessualità é sbagliata.
            E’ un ragionamento illogico e fuorviante che dimostra, come sempre, che questo avvocato non pare aver capito molto i fondamenti del diritto positivo.

            Il ragionamento corretto é:
            1. in Italia, una buona percentuale di ignoranti vede l’omosessualità come una vergogna, una malattia o un disonore (le tesi assurde di Pontifex et similia)
            2. la Corte di Cassazione prende atto di questo
            3. definire una persona “omosessuale” può esporre ai veleni di queste persone ignoranti (che in Italia sono parecchie)
            4. dunque, il termine “omosessuale” può avere carattere discriminatorio a causa di queste conseguenze pregiudizievoli, dovute all’ignoranza e al bigottismo di tanti italiani.

            Insomma, le sentenze non sono la causa di un fenomeno (non sono leggi) ma la presa di coscienza di realtà e situazioni concrete, tradotte in termini giuridici.

          4. Faggot79

            In pratica è come se tu dicessi che ogni volta che commento qui dentro insulto me stesso. Inutile dire che non sono d’accordo.
            Ti cito una battuta di un film di Ferzan Ozpetek:

            – Lei è percaso come loro?
            – Come loro? In che senso?
            – Beh sì… un gay.
            – Oh no… io sono un frocio. Sa’ sono un tipo all’antica.

  2. diego

    allora se i giornali rendono facilmente intentificabile il BV di Murat avvocato 50enne cosa succede? Non vengono denunciati perchè fare stalking e appendere fegati non è deplorevole?

    Rispondi
  3. Dark_Ansem

    invece la cassazione ha fatto benissimo. son cose private ed anche delicate per un paese bigottone come questo. se Brunello fa gli interessi della minoranza gay ora… il mondo va al contrario!

    Rispondi
  4. Cagliostro Autore articolo

    Steven,
    ti rispondo qui perché vedo che – mano a mano – si replica i commenti “dimagriscono” a livello grafico.
    E’ correttissimo – se ho interpretato correttamente il tuo pensiero – che i giudici non siano chiamati ad applicare asetticamente le leggi ma siano chiamati anche ad interpretare la realtà in base al tempo ed al luogo. Faccio un esempio concreto. Prendiamo il reato di “atti osceni in luogo pubblico”.
    Oggi nessuno si sognerebbe di denunciare per questo reato una donna che si espone in topless su una spiaggia pubblica: magari 30 anni fa non era così. Cos’è cambiato? La percezione della morale.
    Son d’accordo che oggi ed in Italia dichiararsi gay non è ancora facilissimo. Di certo è più facile di 10 o 20 anni fa ma la situazione – di certo – è peggiore che in Olanda.
    “Quello che non capisco é per quale ragione questa sentenza (o qualunque altra) dovrebbe, in qualche modo, avvalorare le tesi omofobe di Pontifex”. Dici bene.
    Ci sono due livelli di lettura: uno superficiale ed uno più approfondito.
    Prendo una sentenza di qualche anno fa sempre della Cassazione che stabilì che apostrofare una persona come “gay” sia un reato. I “volpisti” della situazione blaterebbero che la Cassazione ritiene il termine gay offensivo e quindi sarebbe ufficializzata una “anormalità” e corbellerie simili.
    Il discorso invece era totalmente opposto. Essendo lo status di gay una situazione di cui non c’è nulla di vergognarsi, usare quel termine con un intento denigratorio ed esprimendo riprovazione per l’orientamento omosessuale è un reato.
    Ammetti ad esempio che tu – rivolgendoti ad una persona – lo apostrofassi con un: “Sei proprio un meridionale” con un chiaro intento denigratorio. C’è da vergognarsi nell’essere meridionale? Assolutamente no. Ovviamente tu avresti usato quel termine con una volontà denigratoria e questo è reato (per la gioia di tutti i meridionali). Quindi non viene punita la parola in sé ma anche se c’era volontà di denigrare (anche usando termini neutri come omosessuale, ateo, meridionale, etc.). Spero di non aver fatto confusione.
    Hai ricostruito bene (nel tuo secondo commento) il ragionamento di Volpe ma un po’ meno bene (almeno a livello giuridico) il ragionamento della Cassazione.
    Secondo te (e questo è vero) i tribunali (come la Cassazione) devono interpretare la realtà.
    Nel caso specifico però c’è poco da interpretare. La legge 675/96 e seguenti stabiliscono che la vita sessuale (omosessuale, eterosessuale, feticismo, etc.) sia un dato sensibile (ossia fatto privato).
    Il percorso della Cassazione è stato più o meno questo:
    1. L’omosessualità è un dato sensibile così come ogni aspetto della vita sessuale di un individuo (legge 675/96 e seguenti e Codice deontologico giornalisti);
    2. La persona in questione era identificabile? Si.
    3. La persona aveva una posizione pubblica che giustificava il fatto che fosse identificabile? No.
    4. Quindi scatta la diffamazione
    Insomma i giudici avevano ben poco da interpretare: il suo onore è stato leso a prescindere che la relazione fosse omosex (anche avere una relazione extraconiugale etero è lesiva dell’onore).
    Se avessi preso la stessa legge e l’avessi applicata per un caso simile avvenuto in Olanda (dove il clima sociale sull’omosessualità è diverso), la sentenza sarebbe stata identica.

