Maggio: il “mensis horribilis” per gli ultras cattolici

Buongiorno a tutti.

Il mese di maggio che ci siamo da pochi giorni lasciati alle spalle è non è stato particolarmente propizio per i tradizionalisti di casa nostra.

Infatti, durante la mensilità appena trascorsa, solitamente già di suo dispensatrice di brutti ricordi per i cattonazi, sono avvenuti due fatti che, complice il grande spazio dedicato alla campagna elettorale per le elezioni europee ed i relativi risultati, poca risonanza hanno avuto sui media nazionali: la nuova bocciatura del Vaticano da parte di un organismo internazionale (il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura) ed il respingimento da parte della Commissione Europea della petizione “Uno di noi” promossa da diverse associazioni pro-life europee.

Se la copertura dei media mainstream ha latitato, così non è stato per le testate cattotalebane che hanno reagito nel loro solito modo ovvero inventando giustificazioni e/o alibi patetici quando non vere e proprie frescacce, ed i toni utilizzati sono stati appena un filino più pacati rispetto alle reazioni che sono seguite alla pubblicazione del rapporto ONU sulla pedofilia ed alla sentenza della Corte Costituzionale sulla Legge 40.

Per quanto riguarda la prima questione, ad indorare l’amarissima pillola ci hanno pensato i ciellini di Tempi.it, non senza una brusca inversione di marcia in corsa: se Leone Grotti, con una intervista del 23 maggio a Mons. Tomasi (già protagonista della pessima figura rimediata dalla Santa Sede all’audizione di Ginevra all’inizio dell’anno), con un atto di “vittimismo preventivo”, inizialmente aveva messo le mani avanti parlando di “nuovo processo Onu contro la Chiesa”, poche ore dopo smorza (parzialmente) i toni descrivendo il rapporto del Comitato Onu come una sorta di “disco verde” alla Santa Sede.

Però, si sa, il diavolo sta nei dettagli che in questo caso sono grossi come macigni. Grotti infatti fa riferimento, nel suo secondo articolo, ad una non meglio specificata “versione non editata” del rapporto del Comitato, ottenuta solo-Odino-sa-come in anteprima dalla redazione di Tempi.it.

Una versione che solo i ciellini tempiati hanno visto dato che non se ne trova traccia da nessuna parte, mentre quella disponibile (in inglese) sul sito dell’Alto Commissariato per i diritti umani racconta una storia ben diversa.

Come si può constatare dando una rapida occhiata al documento lungo 8 pagine, dopo il preambolo di rito e (pochi) rilievi positivi, ben 6 pagine e mezza sono occupate dai “principali punti critici e di raccomandazione” alla Città del Vaticano. Punti che non sono per nulla secondari, a dispetto di quanto sostiene Grotti.

Ad esempio al paragrafo 8 il Comitato scrive: “The Committee notes the Interpretative Declaration made by the Holy See in acceding to the Convention and statements in the report of the State party reinforced by the delegation during the dialogue, expressing the view that the Convention applies exclusively to the Vatican City State. […] The Committee’s General Comment No. 2 recalls that States bear international responsibility for the acts and omissions of their officials and others acting in an official capacity or acting on behalf of the State, in conjunction with the State, under its direction or control, or otherwise under colour of law. This responsibility extends to actions and omissions of the public servants of a State party deployed on operations abroad. […] The Committee notes that the Interpretative Declaration made by the State party is not consistent with the above-mentioned norms under their own law as well as the Convention. The Committee invites the State party to view the Interpretative Declaration in light of the aforementioned considerations, not excluding the possibility of reinterpretation or withdrawal. The Committee recalls that the State party’s obligations under the Convention concern all public officials of the State party and other persons acting in an official capacity or under colour of law. These obligations concern the actions and omissions of such persons wherever they exercise effective control over persons or territory.  (NdA: il grassetto era già presente nel testo originario).

