Chiesa. Divorzio breve: chi è senza peccato scagli la prima pietra

Da Locri il Presidente della CEI, Card. Bagnasco si è lanciato in difesa della famiglia sostenendo che: “Se la famiglia è un bene per i suoi membri, lo è anche per la collettività. Per questo la società deve difenderla, sostenerla e promuoverla; e non deve contribuire a renderla fragile in nessun modo, ivi compreso il cosiddetto divorzio breve“.

Il riferimento – non a caso – è alla legge sul “divorzio breve” che è in discussione in Parlamento. Questa legge prevede che una coppia – senza prole ed in presenza di un accordo consensuale – possa sciogliere il matrimonio nel giro di un anno invece dei tre necessari sino ad ora.

L’82% degli Italiani – come rileva il “Rapporto Italia 2012” dell’Eurispes – è a favore di questo provvedimento.

La Chiesa invece non manca occasione per far sentire la sua disapprovazione ed il suo disappunto sul divorzio sin dalla sua introduzione in Italia nel 1970.

Ovviamente la Chiesa può avere le sue ragioni per essere contraria al divorzio e non deve necessariamente adeguarsi al sentimento comune degli Italiani.

C’è da domandarsi solamente se la Chiesa sia coerente con quanto sostiene.

Infatti, prima ancora che il divorzio fosse introdotto in Italia persone facoltose (caso celebre quello di Guglielmo Marconi) potevano far annullare i loro matrimoni presso i Tribunali ecclesiastici della Sacra Rota che dichiarava “nulli” (ossia come “mai celebrati”) i matrimoni.

La nullità del matrimonio non aveva (e tuttora è così) solo effetti religiosi ma anche civili.

Le cause per dichiarare un matrimonio “nullo” sono diverse.

L’impotenza “copulativa” è uno di questi, purchè si riesca a dimostrare che sia antecedente al matrimonio e perpetua; seguono l’incapacità per insufficiente uso di ragione, incapacità per difetto di discrezione di giudizio, incapacità per cause di natura psichica, ignoranza, errore, dolo, simulazione, condizione e timore.

Perciò – nel caso della simulazione (causa di nullità addirittura nel 45% dei casi secondo una inchiesta di Report) – è sufficiente che uno dei coniugi affermi di aver avuto una riserva mentale al momento del matrimonio (per cui escludeva l’indissolubilità del matrimonio) per dichiarare il matrimonio “nullo”.

Sebbene il matrimonio dovrebbe essere dichiarato nullo in pochi casi eccezionali attualmente il 98% della cause davanti ai Tribunali ecclesiastici finisce con una dichiarazione di nullità (fonte Report).

I vantaggi dell’annullamento (rispetto ad un normale divorzio civile) sono consistenti. Il coniuge che ottiene l’annullamento, a differenza del divorziato, non è più tenuto a versare gli alimenti nei confronti dell’ex moglie: una differenza non da poco.

Questo avviene perché l’ordinamento italiano recepisce la sentenza della Sacra Rota attraverso un processo definito “delibazione”.

Ciò ha provocato un vero “boom” di annullamenti di matrimoni. Secondo Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti civili italiani: «Ormai un matrimonio fallito su cinque in Italia viene sciolto da un Tribunale ecclesiastico. Le richieste stanno aumentando da tre anni del 20-25 per cento».

I numeri sono molto chiari: al 1 gennaio 2008 le cause aperte nella sola Sacra Rota romana erano 421, contro le 331 del 2003 e le 215 del 1999 (fonte Corriere). La situazione non è diversa altrove. Nel solo Tribunale Ecclesiastico di Bologna le cause di dichiarazione di nullità di matrimoni sono passate da 357 del 1997 a 539 del 2001 (+34 % in quattro anni) secondo quanto ha rivelato Report.

Attualmente le tariffe per ricorrere ai Tribunali Ecclesiastici sono più economiche anche perché i tribunali ecclesiastici attingono – dal 1998 – dal fondo dell’8 per 1000 dell’irpef. Nel solo 2009 la Chiesa ha destinato ai Tribunali Ecclesiastici Regionali 10.500.000 euro di quanto percepito con l’8 per mille.

Relativamente a ciò il Sacerdote Stefano Ottani, Presidente del Tribunale Ecclesiastico Flaminio, alla domanda di Report sul perché le tariffe per proporre una causa al tribunale ecclesiastico siano diminuite ha risposto che: “La Chiesa prende atto della storia e di fronte ad una crescita cosi evidente dei fallimenti matrimoniali anche in una società di tradizione cristiana la Chiesa non può disinteressarsi di questa situazione e di fatto è intervenuta”.

C’è da dire che la Cassazione ha posto un freno al recepimento automatico delle cause di nullità: con la sentenza 1343 del 20 gennaio 2011 ha stabilito che i matrimoni di lungo corso annullati dalla Chiesa non sono annullabili automaticamente dallo Stato. Infatti – sempre per l’avvocato Gassani – il 40% delle sentenze della Sacra Rota non vengono trascritte automaticamente nell’ordinamento italiano.

Perciò sarebbe utile che la Chiesa italiana prima di criticare l’adozione di taluni provvedimenti legislativi verificasse se il suo comportamento è coerente con le proprie azioni: nel caso del divorzio l’atteggiamento della Chiesa è sicuramente ipocrita.

Insomma se – usando le parole di Bagnasco – la Chiesa ha tanto a cuore le sorti della famiglia e pensa che la società “non deve contribuire a renderla fragile in nessun modo” basterebbe che dessero il buon esempio eliminando le dichiarazioni di nullità dei matrimoni da parte dei Tribunali ecclesiastici.

Il Laicista

http://vocelaicista.wordpress.com/

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