    Rispondi
    1. StevenY2J

      Ciao Cagliostro, il tuo discorso é perfetto, non fa proprio una piega. Io, facendo un ragionamento più generale che fa astrazione da questa sentenza specifica (dove, come sottolinei tu, entra in gioco la privacy), volevo soltanto evidenziare che il termine “gay” o “omosessuale” (a prescindere dai risvolti che riguardano la riservatezza privata o l’identità personale) può essere effettivamente utilizzato con intenti denigratori (e, quindi, costituire diffamazione) in un Paese come l’Italia.
      Ho cercato di spiegare che la Cassazione non esprime (in generale) nessuna valutazione di “normalità” o “anormalità” (é questa l’assurda deduzione di Bruno Volpe). Prende semplicemente atto che, in Italia, se una persona viene definita “gay” questo può costituire un’offesa perché, in questo Stato, i gay sono ancora derisi e discriminati. Esattamente come il termine “meridionale” può essere utilizzato con fini denigratori, come sottolinei tu. Perché? perché ci sono moltissimi ignoranti che ancora discriminano fra “terroni” e “polentoni”.
      E’ chiaro, poi, che anche in Olanda, ad esempio, si porrebbe un problema di privacy o di identità personale. Credo, tuttavia, che in uno Stato dove l’omosessualità é perfettamente accettata saranno molte meno le occasioni di insulto basate su questo orientamento sessuale che, appunto, é pacificamente accettato. Così come, in Olanda, il termine “meridionale” non viene usato come insulto, dato che non esiste la contrapposizione nord-sud che domina la nostra penisola.
      Constato solo che é molto triste rilevare, ancora una volta, che l’Italia resta l’ultima ruota del carro in fatto di apertura mentale e integrazione. La giurisprudenza, ripeto, prende atto di questo e metterle in bocca giudizi o valutazioni che non le competono e che non ha mai dato, come fa Bruno Volpe, é scorretto e superficiale. Riprendendo le parole che lo stesso Volpe rivolge questa mattina a Roberto Saviano potremmo dire che “Bruno VOlpe non perde occasione per aprire bocca su cose che non gli competono.”

      P.S. nel frattempo, a Milano, é stato approvato il registro per le unioni civili. Una buona notizia e un passo avanti di civiltà.

      Rispondi
    1. admin

      Ma principalmente, che cavolo fa un “neuroeticista” nella vita?
      E poi, dove si consegue il titolo di “neuroeticista”? Fa parte di qualche corso di laurea?

      Cercando online il termine sembra usato solo dagli UCCRociati…

      Rispondi
      1. Galabel

        Boh?Bio-eticista si,ma neuro-eticista credo sia inventato..fra l’altro sfugge a che pro..forse per far figo…
        Concordo su quanto ha scritto sotto Cagliostro..legendo l’articolo sono giunto pressocchè alle medesime conclusioni..
        Ma i commenti son quelli che altro che subdoli,racchiudono in se qualcosa di impressionante…
        Oltre Santoni,un tal Piero scrive:
        “basta semplicemente guardare la TV!
        Essere gay e’ fico, e’ ganzo, lo sono moltissimi attori di Hollywood, cantanti, nei film il gay e’ sempre il piu’ saggio, il piu’ sensibile, il piu’ bravo”
        Secondo questo uno diventerebbe gay o quantomeno sarebbe portato ad esserlo perchè fa figo…
        😀 😀 😀

        Rispondi
        1. Galabel

          P.S.
          Quel ragazzo che ha fatto la strage al cinema in USA alla prima di Batman credo fosse un neuroscienziato..il neuroeticista forse doveva essere quello che gli diceva di starsene in casa…
          😀

          Rispondi
    2. Cagliostro Autore articolo

      Il succo del discorso degli uccretini è molto semplice e subdolo.
      Non è stato individuato il gene gay (ma credo neanche quello etero) e quindi l’origine dell’omosessualità sarebbe psicologica e sociologica.
      Prima di tutto se una persona parlasse di “condizionamenti sociologici” (come scritto nell’articolo) sarebbe bocciata immediatamente a qualsiasi esame universitario o liceale. La sociologia è la scienza che studia i fenomeno sociali. Al limite si può scrivere di “condizionamenti sociali”.
      Inoltre ammesso e non concesso che l’omosessualità abbia origine da condizionamenti sociali (e non sto dicendo che sia vero: sia chiaro) il campo sarebbe sempre quello della psicologia. La sociologia c’entra come i cavoli a merenda.
      Comunque molto subdolamente il discorso è: l’origine è psicologica quindi si può intervenire con le terapie riparative (chissenefrega che spingono al suicidio) e risolviamo tutto……intellettualmente criminale.
      Ovviamente stai certo che se fosse trovato il gene gay stai sicuro che sarebbe teorizzata la liceità dell’aborto (allo stesso modo come se fosse trovato il gene ateistico).

      Rispondi
  5. Andrea Laforgia

    “E qui viene il punto. Se rivelare che un soggetto è gay incarna la diffamazione (concetto negativo che implica lesione del diritto soggettivo all’onore e alla reputazione), significa che l’essere gay e omosessuale per il nostro ordinamento e il comune sentire, è cosa deplorevole.”

    Ah ah ah ah ah ah ah ah ah…. questa deduzione volpesca è veramente meravigliosa.

    Rispondi

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