Traduzione: “Il Comitato fa notare che la Dichiarazione Interpretativa elaborata dalla Santa Sede nell’aderire alla Convenzione e le dichiarazioni contenute nel rapporto dello Stato Membro ribadite dalla delegazione durante il colloquio illustrano l’opinione che la Convenzione si applichi esclusivamente alla Città del Vaticano. […] Il Rilievo Generico n. 2 del Comitato ricorda che gli Stati sono internazionalmente responsabili per le azioni o le omissioni dei loro funzionari o di chiunque agisca nell’esercizio delle proprie funzioni o nell’interesse dello Stato, in accordo con esso, o sotto la sua direzione o controllo, o in qualsiasi altro modo sotto l’apparenza della legalità. Questa responsabilità si estende alle azioni od omissioni dei pubblici dipendenti dello Stato che operano all’estero. […] Il Comitato fa notare che la Dichiarazione Interpretativa elaborata dallo Stato membro non è conforme alle summenzionate norme sia in base alle sue stesse leggi né alla Convenzione. Il Comitato invita lo Stato membro a rivedere la Dichiarazione Interpretativa alle luce delle summenzionate considerazioni, senza escludere la possibilità di una nuova interpretazione o la ritrattazione di quella presente. Il Comitato ricorda allo Stato membro che gli oneri stabiliti dalla Convenzione riguardano tutti i pubblici funzionari dello Stato membro e ogni altra persona nell’esercizio delle proprie funzioni o sotto l’apparenza della legalità. Questi oneri riguardano le azioni o le omissioni di queste persone ovunque esercitino un effettivo controllo su persone o territori.”

In pratica il Comitato Onu ha smontato l’interpretazione della Santa Sede (già proposta all’audizione di Ginevra e bellamente smentita già allora) secondo cui chi non risiede nella Città del Vaticano non ne è cittadino e pertanto la Chiesa non avrebbe alcun responsabilità di loro comportamenti né sarebbe tenuta a divulgare alle competenti autorità ciò che sa a proposito. Le norme della Convenzione però dicono esattamente il contrario ed il Comitato non ha potuto fare altro che ricordarlo allo “smemorato” diretto interessato.

Ed a proposito di pedofilia, al paragrafo 10 si legge: “

[…] In this regard, the Committee regrets the State party did not provide requested data on the number of cases in which the State party provided information to civil authorities in the places where the cases arose and in the places where the priests concerned are currently located. The Committee welcomes the assurance made by the delegation that Catholic clergy are instructed to report allegations of sexual abuse of minors perpetrated by clergy members to the civil authorities as well as to the Congregation for the Doctrine of the Faith. Nevertheless, the Committee is concerned by reports that the State party’s officials resist the principle of mandatory reporting of such allegations to civil authorities.

The Committee is further concerned by numerous reports of cases in which clergy accused or convicted by civil authorities of such offenses were transferred to other dioceses and institutions where they remained in contact with minors and others who are vulnerable, and in some cases committed abuse in their subsequent placements. Such allegations appear in the reports of commissions and investigations undertaken in diverse countries. During the dialogue with the State party, the Committee raised the case of Father Joseph Jeyapaul, the case of Father Peter Kramer, and the findings reached by a grand jury in Philadelphia, USA, in 2005, as illustrative of these concerns. “

Trad. : “[…] A questo riguardo, il Comitato si rammarica del fatto che lo Stato membro non abbia fornito i dati richiesti sul numero di casi [NdA: di pedofilia] in cui lo Stato membro ha fornito informazioni alle autorità civili di quei luoghi ove si sono verificati gli episodi e di quei luoghi ove i sacerdoti interessati si trovano attualmente. Il Comitato ben accoglie la rassicurazione fatta dalla Delegazione che il Clero Cattolico ha ricevuto istruzioni di inoltrare le accuse di abusi sessuali su minori perpetrati da membri del clero cattolico alle autorità civili così come alla Congregazione per la dottrina della fede. Nonostante ciò, il Comitato è preoccupato da notizie secondo cui lo Stato membro fa resistenza al principio di obbligatoria segnalazione di tali accuse alle autorità civili.

Il Comitato è altresì preoccupato da numerose notizie di casi in cui chierici accusati o condannati da autorità civili per tali reati siano stati trasferiti presso altre diocesi o istituzioni dove sono rimasti in contatto con minori ed altri soggetti vulnerabili ed in molti casi hanno commesso abusi nelle loro nuove sedi. Simili accuse appaiono in rapporti di commissioni d’inchiesta ed indagini intraprese in diversi paesi. Durante il colloquio con lo Stato membro il Comitato ha sollevato i casi di Padre Joseph Jeyapaul, il caso di Padre Peter Kramer e le evidenze prodotte di fronte ad un Gran Giurì a Filadelfia (USA), nel 2005 come esempi di queste preoccupazioni.”

