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Notizie ProVita: “False, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico” (Art. 656 C.P.)

Buongiorno a tutti.

Come certamente saprete pochi giorni fa è stato approvato il DDL cosiddetto “Buona Scuola” di riforma del sistema scolastico italiano. Una riforma che ha incontrato la dura opposizione anche da parte degli ultracattolici.

Ma se vi state chiedendo “Ohibò si sono svegliati tutto d’un colpo? A che si oppongono? al nuovo, ennesimo, maxi-regalone alle scuole private, in barba all’articolo 33 della Costituzione? oppure le 400 ore lavorative gratis regalate a Confindustria?”, siete fuori strada. Continua a leggere

Virginia Lalli: “Dove l’aborto è più libero le donne muoiono di più”. È veramente così?

Nonostante siano passati 32 anni dall’approvazione della legge 194 che regolamenta l’aborto in Italia e sebbene gli aborti in questo terzo di secolo si siano in pratica dimezzati, in Italia resiste un movimento che vorrebbe rendere l’aborto illegale o quanto meno rimandarlo nella clandestinità.
A sostegno di tale tesi Virginia Lalli sulla rivista Notizie Pro Vita propone l’articolo (ripubblicato dai nostri amici uccrociati) “Dove l’aborto è libero le donne muoiono di più” e si richiama all’articolo “Abortionists are not held accountable for mistake” di Lenora W. Berning pubblicato sul sito pro-life afterabortion.org dell’Elliott Institute, un’organizzazione che ha i tra i suoi scopi quello di restringere l’accesso all’aborto.

Così scrive Virginia Lalli: «Le cliniche abortiste (negli Usa, ndr), che offrono normalmente solo quel servizio, cioè non sono ospedali polifunzionali, mantengono i medici abortisti liberi da responsabilità per eventuali complicazioni. Coloro che sono favorevoli all’aborto su richiesta sostengono che il tasso di complicanze riportato a seguito di aborti è basso. Ma ciò accade non perché ci siano poche complicazioni, ma perché le complicazioni sono sottostimate. E sono sottostimate, perché non c’è un sistema organizzato oggi atto a quantificare le ripercussioni dannose dell’aborto. L’industria dell’aborto ha mantenuto gli abortisti liberi da ogni tipo di supervisione, regolamentazione, e da responsabilità che sono invece normali per tutto il resto dei professionisti sanitari». Ovviamente la situazione statunitense non è per niente applicabile al contesto italiano dove gli aborti sono eseguiti in ospedali pubblici polifunzionali (e non cliniche private) in cui i medici sono responsabili del loro operato e dove ogni anno viene pubblicata una relazione da parte del ministero della Sanità con le percentuali di complicazioni a seguito di interruzione volontaria di gravidanza. Continua a leggere