Potrei continuare oltre ma mi limito a segnalare i paragrafi, in cui il Comitato invita la Santa Sede a fare “passi concreti” per assicurare la piena collaborazione nei procedimenti civili e penali che vedano imputati membri del clero cattolico per violazioni della Convenzione (§12), a rivedere i trattati ed i concordati con altri paesi che prevedono immunità dalle procedure giudiziarie per chi ha commesso violazioni della Convenzione od è in possesso di notizie a riguardo (§15), a chiarire di quali poteri effettivi dispone la Commissione sulla pedofilia voluta dall’attuale Pontefice (§14) ed assicurarne l’indipendenza e l’imparzialità (evidentemente anche all’Onu non devono essere molto convinti sulla genuinità delle intenzioni papali), ad una maggiore sollecitudine nel risarcire non solo economicamente le vittime come nel caso delle lavanderie Magdalene (§16),  a fornire dati statistici più precisi sulle indagini riguardanti violazioni della Convenzione (§19) ed a considerare la possibilità di aderire ad altri trattati sui diritti umani (§20).

Tutto sommato una tirata d’orecchi mica da ridere ma per Leone Grotti l’importante è che nel rapporto del Comitato (ovviamente la fantaversione “non editata” che ha letto solo lui e che si è autoteletrasportata da un universo parallelo direttamente nella redazione di Tempi.it) non si dice “che opporsi all’aborto è una forma di tortura”.

Si accontenta di poco il Leoncino…

Passati 3 giorni, a rifilare un nuovo calcio nei denti ai pasdaran cattolici è la Commissione Europea che boccia definitivamente la proposta avanzata con la petizione “Uno di noi” per “il riconoscimento giuridico dei diritti dell’embrione” (rectius per cercare di bloccare definitivamente i finanziamenti alla ricerca sulle staminali embrionali).

Qui a contendersi la palma della reazione più ridicola sono il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire che in un articolo paragona la ricerca scientifica sulle staminali ai sacrifici umani rituali delle civiltà mesoamericane precolombiane (sarebbe proprio il caso di dire “da che pulpito vien la predica” vista la quantità di riti necrofili e pacchiani che la liturgia cattolica ha accumulato nei secoli fino ai giorni nostri) ed il duo Benedetta Frigerio – Maria Grazia Colombo, nota articolista di Tempi.it la prima portavoce del Comitato che riunisce le associazioni pro-life a sostegno dell’iniziativa la seconda, che in un’intervista sulla questione prima si lanciano nel solito riferimento alle oscure trame del Big Gombloddo delle altrettanto solite nonché non meglio identificate lobbies, poi emettono l’urlo di guerra ggentista: “Siamo la ggente, il potere ci temono”.

A domanda della Frigerio  “a cosa è servita la vostra campagna?” la Colombo risponde: “Innanzitutto a far capire la distanza delle istituzioni dalla volontà popolare, ma anche a evidenziare che l’Unione Europea teme fortemente la forza che può venire dai cittadini. Significa che non ci si deve arrendere, ma cominciare ad usarla di più. Conosciamo tutti i parlamentari italiani che prima di essere eletti hanno sottoscritto il manifesto in difesa della famiglia: li contatteremo, ora dovranno tener conto di quello che è successo.”

Forse la Colombo non ha idea della debacle cui l’iniziativa che sostiene è andata incontro: la petizione “Uno di noi” è stata firmata da poco più di 1 milione e 900 mila cittadini dei ventotto stati dell’Unione Europea che di cittadini in totale ne conta ben oltre 503 milioni!!

Quindi più che l’Unione Europea ad essere distante dalla volontà popolare sono i ciellini che devono riprendere il contatto con la realtà che hanno perso di brutto, visto che si inventano fantarapporti delle Nazioni Unite o sono convinti che una petizione firmata da circa lo 0,3% dei cittadini europei sia rappresentativa del pensiero della maggioranza!

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